Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

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La vita è frenetica e ritrovarsi a fine giornata una pietanza in freezer da riscaldare appena qualche minuto prima di essere consumata può apparire la soluzione ideale. Per non parlare dello snack pronto da scartare o del bicchiere di succo di frutta bevuto al volo tra i mille impegni che affollano le nostre giornate. Immaginate se quella pizza o quel contorno di verdure surgelate dovessimo cucinarli da zero; quella torta per merenda prepararla con le nostre mani; quella bevanda ricavarla ogni volta da frutta fresca spremuta o centrifugata. No, probabilmente non riusciamo nemmeno a immaginarlo… Così, sospettiamo appena quanto tutto il tempo e il denaro che ci sembra di risparmiare consumando cibi pronti e industriali siano, in realtà, spesi male per la nostra salute e il nostro portafogli. A dimostrarcelo, in un lungo e dettagliato editoriale pubblicato sulla rivista Jama Pediatrics, è Robert Lusting, pediatra dell’Università della California e tra i più quotati ricercatori statunitensi in tema di obesità infantile.

CARATTERISTICHE DI UN ALIMENTO INDUSTRIALE

Innanzitutto è utile capire di cosa stiamo parlando riepilogando quali siano i fattori caratterizzanti di un cibo trasformato, cioè venduto e consumato in una versione differente dall’originale disponibile in natura. In particolare, evidenzia il dr. Lusting, sono sette gli elementi tipici degli alimenti industriali:

1) essere un prodotto di massa;

2) essere omogeneo tra diversi lotti di produzione;

3) essere omogeneo tra diversi paesi di produzione e consumo;

4) presentare ingredienti specifici per specifica azienda di produzione;

5) contenere macronutrienti pre-congelati;

6) contenere emulsionanti;

7) avere una lunga durata di conservazione.

11 RAGIONI PER SCEGLIERE IL CIBO GENUINO

Il contributo del dr. Lusting è particolarmente significativo perché isola 11 caratteristiche che differenziano in termini nutrizionali un alimento industriale dannoso da un altro sano e genuino.

1. BASSO CONTENUTO DI FIBRA. Abbiamo più volte descritto i benefici della fibra. Oltre a formare una barriera gelatinosa intorno al cibo e all’intestino che interferisce con l’assorbimento degli zuccheri evitando il pericoloso aumento dei livelli di glicemia e di insulina dopo un pasto ricco in carboidrati, la fibra viene trasformata dalla flora batterica intestinale in molecole – gli acidi grassi a catena corta – che entrano in circolo e si comportano come un farmaco che migliora il metabolismo del glucosio. Ecco perché i cereali integrali, i legumi e le verdure sono il pilastro della prevenzione e della terapia del diabete: la loro fibra permette al corpo di utilizzare al meglio il glucosio presente nei cibi evitando pericolosi picchi glicemici;

2. BASSO CONTENUTO DI ACIDI GRASSI OMEGA-3. Sono precursori dell’acido docosaesaenoico (DHA) e dell’acido eicosapentaenoico (EPA), presenti preformati nel pesce e dalla spiccata funzione antinfiammatoria;

3. ALTO CONTENUTO DI ACIDI GRASSI OMEGA-6. Precursori dell’acido arachidonico che, invece, è pro-infiammatorio. Normalmente il nostro rapporto tra omega-6 e omega-3 dovrebbe essere di 3:1, “mentre attualmente si aggira intorno a 30:1 favorendo uno stato infiammatorio che veicola stress ossidativo e danno cellulare”, ammonisce il Dr. Lusting;

4. POCHI MICRONUTRIENTI in particolare quelli antiossidanti, come la vitamina C e E, che annientano i radicali liberi causa di danno cellulare. Altri antiossidanti, quali i carotenoidi e l’acido alfa-lipoico prevengono la perossidazione lipidica, processo anch’esso scatenato dai radicali liberi che porta all’invecchiamento delle cellule; il deficit di vitamine del gruppo B insieme a quello di minerali come il magnesio, il cromo, lo zinco e il vanadio interferisce anche con la capacità dei mitocondri, le nostre macchine metaboliche, di trasformare il cibo in energia;

5. TROPPI GRASSI TRANS. “Generalmente riconosciuti insicuri” dalle autorità sanitarie internazionali, si trovano nei grassi parzialmente idrogenati utilizzati dall’industria e dalla pasticceria in molte preparazioni e generano radicali liberi;

