A guardare le statistiche ufficiali degli ultimi censimenti, alla Tuscia Viterbese non arride alcun primato in fatto di popolazione e produzione, se non quello di rientrare in una delle aree pianeggianti della penisola meno densamente abitate. E questa scarsa presenza dell’uomo, che va di pari passo con la spiccata vocazione agricola del territorio, contrasta ancor di più con la sua storia antica. Nell’Età del Bronzo Viterbo fu la culla delle comunità italiche preistoriche, quindi terra degli avi etruschi, crescendo in prestigio e in potenza a braccetto dell’Urbe; tanto da arrivare nel periodo comunale a metterne in discussione il primato e divenire per quasi mezzo secolo sede papale.

Proprio la vicinanza all’antica capitale dell’Impero, e in seguito la sua collocazione lungo un importante asse viario, fece sì che la città assumesse un ruolo strategico nelle vicende medioevali, incentrate sulla dura contrapposizione tra imperatori e pontefici. Viterbo fu via via attratta nell’orbita papale, e a partire dalla seconda metà del XV secolo si eclissò sempre più nel cono d’ombra di Roma. Ripercorrendo oggi le strade del centro, miracolosamente conservatosi quasi integro nonostante le espansioni edilizie del Novecento e le distruzioni del secondo conflitto mondiale, pare di rivivere quei tempi gloriosi, di lotte cruente ma anche di vivacissima arte.
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Viterbo, la città dei Papi

Una decina di chiese e altrettanti palazzi, il caratteristico quartiere duecentesco di San Pellegrino, le numerose fontane, la cinta muraria, le preziose raccolte del Museo Civico, ospitato nel convento di Santa Maria della Verità: un’attenta visita della città richiederebbe ben più di un weekend, ma il suo fascino sottile e l’atmosfera pacata possono comunque essere apprezzati con modeste rinunce a qualche monumento e con l’inserimento, ad esempio, di una sosta all’antico Caffè Schenardi.
In giro per il centro
La scoperta del capoluogo può iniziare da Porta Romana, così detta perché orientata a sud verso la capitale e opposta a quella Fiorentina, l’altro principale accesso alle mura cittadine. Si può trovare parcheggio nei pressi dell’omonima stazione ferroviaria e iniziare una facile e appagante passeggiata nel centro storico, dove la circolazione del traffico a motore è opportunamente sottoposta a restrizioni.
Attraversata Porta Romana, riccamente ornata e che ancora oggi mostra scalfitture dovute alle cannonate francesi del 1798, si può ammirare la chiesa romanica di San Sisto, impreziosita dall’alto campanile e la cui abside fa un tutt’uno con le mura di cinta. Scendendo per Via Garibaldi si entra in Piazza della Fontana Grande, dalla caratteristica pianta triangolare, che deve il nome alla fontana che troneggia al centro, la più antica di Viterbo poiché risale agli inizi del ‘200.
Continuando dritti per Via Cavour si arriva a una scalinata che porta a una delle più pittoresche case antiche della città: Casa Poscia, risalente agli inizi del ‘300, offre la vista di uno dei più bei profferli viterbesi, ovvero scale che salgono lungo la facciata dell’edificio e terminano con una piccola loggia che precede la porta d’ingresso.

Piazza del Plebiscito
Pochi passi ancora e Via Cavour ci immette nella centralissima Piazza del Plebiscito, polo politico-amministrativo della vita cittadina fin dal Medioevo. Su di essa si affacciano il Palazzo Comunale, già Palazzo dei Priori (XV secolo), con un pittoresco cortile dal quale si gode una bella veduta sul centro storico ancor più suggestivo per vari reperti archeologici risalenti al periodo etrusco:
- il Palazzo del Podestà, risalente alla seconda metà del ‘200 e sormontato dall’inconfondibile torre
- il Palazzo della Prefettura, rifatto nella seconda metà del ‘700 su un preesistente edificio.
Gli angoli degli ultimi due sono ornati dal leone guelfo, simbolo di Viterbo. Dalla piazza inizia la centrale Via Roma, che poi confluisce nel Corso d’Italia, entrambe vie di passeggio per gli abitanti della città. Ancora pochi passi verso sud e ci si addentra nel pittoresco quartiere medioevale di San Pellegrino, gioiello d’urbanistica duecentesca giunto fino a noi praticamente integro, con le sue torri e case di scuro peperino, i cavalcavia, i profferli e le bifore. L’apoteosi si raggiunge nella straordinaria piazzetta omonima, uno degli scenari della fortunata serie televisiva Il maresciallo Rocca interpretata da Gigi Proietti.

Le Terme dei Papi
Percorrendo i vari vicoli del quartiere in direzione nord-ovest, oppure semplicemente tornando sui propri passi, si attraversa l’alberata e bella Piazza della Morte, così chiamata perché qui ebbe sede la Confraternita della Buona Morte che operò al tempo della peste del 1348. Si oltrepassa il ponte del duomo e si giunge a Piazza San Lorenzo, polo religioso della città sorto sul primo nucleo abitato di Viterbo e risalente al periodo etrusco. Si apre ora alla nostra vista il suggestivo complesso della cattedrale, del Palazzo dei Papi con la splendida loggia e la caratteristica casa quattrocentesca detta di Valentino della Pagnotta.
Prima di avviarsi in uno dei tanti locali che ravvivano le serate cittadine, conviene ritemprare il corpo dalle fatiche del camminare sfruttando le acque termali della zona, i cui benefici erano già noti e apprezzati in epoca romana. Si può puntare verso l’ottimo complesso delle Terme dei Papi, oppure rivolgere l’attenzione alle numerose piscine libere appena fuori l’abitato, dove è possibile parcheggiare il camper e lasciarsi avvolgere, nella dolcezza di una calda immersione, dalla tenue luce del tramonto che ne trapassa i vapori.
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I dintorni etruschi a piedi e in bici

