Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

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“Sono a dieta da tutta la vita”. Un’espressione piena di frustrazione che, purtroppo, ricorre spesso tra quanti trascorrono letteralmente gran parte della propria esistenza alle prese con il tentativo di perdere peso. I risultati non arrivano, o svaniscono in fretta, e la forza di volontà, la capacità di auto limitarsi, l’amor proprio e tanti altri fattori finiscono sul banco degli imputati. C’è, però, una quota di assoluzione che arriva dalla biologia: non riuscire a dimagrire o a mantenere un certo peso, infatti, può essere solo in parte colpa nostra poiché nel corpo scattano delle reazioni metaboliche naturali che difficilmente possiamo contrastare solo “tenendo duro”. A confermarcelo arriva un nuovo studio pubblicato su “The Journal of Obesity” e realizzato dall’Università della Tasmania, in Australia, che ha rilevato come interrompere la dieta ogni tanto aiuti, a sorpresa, a perdere peso o a non riprenderlo.

DIETA INTERMITTENTE E DIETA CONTINUATIVA

La ricerca ha preso in esame 51 adulti uomini obesi o in sovrappeso che sono stati sottoposti a un regime alimentare che prevedeva il taglio di circa un terzo delle calorie che erano abituati ad assumere. Tutti hanno seguito una dieta composta dal 25-30% di grassi, il 15-20% di proteine e il 50-60% di carboidrati, suddivisi in tre pasti principali e due spuntini a metà mattina e pomeriggio. Un primo gruppo, però, è stato a dieta per 16 settimane consecutive; un secondo ha invece alternato le due settimane di dieta dimagrante a due di normale alimentazione – durante le quali non dovevano dimagrire, ma solo mantenere stabile il peso concedendosi gli alimenti preferiti senza esagerare –  per un periodo totale di 30 settimane (di cui 16 trascorse a dieta).

SI PERDE PIÙ PESO. E NON SI RIPRENDE

Alla fine del periodo di osservazione il gruppo della dieta intermittente aveva perso più peso e, ciò che è più importante, anche più grasso rispetto al gruppo che aveva sostenuto una dieta continuativa per 16 settimane. Ancora, il gruppo al quale era stato concesso di “prendersi una pausa”, nei sei mesi successivi la fine dell’esperimento ha sì ripreso peso (come spesso accade dopo una dieta), ma in quantità inferiore rispetto agli altri. In particolare, quelli della dieta intermittente sono riusciti, in media, a mantenere una riduzione del peso di circa 8 kg in più rispetto a quelli della dieta continuativa.

VECCHIE DIFESE, NUOVE STRATEGIE

Una parte della difficoltà nel perdere peso e mantenere la perdita di peso nel tempo attraverso cambiamenti dello stile di vita è che il corpo risponde alla restrizione energetica attraverso diverse modifiche adattative-compensatorie di cui la principale è la riduzione della spesa energetica a riposo che, negli obesi, si instaura anche in seguito a perdite di peso modeste. Queste risposte adattative possono persistere oltre il periodo della dieta, anche se, secondo alcuni studi, possono essere annullate da un periodo di 7-14 giorni di riequilibrio energetico successivo al calo di peso.

Secondo gli studiosi l’efficacia della dieta intermittente può essere riconducibile al superamento del fenomeno della “termogenesi adattativa” retaggio atavico dei meccanismi di difesa dai momenti di carestia. Esposto alla carenza di cibo – quindi di energia – il corpo brucia meno calorie nel tentativo di limitare la spesa energetica a riposo. Tutto ciò traslato dall’antichità ai tempi moderni dove, almeno in occidente, non si conosce fame diventa un meccanismo che ostacola il dimagrimento. Paradossalmente, infatti, la termogenesi adattativa è spiccata soprattutto nelle persone obese e in sovrappeso le quali, in realtà, avrebbero bisogno di tutto fuorché bruciare meno calorie. Per questo può essere utile non arrivare mai al punto di “mettere in allarme” l’organismo attraverso diete troppo restrittive e scandendo periodi di ristrettezze con altri di maggiori concessioni. Un po’ come in palestra si alternano cicli di allenamento intensivo ad altri più dolci per evitare gli effetti indesiderati dei sovraccarichi che potrebbero anche costringere a fermarsi del tutto.

La restrizione calorica intermittente – cicli di dieta alternati a periodi di riequilibrio energetico – sembra poter attenuare le risposte compensative che il corpo mette in atto fornendo una strategia di perdita di peso più efficace e sostenibile rispetto agli approcci continui tradizionali.

NON SOTTOVALUTIAMO LA BIOLOGIA

Insomma, sono ormai diversi gli studi che suggeriscono un ripensamento dei tradizionali schemi della dieta in favore di un approccio intermittente del regime dimagrante (pensiamo a tutte le tecniche che si avvalgono di due o più giorni di digiuno nell’arco della settimana) che sia anche più sostenibile da un punto di vista psicologico e organizzativo. Perché, se è vero che determinazione e volontà sono alleati imprescindibili nella lotta contro il peso in eccesso, non dimentichiamo che tra i nemici schierati può esserci il più temibile: la biologia.