6. TROPPI AMMINOACIDI RAMIFICATI. Valina, leucina e isoleucina sono amminoacidi essenziali necessari alla formazione dei muscoli. Se consumati in eccesso, però, sono stoccati dal fegato sotto forma di grasso;

7. TROPPI EMULSIONANTI. Impiegati nell’industria alimentare per le loro proprietà addensanti sono assimilabili a dei detergenti che “puliscono via” il muco protettivo che riveste le cellule intestinali predisponendo a disturbi intestinali e a intolleranze alimentari. È noto che gli emulsionanti aumentano il rischio di malattie infiammatorie intestinali;

8. TROPPI NITRATI. Presenti soprattutto nelle carni lavorate queste sostanze possono essere metabolizzate in nitrosammine, molecole capaci, a loro volta, di predisporre a tumori del tubo digerente. I conservanti come i nitrati, inoltre, frenano l’attività enzimatica non solo del cibo a cui vengono aggiunti (prolungandone così la conservazione), ma anche delle nostre cellule, interferendo con la loro capacità di produrre energia e di detossificare;

9. TROPPO SALE. L’eccesso di sale interferisce con le funzioni del potassio e può aumentare il rischio di ipertensione e problemi cardiovascolari;

10. TROPPO ETANOLO. L’etanolo è convertito in grasso del fegato e produce stress ossidativo. Questo pericolo è chiaramente percepito dagli adulti che conoscono i rischi legati al consumo di alcol. Meno noti all’opinione pubblica, invece, sono quelli che corrono i bambini per il consumo occulto di etanolo presente nei cibi confezionati ad essi destinati. Da sottolineare che il fruttosio, abbondante nei succhi di frutta e in tutti i prodotti ricchi in zuccheri, svolge sul fegato un’azione tossica pari a quella dell’alcool come evidenziato dall’elevata incidenza di fegato grasso (il primo segnale di danno epatico) nei bambini e negli adolescenti;

11. TROPPO FRUTTOSIO. Il fruttosio è metabolizzato dal fegato esattamente come l’etanolo. I bimbi ne sono grandi consumatori attraverso le numerose bevande zuccherate, merendine, cereali in scatola e succhi di frutta a loro dedicate in commercio. Non a caso il fruttosio è definito l’alcol dei bambini che, pur senza consumarne, soffrono sempre più di malattie legate al consumo eccessivo di alcool: dal fegato grasso al diabete di tipo 2, alla dislipidemia (elevati livelli di lipidi nel sangue) e alle loro conseguenze. Più in generale, il 74% dei cibi presenti sugli scaffali del supermercato contiene zuccheri aggiunti;

DANNI ALLA SALUTE, ALL’AMBIENTE E ALL’ECONOMIA

L’elenco in 11 punti stilato dal Dr. Lusting ci fa comprendere il costo in termini di salute del consumo eccessivo di alimenti trasformati industrialmente. Per decenni l’industria alimentare ci ha convinti attraverso il marketing che i suoi prodotti fossero più innovativi, sani, controllati ed economici. Ma Lusting ci illustra dei dati che, pur basandosi su statistiche statunitensi, smontano questa tesi. Innanzitutto negli ultimi trent’anni è stato consumato più cibo, ma anche più scadente: la carne è diminuita del 10% ma gli alimenti trasformati e zuccherati sono aumentati di oltre l’11%. Al contempo è cresciuta esponenzialmente l’incidenza di malattie quali obesità, diabete di tipo 2, sindrome metabolica: tutte patologie legate all’eccesso di zuccheri e carboidrati raffinati, indipendentemente dal volume di calorie assunte. Anche l’ambiente ha risentito pesantemente dell’erosione di terreni arabili dovuta alle colture intensive di soia, mais e altre sementi alla base dei cibi trasformati ad alto tasso di carboidrati raffinati con tutte le problematiche legate all’eccessivo utilizzo di pesticidi e concimi chimici. Tutti fattori, questi, che nel lungo periodo ricadono pesantemente sulle nostre tasche in termini di cure, disabilità, minori anni di attività lavorativa e maggiore mortalità. Tra i dati citati da Lusting colpisce quello per cui un terzo della popolazione americana non conosca il cibo “vero” o non sappia cucinarlo. È così che vogliamo ridurci o possiamo immaginare di cucinarci quella cena, prepararci quella merenda o quella spremuta?

Fonte

Processed Food-An Experiment That Failed. JAMA Pediatr. 2017 Mar 1;