La città di Padova è un grande centro, vivo di cultura e socialità, da scoprire a piedi e in bici. Ecco 10 cose che non si possono assolutamente perdere
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Indice dell'itinerario

Padova è la città dei “senza”. Si cita la Basilica del Santo senza riportarne il nome. Fino all’inizio del secolo lo storico Caffè Pedrocchi era aperto giorno e notte e quindi considerato “senza porte”. Infine, Prato della Valle che nel Settecento era un’area paludosa, dunque senza erba. Con i suoi 88.620 metri quadrati questa coreografica piazza è la più vasta d’Europa dopo la Rossa di Mosca.

Prato della Valle

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Prato della Valle

Voluta nella seconda metà del Settecento dal podestà Andrea Memmo, Prato della Valle di Padova è circondata da un canale ellittico, l’Alicorno, le cui acque riflettono settantotto statue di personaggi illustri. È il fulcro di eventi, fiere e concerti prestigiosi, ma anche del tradizionale mercato del sabato e di quello d’antiquariato, che si tiene la terza domenica del mese. Ma per 365 giorni l’anno Pra dea Vae è soprattutto un luogo d’incontro per studenti, per pittori in cerca d’ispirazione, per corridori e pattinatori che scorrazzano lungo il “nastro d’asfalto” attorno alla centrale Isola Memmia.

Basilica di Santa Giustina

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Basilica di Santa Giustina

Complice il vicino ed economico parcheggio di Piazza Yitzhak Rabin, per molti turisti la visita della città inizia proprio qui, in Prato della Valle, con una passeggiata all’ombra di eleganti palazzi e dell’imponente basilica di Santa Giustina, le cui origini risalgono al V secolo. Oltre a prestigiose opere d’arte del Veronese e di Sebastiano Ricci, questo monumentale edificio sacro ospita il sacello della santa, condannata alla pena capitale il 7 ottobre 304 per non aver rinnegato la propria fede.

Assieme ad Antonio, Prosdocimo e Daniele, la martire è uno dei patroni della città. Nel suo rifacimento cinquecentesco, la basilica colpisce soprattutto per la grandiosità del corpo di fabbrica di mattoni, per la corona di otto cupole e per il campanile, alto ben 84 metri. L’annesso monastero benedettino è conosciuto per gli affreschi del chiostro e per la biblioteca specializzata in scienze religiose.

L’Orto Botanico

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Giardini dell’Arena

A pochi passi dalla basilica si trova l’orto botanico. Fondato nel 1545 per decreto della Serenissima Repubblica, dal 1997 il Giardino dei Semplici – la più antica struttura universitaria di questo genere al mondo – rientra nell’elenco dei patrimoni dell’umanità stilato dall’Unesco con la seguente motivazione: “è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra natura e cultura. Ha profondamente contribuito allo sviluppo di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la chimica, l’ecologia e la farmaceutica”.

Dalla macchia mediterranea alla roccera alpina, dall’ambiente d’acqua dolce alla serra tropicale ricchissima di orchidee, l’Orto Botanico patavino ospita svariate migliaia di specie, insettivore, velenose, medicinali, tipiche dei Colli Euganei e rare del Triveneto. Si contano numerosi alberi vetusti come la palma di San Pietro, messa a dimora nel lontano 1585 nella serra ottagonale.

Questo esemplare, noto come la palma di Goethe, affascinò il letterato tedesco che ne trasse spunto e ispirazione per il saggio La metamorfosi delle piante e scrisse: “Le foglie che sorgevano dal suolo erano semplici e fatte a lancia; poi andavano dividendosi sempre più, finché apparivano sparute come le dita di una mano spiegata”. Con l’inaugurazione del Giardino delle Biodiversità, l’area espositiva è passata da 22.000 a 37.000 metri quadrati: il nuovo spazio, articolato in cinque serre, è un viaggio nei luoghi e nelle condizioni climatiche del mondo vegetale.

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La basilica di Sant’Antonio

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Basilica del Santo

C’incamminiamo per qualche centinaio di metri e incontriamo un altro simbolo di Padova: la basilica di Sant’Antonio, o meglio il Santo. Per raggiungerla da Prato della Valle basta accodarsi ai pellegrini lungo Via Belludi, con i bei portici e i negozi che vendono statuette, immagini sacre e i “dolci del Santo” farciti di marmellata di albicocche.

Ogni anno la basilica accoglie più di sei milioni di fedeli provenienti da tutto il mondo; sulla piazza antistante il Santo, tra bancarelle di souvenir religiosi e il bronzeo monumento equestre a Erasmo da Narni detto il Gattamelata (opera di Donatello), i pellegrini e i turisti indugiano con lo sguardo rivolto verso la facciata principale della basilica.

Per avere un’idea della complessità dell’architettura bisogna spostarsi al margine della piazza, alla sinistra dell’ingresso principale: l’edificio, iniziato nel 1232 (pochi mesi dopo la morte di Sant’Antonio), appare in tutta la sua grandiosità e in un affascinante mosaico di stili: la facciata romanica, gli archi gotici, le cupole bizantine rivestite di piombo, i campanili slanciati simili a minareti.

