Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

Cibi ultraprocessati e morte prematura: un collegamento forte

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Sappiamo tutti che mangiare abitualmente i cibi cosiddetti “ultraprocessati” – cioè trasformati dall’industria in qualcosa di molto diverso rispetto alla loro versione naturale – ci fa male e ci fa ingrassare. Di recente, però, uno studio condotto in Francia è andato oltre, rilevando un collegamento tra il rischio di morte prematura e il consumo frequente di alimenti frutto “della lavorazione industriale di più ingredienti che solitamente includono additivi usati a fini tecnologici”. Così i ricercatori definiscono snack, bevande zuccherate, dolciumi, cibi pronti in scatola e precotti.

UN AMPIO STUDIO FRANCESE
Lo studio – pubblicato dalla rivista JAMA Internal Medicine – si basa su un ampio campione di quasi 45mila adulti francesi, dai 45 anni in su, tenuti sotto osservazione per due anni. Semestralmente i partecipanti erano chiamati a compilare un diario alimentare per 24 ore e a rispondere a questionari sullo stato di salute e l’attività fisica, nonché a quesiti di carattere socio-demografico.

 

CIBO INDUSTRIALE E RISCHIO DI MORTE PREMATURA
Nell’arco di sette anni dall’inizio dello studio sono decedute 602 persone. Incrociando tutti i dati disponibili, e tenendo conto di altri fattori critici come il fumo, gli scienziati hanno calcolato che per ogni 10% in più di cibi industriali consumati corrisponda un maggior rischio di morte prematura del 14%. Questi elementi, seppur non direttamente sufficienti a stabilire una sicura connessione causa-effetto, confermano quanto sia dannosa per la salute un’alimentazione artefatta e poco genuina.

 

IDENTIKIT DEL FUTURO MALATO
La ricerca francese ci svela altri dati interessanti per spiegare il fenomeno della diffusione di massa del cibo industriale. Esso copriva in media il 14% del peso totale di cibo consumato dal campione e il 29% del monte calorie ingerite. Un consumo nettamente inferiore a quello di altri paesi industrializzati. Il consumatore tipo si è rivelato essere: giovane, di basso reddito, di basso grado di educazione, single, con alto indice di massa corporea e con scarsa attività fisica.

 

UN MIX OCCULTO E DANNOSO
Proprio questa combinazione di economicità, bontà e semplicità rende il cibo industriale tanto attraente rispetto a una pietanza da preparare da zero o quasi. Ma c’è un’altra combinazione, più occulta e dannosa, che pone tali alimenti tra le concause accertate delle epidemie moderne quali diabete, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari, cancro.

Parliamo del mix malsano di zuccheri, sale, grassi “cattivi”, additivi, conservanti, contaminanti di processo e residui chimici da imballaggio racchiuso nei km di cibo confezionato esposto nei supermercati.

 

 

FA MALE UN PO’ A TUTTO…
Il 74% dei cibi presenti sugli scaffali contiene zuccheri aggiunti. In particolare il fruttosio, dal nome “innocente” ma che il fegato metabolizza esattamente come l’etanolo, non a caso è chiamato l’alcool dei bambini. In eccesso è anche il sale, determinante nello sviluppo di ipertensione e problemi cardiovascolari. Non aiuta l’alta presenza di emulsionanti (addensanti nell’industria alimentare) che predispone a disturbi intestinali, alterazioni del microbiota e intolleranze alimentari, né quella di nitrati (immancabili nelle carni lavorate) che espone al rischio di cancro al colon. Troppi, poi, sono anche i grassi trans, cosiddetti “cattivi” tanto da essere “generalmente riconosciuti insicuri” dalle autorità sanitarie internazionali. Tradotto: fanno male un po’ a tutto, generano radicali liberi, colesterolo, predisposizione a malattie cardiovascolari. E sono un po’ dappertutto, sparsi nei cibi più o meno idrogenati dell’industria: biscotti, brioches, dolci, snack, patate fritte, cereali in scatola, bevande zuccherate, succhi di frutta e via dicendo… Specularmente, il cibo industriale è carente di elementi essenziali di salute come fibra e nutrienti che sono andati via via perdendosi nelle lavorazioni. Senza fibra il fegato non ha freni nel trasformare gli zuccheri in grasso, mentre i livelli di glicemia e insulina salgono. I micronutrienti come antiossidanti e vitamine, invece, annientano i radicali liberi causa di danno cellulare: farne a meno è assolutamente insensato.

 

 

… MA NON TUTTI FANNO MALE
Non tutti i cibi processati devono, però, essere demonizzati. Si tratta di saper trovare il giusto compromesso tra qualità e praticità. Per districarsi nella vastissima offerta di cibo confezionato è stata di recente messa a punto una classificazione (NOVA) che distingue tra:

1) alimenti non trattati (parti crude di animali o vegetali);

2) alimenti naturali trattati con ingredienti quali olio, farina, zucchero, spezie, aglio ecc.;

3) alimenti trasformati con gli ingredienti del punto 2, ma in questo caso già presenti all’interno della confezione. Ad esempio tonno e legumi in scatola, pane, verdure precotte, pomodori conservati, yogurt: conservano buona parte delle loro proprietà nutrizionali e fisiche;

4) cibi ultraprocessati, sottoposti a molteplici processi industriali, nessuna componente è non trattata. Sono quelli assolutamente da ridurre ed evitare!