Val di Fassa, al castello di Re Laurino

Montagne di una bellezza leggendaria coronano la Val di Fassa, invitando a ricalcare le orme dei primi alpinisti che ne conquistarono le vette; ma anche a immergersi nella cultura e nelle tradizioni ladine, protagoniste per tutto il periodo estivo di suggestive feste popolari

Indice dell'itinerario

Per i ladini è il Ciadenac, per i tedeschi Rosengarten, per tutti il gruppo del Catinaccio è il fantastico regno di Re Laurino. Qui, nel cuore delle Dolomiti, tra canaloni angusti e pareti vertiginose, torri slanciate e pietraie desolate prendono corpo i personaggi di saghe e leggende popolari, quelle scrupolosamente descritte nei libri di Carlo Felice Wolff. All’ombra di quest’angolo dei Monti Pallidi c’erano uno splendido giardino di rose rosse e un castello incastonato come una gemma nella roccia. Lì vivevano Re Laurino e un popolo di nani, dedito alla raccolta di metalli preziosi e di splendidi cristalli; a proteggere le loro favolose ricchezze non c’erano né muri né cancelli, solo un esile filo di seta dorato. Un giorno il re s’innamorò della bellissima Similda e la rapì grazie a un mantello magico che lo rendeva invisibile. La poveretta fu costretta a vivere sorvegliata a vista da sudditi fedelissimi al sovrano; solo dopo sette lunghi anni il fratello della principessa e i suoi cavalieri riuscirono a scovare il nascondiglio. Indossata la cappa magica,

La segnaletica lungo il sentiero Viel del Pan
La segnaletica lungo il sentiero Viel del Pan

Laurino si nascose nel giardino delle rose, ma i suoi spostamenti furono individuati grazie al movimento dei fiori e Similda venne liberata. Allora il re maledì le rose che lo avevano tradito e sentenziò: «Nessun uomo potrà vedere il mio regno, né di giorno né di notte». Ma si dimenticò del crepuscolo, e così termina la leggenda nelle pagine di Wolff: “Ogni sera, dopo il tramonto, si rivedono le rose rosse del giardino incantato. Allora gli abitanti delle montagne escono dalle capanne e guardano e ammirano e, per un attimo solo, nelle loro menti inconsapevoli sorge una confusa intuizione del buon tempo passato, quando gli uomini non si odiavano né si uccidevano e tutte le cose erano più belle e più buone. E quando il Rosengarten si spegne e le sue punte di pietra ridiventano chiare e fredde, gli uomini rientrano in silenzio nelle loro capanne fumose, presi da indefinita tristezza”.

Il diavolo delle torri

Il Lago d’Antermoia, di origine glaciale
Il Lago d’Antermoia, di origine glaciale

Al tramonto le montagne del Catinaccio si tingono di rosso, poi diventano arancioni, gialle, perfino viola, prima di scomparire nel nero della notte. Le Torri del Vajolet si riescono a scorgere anche da Bolzano, ma per ammirare il fenomeno dell’enrosadira conviene salire al Rifugio Re Alberto, adagiato nei pressi di un grazioso laghetto ai piedi delle cime. Delle sette guglie di dolomia, protese come lame nel cielo, le più celebri e frequentate dagli arrampicatori sono quelle meridionali: la Delago, la Stabler e la Winkler. L’ultima fu scalata il 17 settembre 1887 da Georg Winkler, un giovane studente della facoltà di medicina di Monaco di Baviera.

Un camper in sosta in Val San Nicolò e l’ascesa dello spigolo Piaz
Un camper in sosta in Val San Nicolò e l’ascesa dello spigolo Piaz

Per la prima volta venne salita una via con difficoltà di quarto grado superiore, per lo più in solitaria; non c’è quindi da meravigliarsi se quella straordinaria ascensione è considerata una pietra miliare della storia dell’alpinismo. Nel suo diario, il giovane Winkler liquidò la scalata in poche parole: “Partenza alle 6.15. Attacco alle 7.30. Attraverso una serie di stretti camini si raggiunge la base della guglia terminale e di qui, superando un paio di paretine, alla vetta. Ore 9.30, vista chiara ma limitata. Un sasso, battendo contro la roccia, mi taglia la corda al punto che viene tenuta insieme solo da pochi fili. Fine dell’arrampicata alle 13.30. La torre, contemplata dal basso, si presenta in tutta la sua grandiosità. È la costruzione più bella che io abbia mai visto”.