Gli interni della basilica

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Padova, le geometrie delle cupole e del campanile della basilica di Sant’Antonio

Alla cupola più alta si accede grazie a una scala lignea incastonata tra capriate fatte con il legno di galee dismesse. Strettissime, buie e ripide scale a chiocciola s’insinuano fin sui campanili più alti. Un labirinto misterioso e affascinante che consentiva di raggiungere le volte per accendere le candele su pesantissimi candelabri.

L’interno della basilica ospita numerosi capolavori: dagli affreschi di Altichiero da Zevio e di Giusto de’ Menabuoi (XIV secolo) al crocifisso e alle statue di Donatello. Per i fedeli lo scopo della visita è rendere omaggio a Sant’Antonio, il francescano nato a Lisbona nel 1195 e morto a Padova il 13 giugno 1231. Per tutto il giorno, silenziosamente, ogni devoto attende il proprio turno per appoggiare la mano sul marmo verde che riveste l’urna.

Via del Santo

Dalla basilica ci si può incamminare per Via del Santo, una delle tante strade del centro di Padova protette da portici. Al civico 133 ci si può concedere una sosta all’Antica Trattoria dei Paccagnella, assai frequentata e apprezzata anche dai padovani. La gestione è familiare: Raffaele Tombolato sta ai fornelli, il fratello Cesare in sala. Si servono gustosi piatti della tradizione locale e regionale, fatti con prodotti rigorosamente di stagione: dai bigoli con il sugo di gallina padovana (quella con il ciuffo bizzarro) al risotto di fegatini, dal baccalà mantecato all’anatra cotta con ciliegie e merlot.

Da non perdere l’insalata di gallina alla canevera con cipolle rosse in saor. Corroborati da tante delizie, si raggiungono Palazzo Zabarella e le piazze, cuore del centro storico patavino fin dal Medioevo: dei Signori, Capitaniato, della Frutta, delle Erbe.

Il Palazzo della Ragione

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Palazzo della Ragione, la grande loggia del primo piano

A dividere queste ultime due si erge il Palazzo della Ragione (convenzionato con il PLEINAIRCLUB), eretto nel 1218 per ospitare le magistrature comunali. Questa singolare costruzione poggia su novanta piloni; per secoli il salone del piano superiore fu la più grande sala pensile del mondo e ancora oggi stupisce per le dimensioni: circa 80 metri di lunghezza e 27 di larghezza. Originariamente il salone ospitava decorazioni pittoriche di Giotto che purtroppo andarono distrutte in un incendio nel Quattrocento.

Oggi si può comunque ammirare la lunghissima sequenza di affreschi realizzati da Stefano da Ferrara e da Niccolò Miretto; non passano inosservati l’enorme cavallo ligneo donato al Comune da una facoltosa famiglia padovana e la celebre pietra del vituperio, dove i debitori insolventi venivano lasciati in mutande ed esposti al pubblico ludibrio (da cui il detto “restare in braghe di tela”). Nel Sotto Salone, la parte più in basso, è ospitato il più antico centro commerciale della città. Da secoli è un continuo brulicare di avventori; le botteghe vendono carne, pesce, salumi, formaggi e dolci, in sintesi il meglio delle specialità regionali.

Piazza della Frutta e Piazza delle Erbe

persone al mercato in piazza delle erbe Padova
Piazza delle Erbe

Gli acquisti possono continuare in Piazza della Frutta, dove i banchi vendono principalmente prodotti non alimentari, e in Piazza delle Erbe, le cui bancarelle viceversa espongono frutta e verdura. Prima del pranzo e della cena, nei bar delle piazze si consuma il rito dello spritz, l’aperitivo preparato con prosecco, acqua gassata e bitter. Lo si accompagna con un tramezzino farcito o con un panino imbottito.

Tipici sono il Bar degli Osei e il chiosco ambulante La Folperia, entrambi in Piazza della Frutta. Quest’ultimo si trova nel canton de le busie (angolo delle bugie) dove un tempo i mercanti discutevano di affari. È una vera e propria istituzione del cibo da strada, popolarissimo tra i padovani di tutte le età; dal tardo pomeriggio si servono polpette di pesce, baccalà mantecato, pesciolini fritti, scampi in saor e folpetti (piccoli polipi) generosamente conditi con una salsa verde e con la simpatia dei gestori, Max e Barbara.

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Caffè Pedrocchi

Potete completare lo spuntino raggiungendo il celeberrimo Caffè Pedrocchi, un locale storico dove eleganti camerieri in gilet servono il caffè con una crema di latte fredda aromatizzata alla menta. Il piano terra del locale dispone di tre sale le cui tappezzerie, realizzate dopo l’Unità d’Italia, hanno i colori della bandiera: la sala rossa è quella centrale, la verde è aperta a chiunque voglia accomodarsi senza obbligo di consumazione e la bianca, che ancora mostra il foro di un proiettile sparato durante i moti risorgimentali, ha accolto scrittori e artisti illustri. Le sale del piano nobile ospitano il museo del Risorgimento.

