Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

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L’ipotiroidismo, ovvero il deficit di produzione di ormoni tiroidei e il conseguente rallentamento metabolico, è una patologia piuttosto comune. La dieta sembra giocare un ruolo fondamentale nel delicato equilibrio della ghiandola tiroidea, ne parliamo con la dr.ssa Debora Rasio, dirigente medico presso l’Ospedale Sant’Andrea di Roma che cura per noi la rubrica dedicata all’alimentazione secondo natura.

Alimenti in grado di stimolare la funzione tiroidea

Per stimolare una tiroide ipofunzionante è importante fornire un adeguato apporto di proteine, in particolare carne, uova e pesce, in grado di attivare le funzioni metaboliche.

Un alimento di non comune utilizzo nella nostra cucina ma che ha dimostrato di migliorare l’efficienza metabolica è l’olio di cocco. Quest’olio contiene circa il 50 percento di acido laurico, un acido grasso a catena intermedia di piccole dimensioni, facilmente digeribile e in grado di entrare direttamente nei mitocondri, le nostre centrali energetiche cellulari. Oltre a fungere da substrato ed aumentare la produzione di energia a livello mitocondriale, l’olio di cocco inibisce l’attività di enzimi coinvolti nella sintesi dei grassi, in particolare l’acetil-CoA carbossilasi e l’acido grasso sintasi, e questo effetto combinato -attivazione metabolica da una parte e ridotta produzione di grassi dall’altra, risulta particolarmente utile in chi soffre di rallentamento metabolico e incremento di peso.

Abbiamo visto come la tiroide per funzionare al meglio necessiti di due importanti oligoelementi, lo iodio e il selenio, che devono essere presenti in quantità sufficiente ma non eccessiva. Ecco gli alimenti che ne sono più ricchi:

Fonti di iodio

Fra gli alimenti più ricchi in iodio rientrano senz’altro le alghe marine. Alghe quali la kelp, la kombu, la dulse, la wakame, la noru, l’arami ecc, possono essere aggiunte durante la cottura a zuppe, cereali, legumi oppure spolverate su insalate e altre verdure. Altre importanti fonti di iodio sono rappresentate dal pesce, i crostacei, i molluschi, le uova, i formaggi e la carne, alimenti che concentrano lo iodio assunto dagli animali con la dieta. Le verdure e la frutta contengono quantità inferiori e variabili di iodio, a seconda della presenza di questo minerale nel terreno.

Ricordiamo che assumere iodio dai supplementi o dai cibi aiuterà soltanto gli ipotiroidismi causati da insufficiente apporto di iodio. Nell’ipotiroidismo autoimmune, prevalente nelle aree geografiche con adeguati livelli di assunzione di questo oligoelemento, assumerlo con la dieta può, al contrario, peggiorare la funzione tiroidea.

Fonti di selenio

La più ricca fonte di selenio è rappresentata dalle noci del Brasile: ne bastano un paio per soddisfare il fabbisogno giornaliero. Altri alimenti che ne contengono in abbondanza sono: lo sgombro, il tonno, il salmone, il pollo, il tacchino, le frattaglie, le uova, la quinoa e gli altri cereali, i funghi shitake e i semi di girasole. Come per lo iodio, anche la concentrazione di selenio nelle verdure è variabile a seconda della sua concentrazione nel terreno.

20150909_mangiare_secondo_natura_ipotiroidismo_2_470Sempre cruciale nella terapia nutrizionale dell’ipotiroidismo è la riduzione dell’infiammazione, esacerbata dall’attivazione del sistema immunitario che caratterizza le tiroiditi autoimmuni. L’infiammazione sopprime la funzione tiroidea in molti modi:

inibisce l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide. In studi su animali, una singola infusione di una citochina infiammatoria chiamata TNF-alfa ha ridotto i livelli di TSH, T3 e T4 per ben 5 giorni;

riduce il numero e la sensibilità dei recettori per gli ormoni tiroidei. Se i recettori risultano diminuiti o se funzionano meno bene, si possono avere sintomi di ipotiroidismo anche in presenza di adeguati livelli circolanti di ormoni tiroidei;

riduce la conversione del T4 in T3, la forma più attiva di ormone tiroideo.