La salita al Piz Boè, che con i suoi 3.152 metri è la cima più alta del Gruppo del Sella
La salita al Piz Boè, che con i suoi 3.152 metri è la cima più alta del Gruppo del Sella

Sul finire dell’800 le Torri del Vajolet furono affrontate da facoltosi amanti della montagna accompagnati dalle migliori guide alpine. Come il Diavolo delle Dolomiti, il fassano Tita Piaz: un personaggio straordinario, eccentrico, provocatorio, anticonformista, ribelle, lunatico. “Uno che sarebbe diventato un santo o un poeta, e invece divenne un alpinista” notò il suo biografo Arturo Tanesini. Piaz aprì una cinquantina di vie, anche difficili, come lo spigolo sud-ovest della Torre Delago, una delle più frequentate delle Alpi. Centoventi metri di arrampicata divertente, con difficoltà di quarto grado inferiore, ma straordinariamente esposta soprattutto quando ci si affaccia sul versante settentrionale che s’inabissa per oltre 500 metri. Non amava portare pesi, perciò costringeva i clienti a trasportare i viveri e tutta l’attrezzatura ad esclusione della corda, affidata al suo grosso cane Satana. Secondo alcuni, alla morte dell’animale se lo fece cucinare e se lo mangiò tutto con calma, da solo. Tita amava i cibi stantii e la carne andata a male, che ordinava espressamente quando si recava in trattoria.

Il Rifugio Forcella Pordoi, punto di partenza per gli itinerari lungo il massiccio del Sella
Il Rifugio Forcella Pordoi, punto di partenza per gli itinerari lungo il massiccio del Sella

Era imprevedibile, ai clienti facoltosi chiedeva cifre iperboliche, ma era pronto ad accorrere in soccorso di alpinisti in difficoltà. E se un’altra guida si dimostrava non disponibile a intervenire gratuitamente, lo induceva a più miti consigli puntandogli contro una pistola. Fu condannato per alto tradimento perché favoriva personaggi ostili all’Austria, poi durante la Seconda Guerra Mondiale fu arrestato per propaganda comunista. La sua lingua tagliente non risparmiò neanche il suo biografo: «Se tu fossi una bella donna ti chiamerei adorabile oca, ma sei un uomo e non sei adorabile; perciò ti chiamo solamente oca». Morì il 6 agosto 1948 per una banale caduta dalla bicicletta mentre scendeva dal Vajolet. In suo ricordo restano oggi le vie d’arrampicata, due alberghi (uno al Passo Pordoi, l’altro a Pozza di Fassa) e due rifugi, il Preuss e il Re Alberto al Vajolet, rispettivamente dedicati al celebre scalatore austriaco e al re del Belgio, con il quale il Diavolo delle Dolomiti spesso aveva arrampicato.

La passeggiata in quota sul sentiero Viel del Pan è adatta anche a famiglie con bambini
La passeggiata in quota sul sentiero Viel del Pan è adatta anche a famiglie con bambini

Il primo rifugio, ancora gestito dalla famiglia Piaz, è situato al margine di un salto roccioso a 2.243 metri di altitudine. È facilmente raggiungibile mediante un’ora di cammino dal Rifugio Gardeccia grazie a un servizio navetta in partenza da Pera di Fassa, dopo si può continuare lungo la comoda carrareccia sterrata che risale ai piedi della verticale parete est del Catinaccio e della Punta Emma, con quella marcata fessura sul versante nordovest che è stata aperta in solitaria da Tita Piaz. Dal rifugio, con un’altra ora di cammino per ghiaie e facili rocce a volte dotate di corrimano, si raggiunge il Rifugio Re Alberto, adagiato ai piedi delle Torri Meridionali del Vajolet (segnavia 542, EE per escursionisti esperti). L’ultima parte dell’arrampicata s’inerpica nel Gartl, il vallone d’accesso al mitico regno di re Laurino e al giardino delle rose.

Lo spettacolare panorama dal Sass Pordoi, chiamato la terrazza delle Dolomiti per la sua caratteristica forma
Lo spettacolare panorama dal Sass Pordoi, chiamato la terrazza delle Dolomiti per la sua caratteristica forma

Per gli appassionati di trekking la Val di Fassa offre straordinarie opportunità: oltre 1.250 chilometri di sentieri, quasi 1.200 di strade sterrate, numerose vie ferrate di ogni grado di difficoltà, trekking impegnativi, anche della durata di più giorni. Si articolano nel cuore della valle tra i massicci più belli delle Dolomiti, come la Marmolada, il Sella, il Sassolungo. Si tratta di montagne splendide, dal 2009 inserite nella lista dei 176 siti dichiarati patrimonio naturale dell’umanità dall’Unesco. Molti itinerari sono adatti a famiglie con bambini, come il Viel del Pan che con una funivia mette in collegamento Col dei Rossi sopra Canazei a Passo Fedaia, con tappa presso i rifugi Belvedere, Fedarola e Viel del Pan. Nel dopoguerra questo tracciato era utilizzato per trasportare i cereali dal Bellunese alla Val di Fassa. L’escursione ha uno sviluppo per lo più in costa, e lungo la strada regala splendidi scorci sul ghiacciaio della Marmolada e sulle verticali pareti rocciose del Passo Pordoi (segnavia 601 e Alta Via n. 2, T, per turisti nella prima parte, poi E, per escursionisti).