Il Palazzo del Bo

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Palazzo Bo, sede dell’Università, ospita il più antico teatro
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Vicino al Caffè Pedrocchi si trova un altro simbolo della città: il Palazzo del Bo, storica sede dell’Università di Padova, una delle più antiche del mondo (la sua fondazione risale al 1222). Il suo nome deriva dalla parola bove, poiché verso la fine del Quattrocento l’ateneo inglobò una locanda che aveva come insegna una testa di bue.

In questa prestigiosa università, il 25 giugno 1678, per la prima volta al mondo si laureò una donna. Elena Lucrezia Cornaro Piscopia ci riuscì nonostante le dichiarazioni rilasciate dall’allora vescovo di Padova, Gregorio Barbarigo: «La donna è inferiore rispetto all’uomo e non è capace di ragionamenti difficili».

Una visita guidata al Palazzo del Bo consente di ammirare il cinquecentesco Teatro Anatomico, una struttura a cono rovesciato in grado di ospitare, in sei ordini di spalti lignei, fino a trecento studenti di medicina. Ideato dal patologo Girolamo Fabrizi d’Acquapendente, fu utilizzato fino alla seconda metà dell’Ottocento. Nella Sala dei Quaranta si trova la cattedra lignea di Galileo Galilei, che qui insegnò matematica e fisica dal 1592 al 1610.

La Specola

uomo che dipinge al ponte paleocapa
Il pittore rumeno Nelu Pascu all’opera sul Ponte Paleocapa, da cui si gode una bella veduta della Specola

Contrariamente alla tradizione e a quanto molti pensano, la Specola non fu mai frequentata dall’illustre scienziato pisano: la costruzione dell’osservatorio astronomico risale infatti alla seconda metà del Settecento. L’edificio s’innalza a ovest della città, di fronte alla suggestiva Riviera Paleocapa; oggi ospita un museo con gli strumenti astronomici del XVIII e del XIX secolo.

L’antica Torlonga del Castello Carrarese è un soggetto amato dai fotografi e dai pittori, in particolare dal romeno Nelu Pascu: le sue opere, caratterizzate da pennellate decise e da colori vivaci, sono state esposte in tutta Europa. Cinquant’anni, capelli lunghi, pantaloni imbrattati, un fare eccentrico ed estroverso, non di rado l’artista sistema cavalletto e tela sul Ponte Paleocapa in vista della Specola.

Per raggiungere quest’ultima, dal centro si può passare per Piazza del Duomo, dominata dalla cattedrale di Santa Maria Assunta e dal battistero, celebre per il trecentesco ciclo di affreschi di Giusto de’ Menabuoi. La Specola non è vicinissima alle piazze, bisogna scarpinare un po’; in alternativa si può pedalare in sella alle biciclette disponibili nelle venticinque stazioni di noleggio cittadine.

La Cappella degli Scrovegni

affreschi cappella degli scrovegni

Tornati in Piazza della Frutta potete seguire le indicazioni fino all’Arena Romana, alla Cappella degli Scrovegni e agli Eremitani, con la chiesa e l’ex monastero, oggi straordinaria sede museale delle collezioni di archeologia e d’arte medioevale e moderna. La Cappella degli Scrovegni custodisce un celeberrimo ciclo pittorico realizzato da Giotto nei primi anni del Trecento. L’opera fu voluta da Enrico Scrovegni, facoltoso banchiere padovano, in suffragio dell’anima del padre Reginaldo, noto usuraio citato nell’Inferno dantesco.

I dipinti ricoprono interamente le pareti e la volta a botte, sviluppando tre temi principali: le vicende di Gioacchino e Anna, di Maria e di Gesù. La parete di fondo è occupata dal Giudizio Universale con al centro la figura di Cristo giudice e ai lati tutti gli apostoli, mentre in basso è raffigurato Enrico Scrovegni che in ginocchio porge alla Madonna un modellino della cappella.

affreschi cappella degli scrovegni

Museo d’Arte Medievale e Moderna

Questi lavori di Giotto sono considerati tra le più significative testimonianze al mondo della pittura trecentesca e da sole giustificano un viaggio a Padova, ma una volta qui non disdegnate una visita al Museo d’Arte Medievale e Moderna nel contiguo complesso degli Eremitani (dove si trova anche l’interessante sala multimediale della Cappella degli Scrovegni): scoprirete un’immensa pinacoteca nella quale spiccano opere di Giorgione e Tiziano, oltre a un’amplissima panoramica della pittura veneta fra il XIV e il XVIII secolo.

A poca distanza si trova l’approdo sul fiume Bacchiglione, dominato dal ponte di Corso del Popolo. Qui, a lato del canale, si erge Memoria e luce, un’installazione in ricordo dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Realizzata dall’architetto Daniel Libeskind, l’opera consta di due alte pareti di vetro e metallo che sembrano un libro aperto all’interno del quale è collocata una trave d’acciaio del World Trade Center. Sotto, due corone d’alloro.

Testo e foto di Alberto Campanile

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