Fra i tanti siti archeologici e naturalistici della zona vi proponiamo due escursioni facili ma estremamente appaganti per la bellezza del paesaggio che attraversano: oltre alla classica passeggiata a Norchia si può prevedere una piacevole variante con avvicinamento in bici e breve escursione a piedi a Luni sul Mignone.
Dalla zona delle terme detta Bullicame ci si addentra nella campagna che separa il capoluogo dalla costa tirrenica seguendo il percorso della SS675 in direzione di Vetralla, dove la Via Cassia si connette all’Aurelia con la variante 1 bis. In località Cinelli, a circa 9 chilometri da Vetralla, c’è un bivio ben segnalato che conduce a Norchia per una stretta strada secondaria dal fondo comunque perfetto anche per il camper.
Lasciato il v.r. in uno spiazzo dove termina il nastro d’asfalto, in poco meno di un chilometro si accede al complesso funerario etrusco, risalente al IV secolo a.C. e costruito sul fianco settentrionale dell’inciso Fosso Pile. Facendo attenzione a scendere il tratto iniziale dell’evidente sentiero, in parte protetto da ringhiere e corrimano, dopo pochi passi si arriva nel cuore della necropoli e si possono osservare da vicino molte delle antiche tombe.

Norchia
Il nome del borgo deriva dall’etrusca Orcla, abitata già in Età del Bronzo e che raggiunse il massimo splendore nei secoli IV e III a.C. come testimonia la grandiosità dei suoi monumenti funerari. Poi, dal I secolo a.C., forse a causa dell’ascesa economica e politica della vicina Tarquinia, iniziò un inesorabile declino che si protrasse per tutto il periodo medioevale, malgrado il tentativo fatto nel 1154 dal papa inglese Adriano IV di renderla un borgo fortificato a guardia della Via Clodia, sempre più utilizzata dai pellegrini per giungere da nord nella Città Eterna. Dell’insediamento medioevale rimane splendida traccia negli imponenti resti della chiesa di San Pietro, già attiva nel IX secolo e ricostruita nel XII, nonché nella porta d’accesso che s’incontra salendo all’abitato dal Fosso Pile.
Luni sul Mignone
Il giro completo del sito richiede non più di tre ore di piacevole camminata e non presenta alcuna difficoltà, a parte qualche cautela proprio nei pressi del complesso funerario e tenendo sempre a mente che si tratta di un comprensorio esteso e articolato, immerso nella campagna e al quale si accede liberamente. Luni sul Mignone dista non più di una dozzina di chilometri in linea d’aria da Norchia, ma qualcuno in più va fatto seguendo il tracciato della SS1bis fino a Monte Romano e da qui prendendo la provinciale per Blera e Barbarano Romano.
Da questa sulla destra, dove è ben visibile l’ex stazione di Civitella Cesi, si stacca una comoda carrareccia, percorribile anche in camper, che va a intersecare il tracciato della vecchia ferrovia dismessa. Qui si può parcheggiare il mezzo e proseguire in bici per una facile e breve pedalata lungo l’antico tracciato. Si supera una breve galleria (munirsi di torcia frontale se la bici non è dotata di luce) facendo attenzione a rimanere sui lati dell’ex massicciata, e si sbuca nella campagna dominata sulla sinistra dal boscato Colle Fornicchio, il promontorio dove sorse l’antico abitato di Luni.
In sella a una bicicletta è bene arrivare fino al ponte ferroviario che scavalca il Mignone; qui si lascia il veicolo per salire la rupe di Luni, splendida balconata panoramica dalla quale la vista può spaziare sui circostanti monti della Tolfa, Sabatini, Cimini e del Biedano.
La storia di Luni
Anche Luni, come Norchia, fu un centro attivo fino al periodo medioevale, ma rispetto a questa è un sito molto più lungamente abitato e che affonda le sue radici nella preistoria appenninica. Gli scavi effettuati più di mezzo secolo fa hanno infatti messo in luce come il luogo fosse abitato in epoca neolitica a partire dal 3600 a.C. Camminando per il bosco che ormai ha ripreso quasi integralmente possesso di questi luoghi si possono incontrare perfetti cerchi praticati nella roccia: sono i punti nei quali venivano conficcati i pali che tenevano le travi delle capanne dei primi abitanti del luogo.
Dal VI secolo a.C. l’etrusca Luni, data la strategica posizione sulle alture dominanti il corso del fiume Mignone, diviene un caposaldo del confine meridionale di Tarquinia, impegnata a contrastare l’espansionismo dell’Urbe. È probabile perciò che proprio Luni fu una delle prime a cadere in mani romane all’inizio del IV secolo a.C. durante il lungo conflitto che oppose Roma alle città etrusche, prima fra tutte Veio. Continuò poi la sua vita tranquilla di villaggio agricolo fino alla metà del XIV secolo, quando praticamente si estinse a causa della pestilenza.
Qui si conclude la nostra proposta di visita alla città di Viterbo e ai suoi dintorni: un itinerario che specialmente all’inizio dell’autunno, così ricco di colori e di profumi, non mancherà di farci assaporare i generosi frutti di un territorio in grado di risvegliare i sensi all’arte, alla storia, all’archeologia e alla natura.
Testo e foto di Alfredo Scamponi
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