Feste d’estate

Il Rifugio Ciampedie, sull’omonimo pianoro
Il Rifugio Ciampedie, sull’omonimo pianoro

La Val di Fassa affascina per i paesaggi ma anche per i paesi spesso custodi d’interessanti patrimoni artistici, per le antiche tradizioni ladine e per le feste popolari come Te anter i Tobiè, Tra i fienili. Per l’occasione, quest’anno dal 5 al 7 luglio, le vecchie case e gli angoli più caratteristici di Canazei ospiteranno antichi mestieri e stand gastronomici, con i piatti della cucina fassana: canederli, zuppa d’orzo, cajoncie (una sorta di ravioli a forma di mezzaluna ripieni di erbe selvatiche o di fichi), stinco di maiale arrosto. Gli amanti dei dolci potranno assaggiare le sones da pomes de èlber, frittelle di mele calde, e le deliziose fortaes, tipici dolci fritti a forma di chiocciola un tempo preparati per i pastori in occasione della festa di San Pietro e Paolo, oggi sempre presenti nelle sagre paesane e talvolta inseriti anche nei menù dei ristoranti. Alcuni chioschi propongono le eccellenze del territorio: il miele, i succhi di frutta, i prodotti caseari.

Gran Festa da d’Istà a Canazei
Gran Festa da d’Istà a Canazei

Una buona occasione per immergersi nei sapori di montagna è la Gran Festa da d’Istà, la grande festa dell’estate, che quest’anno è stata programmata dal 6 all’8 settembre sempre a Canazei. Fulcro della manifestazione sarà il grande tendone dove si potranno gustare polenta e gulasch, formaggio fuso e salsicce, fortaes e piatti tradizionali. Il tutto sarà allietato dai concerti di celebri gruppi folk dell’arco alpino; si potrà spaziare dall’Heimatland Quintett al Gruppo Caraboo, dal Seep Mattlschweiger’s Quintett Juchee al Tiroler Mander. L’evento più atteso, previsto per domenica pomeriggio, sarà la sfilata da Streda Roma fino a una vasta area prativa situata nelle vicinanze del tendone.

Gran Festa da d’Istà a Canazei
Gran Festa da d’Istà a Canazei

Vi parteciperanno bande musicali di ogni angolo del mondo ladino, dal gruppo folkloristico della Val Gardena all’Union Bal Popular Val Badia, dall’Union de i Ladis de Anpezo a numerose band fassane: i Mùsega da Moena e Auta Fascia, il Gruppo Folk Soraga. Non mancheranno le maschere lignee (faceres in ladino) che sono state abilmente scolpite da artisti locali, sempre nel rispetto della tradizione. ll Laché è vestito con la giacca bianca e gli addobbi dai colori vivaci, i Marascons indossano l’alta cintura di cuoio adorna di campanelli mentre il Bufon si distingue per il copricapo conico e il volto nascosto da una maschera con il naso pronunciato da cui pende un ciondolo. A lui è consentito ironizzare e decantare vizi e virtù dei presenti.

Bufon, maschera lignea alla Gran Festa da d’Istà a Canazei
Bufon, maschera lignea alla Gran Festa da d’Istà a Canazei

Vero fulcro del mondo ladino è il Museo Ladin de Fascia, con la nuova sede inaugurata nel 2001 a Vigo di Fassa, in località San Giovanni. L’esposizione comprende mobili, giocattoli di legno, maschere, fotografie e filmati che sono legati all’arte, agli usi e costumi dell’universo ladino. Non mancano inoltre riferimenti ai personaggi del Carnevale fassano, al rito delle nozze e alla mitologia locale, con le tavole di Milo Manara raffiguranti orchi e streghe, rispettivamente i Salvani e le Bregostenes.

Il Museo Ladino di Vigo di Fassa
Il Museo Ladino di Vigo di Fassa

Il museo, progettato sotto la guida dell’architetto Ettore Sottsass, è articolato su tre piani e comprende una sala multimediale e numerosi punti informativi che consentono di visionare filmati e di approfondire la cultura ladina. A cominciare dalla lingua, ancora insegnata per un’ora la settimana a partire dalle elementari fino alle scuole superiori (questo idioma di origine neolatina medioevale è tuttora parlato da circa 35.000 persone). Il museo annovera anche tre sezioni staccate, oltre a quella del caseificio a Pera di Fassa. La bottega del bottaio, ambientata presso l’antica Ciasa de la Premessaria a Moena, espone attrezzature e suppellettili che sono state realizzate tra la fine dell‘Ottocento e la prima metà del Novecento da Domenico Dellantonio.

La chiesetta e il Molin de Pèzol a Pera di Fassa
La chiesetta e il Molin de Pèzol a Pera di Fassa

Al Molin de Pèzol, due secoli fa appartenuto alla famiglia Rizzi di Pera, si possono vedere in azione le macine che sono azionate da tre grandi ruote idrauliche a pale. E a Penìa merita una visita anche la Sia, l’antica segheria idraulica di tipo veneziano la cui attività è nota fin dal Cinquecento. Dopo il restauro, che è stato portato a termine verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso, la segheria torna a funzionare solo a scopo didattico e dimostrativo, in occasione delle visite guidate. Per il prossimo futuro il Museo Ladino si amplierà con altre esposizioni, dalla casa fassana alla Grande Guerra, dai pittori itineranti alla tessitura. E infine una mostra permanente sarà dedicata alla storia dell’alpinismo, dunque alle imprese di Georg Winkler e di Tita Piaz, il mitico Diavolo delle Dolomiti. 

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