Per ridurre l’infiammazione è importante assumere fonti di acidi grassi omega-3 (olio di pesce, pesci grassi, noci, olio di semi di lino, olio di semi di canapa) oltre a cibi ricchi in azione antiossidante quali il tè verde e il tè bianco, il cioccolato, i frutti rossi, la frutta oleosa quale noci, mandorle, nocciole, pinoli, pistacchi ecc, l’olio extra-vergine di oliva, l’avocado, la curcuma, lo zenzero e la cannella, le verdure a foglia, l’aglio e la cipolla.

Ottimizzare i livelli di vitamina D, un ormone poco presente negli alimenti e prodotto dalla pelle durante l’esposizione ai raggi solari. La vitamina D è importantissima per il corretto funzionamento del sistema immunitario e un suo deficit si associa a numerose patologie autoimmuni.

Alimenti potenzialmente dannosi per la funzione tiroidea

Glutine. Nelle tiroiditi autoimmuni come quella di Hashimoto è importante eliminare gli alimenti in grado di attivare risposte autoimmuni, primo fra tutti il glutine. Sempre più individui reagiscono con un’abnorme attivazione del sistema immune al consumo di frumento, farro, segale e orzo. Non a caso, infatti, molte tiroiditi autoimmuni sono associate a malattia celiaca. Ma non occorre essere celiaci, anche un’alterata sensibilità al glutine, spesso di difficile diagnosi, si associa a patologie autoimmuni quali la tiroidite di Hashimoto. Oggi astenersi dal consumo di glutine è più facile, per l’ampia diffusione di prodotti quali pasta, pani e cracker preparati con farine di riso, quinoa, mais, amaranto e grano saraceno, prive di glutine.

Soia. La soia contiene l’isoflavone genisteina, una sostanza cosiddetta “gozzigena”. La genisteina si lega allo iodio interferendo così con il suo utilizzo per la produzione di ormoni tiroidei, rendendo questo alimento controindicato solo negli ipotiroidismi da insufficiente apporto di iodio. In presenza di sufficienza di iodio, dunque, la soia non interferirebbe con la funzione tiroidea. La cottura prolungata e la fermentazione, comunque, riducono l’attività gozzigena degli isoflavoni. Non è un caso che tradizionalmente in Oriente la soia venga consumata principalmente fermentata, come accade con il miso, il natto, la tempeh e la salsa tamari. Negli individui con normale funzione tiroidea, il consumo frequente di prodotti di soia non fermentati, come ad esempio il latte di soia, il tofu e i tanti prodotti preconfezionati contenenti soia, dovrebbe prudenzialmente essere accompagnato da fonti di iodio quali ad esempio le alghe, e di selenio come le noci del Brasile.

Crucifere. Anche la famiglia dei cavoli (broccoli, cavolfiore, cavolo cappuccio, verza, broccoletti ecc), contiene sostanze “gozzigene”, gli isotiocianati, in grado di ostacolare l’assorbimento di iodio da parte della tiroide (effetto clinicamente importante solo in presenza di una carenza di iodio alimentare) e inibendo la sintesi di ormone tiroideo. Quest’ultimo effetto non sembra superabile dalla presenza di iodio, e può pertanto indurre ipotiroidismo in chi consuma per lungo tempo dosi estremamente elevate di crucifere.

Cruciale è, inoltre, eliminare o ridurre al minimo tutti gli alimenti in grado di peggiorare l’infiammazione, primi fra tutti gli zuccheri, gli oli vegetali raffinati, le margarine, le farine raffinate, i dolcificanti artificiali e gli additivi, oltre a minimizzare l’esposizione a pesticidi e a derivati della plastica, contenenti xenoestrogeni e altri interferenti endocrini.

Sono davvero molte le sostanze introdotte con la dieta e presenti nell’ambiente, potenzialmente in grado di distruggere il delicato equilibrio ormonale governato dalla ghiandola tiroidea. Conoscerle ed evitarle è il primo passo a tutela della nostra salute.

Dottoressa Debora Rasio
Nutrizionista presso l’ospedale Sant’Andrea
Università di Roma La Sapienza

Laureata in medicina e chirurgia e specialista in oncologia, Debora Rasio vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute. La Dott.ssa Rasio vanta inoltre collaborazioni con le trasmissioni televisive Uno mattina (RaiUno) e Cose dell’altro Geo (RaiTre), oltre a curare la rubrica settimanale Salute & Benessere su Radio Monte Carlo.