Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

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Pochi di noi sarebbero in grado di rinunciare alla pizza, alimento simbolo non solo del nostro gusto, delle nostre preferenze “congenite”, ma anche del nostro stare insieme, della nostra socialità: un piatto in cui riconoscerci e ritrovarci. Nemmeno questo pilastro di cultura e tradizione è però  immune da storture: leggi industriali e commerciali, spesso, finiscono con lo snaturare la nostra pizza, rendendola persino nociva.

NOTTE INSONNE

Se la pizza è un patrimonio comune, sempre più largamente condivisi sono diventati anche i sintomi avversi che si manifestano dopo averla mangiata: gonfiore intestinale, sensazione di stanchezza, tanta sete di notte. Cosa è successo alla nostra pizza? Purtroppo, trattandosi di un  prodotto lavorato, è piuttosto facile “camuffare” a occhi e palato ingredienti di qualità scadente. Senza, invece, riuscire a ingannare intestino e metabolismo.

OGNI INGREDIENTE LA SUA INSIDIA.

FARINA.

Partiamo dalla farina che dovrebbe essere il meno raffinata possibile, preferibilmente di tipo 1 o 2, più ricca in fibre, minerali e vitamine e con ridotto indice glicemico. Non dimentichiamo che più del 50% delle calorie della pizza provengono da carboidrati raffinati ad alto indice glicemico, notoriamente proibitivi per chi soffre di diabete.

Spesso nella lievitazione vengono utilizzate farine particolarmente ricche in glutine come la  Manitoba, molto apprezzate nella lievitazione per la “forza” ovvero la capacità di sostenere bene il peso di pomodoro, mozzarella e altri ingredienti, Con l’intensificarsi del problema dell’intolleranza al glutine comprendiamo come per il corpo doversi confrontare con alte dosi di questa proteina possa rappresentare un problema.

Numerose sono le ragioni del perché il glutine sia diventato sempre più difficile da digerire, fra queste la modificazione del patrimonio genetico dei cereali attraverso tecniche di ibridazione o attraverso radiazioni ionizzanti, l’utilizzo eccessivo di glutine non opportunamente preparato con lievitazioni lente, il massiccio utilizzo di pesticidi durante la coltivazione e dopo la raccolta per seccare il grano nei campi, le modifiche della flora batterica intestinale dovuta ad un eccessivo utilizzo di antibiotici, conservanti, emulsionanti, edulcoranti e additivi e alla troppo scarsa assunzione di fibra solubile con la dieta.

Difficoltà nella gestione del glutine aumentata ulteriormente dall’aggiunta alle farine dei cosiddetti “miglioratori chimici” in grado di accelerare i tempi della lievitazione. Sostanze chimiche che rappresentano un aggravio in più per il fegato che deve detossificarle e che, consentendo tempi sempre più rapidi di lievitazione, rendono l’impasto meno digeribile per la mancata predigestione dell’amido delle farine da parte dei lieviti.

Preferiamo sempre farine da grani antichi come il Saragolla o il più diffuso Kamut o più recenti ma non trattate con radiazioni ionizzanti come il Senatore Cappelli, possibilmente biologiche.

LIEVITO.

Dopo la farina, l’altro elemento chiave che può davvero far la differenza nella nostra pizza è il lievito. Se la lievitazione è lenta, con l’aggiunta di lievito di birra o con l’utilizzo della pasta madre, l’impasto riposerà almeno tre giorni in frigo prima di finire in forno: questo processo consente una pre-digestione dei carboidrati e del glutine da parte dei lieviti  dei batteri presenti nell’atmosfera che faciliterà il lavoro al nostro intestino. Tutto ciò non si verifica nel caso di lievitazione rapida (o chimica) effettuata tramite lievito di birra istantaneo e altri additivi: la pizza risulterà molto meno digeribile, ci farà gonfiare di più con il rischio di passare una notte insonne per la sete. Sete dovuta non tanto all’eccesso di sale, ma al fegato in sovraccarico che ha bisogno d’acqua per funzionare.

SALE.

Il troppo sale resta, comunque, un rischio in cui si incorre spesso, soprattutto nelle pizze surgelate dove viene aggiunto in grandi quantità per compensare in sapore ingredienti scadenti, del tutto insipidi: una sola pizza può, così, raggiungere una quantità di sale superiore alla dose giornaliera ammessa che è di cinque/sei grammi.

OLIO.

L’olio dovrebbe essere rigorosamente extravergine di oliva mentre, in particolare nelle pizze surgelate, è di palma o di girasole, più scadenti e già ossidati prima della cottura a causa dell’estrazione ad alte temperature che subiscono. Attenzione, inoltre, alle pizze al taglio dove l’olio viene spesso aggiunto già in fase di impasto. L’olio dovrebbe essere utilizzato esclusivamente a crudo per evitare che, esposto alle altissime temperature del forno, superi il suo punto di fumo e sprigioni sostanze cancerogene.

POMODORO E MOZZARELLA.

Arriviamo così a pomodoro e mozzarella. Il primo – stando al disciplinare della vera pizza napoletana – dovrebbe essere solo San Marzano dop. Ma sono soprattutto mozzarella o altri formaggi a rappresentare il maggior pericolo per il nostro organismo in quanto spesso provenienti da latte in polvere le cui proteine e grassi, ossidati, creano stress ossidativo e infiammazione.

FORNO.

Il forno a legna, infine, sarebbe da preferire a quello elettrico: entrambi dovrebbero essere pulitissimi per evitare che eventuali residui di olio e formaggi sprigionino sostanze cancerogene una volta in combustione. Lo stesso vale per le croste bruciacchiate: devono essere scartate, così come l’intera pizza restituita al mittente se servita molto annerita sul fondo.

IL CARTONE.

E i rischi non sono finiti. Quando la pizza è da asporto il cartone deve essere per legge in pura cellulosa. Non in carta riciclata poiché questa, a contatto con le alte temperature, sprigiona ftalati, enolo, benzene che mangeremo insieme alla nostra pizza. Nell’impossibilità oggettiva che ogni pizzeria d’Italia sia controllata, non ci resta che imparare a verificare da soli: il cartone di colore marroncino al suo interno è a norma, quello di colore grigiastro no.

SAPER SCEGLIERE LA PIZZA. E SAPERLA ABBINARE.

Fortunatamente l’attenzione di consumatori e produttori fa sì che siano sempre più diffuse pizze di ottima qualità, a lievitazione lenta e realizzate a regola d’arte, con ingredienti di prima scelta. Tutti elementi che, come illustrato, sgombrano il campo da molte insidie.

Ma non da tutte. Una pizza tonda contiene, infatti, 700-800 calorie, mentre una pizza al taglio ne contiene circa 270 l’etto. Per concederci una margherita senza pagare un eccessivo prezzo calorico non basta, dunque, sceglierla di qualità: si deve anche saperla ben abbinare. Da evitare supplì, fritti vari, antipasti, dolci e bevande gassate. Sarebbe molto utile far precedere la pizza da un’insalata verde, magari arricchita di mela e noci. Verdura e frutta non solo aumenteranno il senso di sazietà permettendo di limitarci e mangiare solo tre quarti della pizza, magari scartando i bordi. Ma, grazie al loro blando effetto diuretico, mitigheranno anche la ritenzione idrica indotta da farine, lievito, sali e grassi saturi dei formaggi. Rinunciare a condire la nostra pizza con affettati non potrà che esserci di aiuto, così come concludere la cena con della frutta ad azione antiossidante e anti-infiammatoria, ad esempio una coppa di fragole o mirtilli. Rigorosamente senza zucchero!