Roma è immensa, forse non basterebbe un mese per visitarla tutta, figurarsi un weekend. Allora perché non uscire dal giro più noto e scoprirla con prospettive diverse, buttando l’occhio su luoghi spesso ignorati e prestando orecchio alle leggende popolari e alle storie più inquietanti dei suoi personaggi?

Il Museo delle Anime del Purgatorio
D’un pallore cadaverico, la chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, una sorta di duomo di Milano in miniatura, dal 1890 si staglia sul Lungotevere Prati. Passando di fronte al tempietto neogotico nessuno può immaginare quali agghiaccianti testimonianze si nascondano al suo interno. Non per nulla il piccolo Museo delle Anime del Purgatorio è uno dei luoghi più sconosciuti e inquietanti di Roma, se per museo s’intende una bacheca che conserva lugubri reperti giunti dall’aldilà.
Le anime del Purgatorio sono bramose di arrivare in fretta in Paradiso e così ogni tanto, per velocizzare la “pratica” della purificazione, inviano segnali al mondo dei vivi affinché con preghiere o messe in suffragio sia accelerato il loro passaggio nel Regno di Dio. Poco importa se chi riceve gli inquietanti avvisi – segni di bruciatura su libri, tavolette di legno o vesti – per poco non ci rimane secco, pietrificato dal terrore.

La raccolta dei testi
Fu il missionario francese Victor Jouet l’ispiratore della raccolta. Qualche tempo dopo la costruzione della chiesa – era il 15 settembre 1897 – scoppiò un incendio che devastò la cappella della Vergine del Rosario. Padre Victor vide, o gli parve di vedere, un volto umano che agonizzava tra le fiamme. Poi ne vide un altro che rimase stampato dalla fuliggine su una colonna: “Sono le anime – pensò – di chi dal Purgatorio cerca di comunicare con il mondo dei vivi”.
Il missionario francese rimase talmente colpito che iniziò a viaggiare per l’Europa alla ricerca di altri analoghi contatti ultraterreni. Raccolse un tale numero di reperti quali segni di bruciature su tavole di legno, libri o tessuti, che col beneplacito di Papa Pio X creò il Museo Cristiano dell’Oltretomba. Alcuni però risultavano poco credibili, così dopo la morte del missionario la collezione fu ridimensionata: rimasero solo le testimonianze che potevano considerarsi ragionevolmente autentiche.

Oggi sono una ventina i reperti del piccolo museo, in fila l’uno accanto all’altro, tra i quali l’impronta di tre dita lasciata il 5 marzo 1871 su un libro di preghiere dalla defunta Palmira Rastelli, morta l’anno precedente. Una sorta di marchio di fuoco più o meno simile alla bruciatura sulla maglia del carabiniere di sentinella al Pantheon lasciata in una notte del 1932 dal fantasma di re Umberto I, assassinato a Monza nel 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci.
Beatrice Cenci a Castel Sant’Angelo

Usciti dalla chiesa con il sudore freddo, sarete assaliti dal dubbio se credere o no ai tanti sinistri segnali inviati dalle anime in pena. Esiste comunque una regola d’oro per avere più probabilità di avvistare i fantasmi: credere fermamente nella loro presenza.
Acquisita questa consapevolezza, dal tempietto gotico potrete continuare l’itinerario alla ricerca delle altre oscure presenze della Città Eterna: fantasmi, spettri e spiriti senza pace, alcuni terrificanti e altri più benevoli, persino dispettosi.
Nel vicino Castel Sant’Angelo, accanto alle torbide acque del Tevere, se scorgete un’ombra sgattaiolare sugli argini potrebbe non trattarsi di una semplice pantegana bensì dell’anima di uno dei centosettantadue pellegrini che nel Giubileo del 1350 morirono annegati per la ressa che alcuni cavalli imbizzarriti scatenarono su Ponte Sant’Angelo, affollato di venditori, questuanti e devoti in marcia verso il Vaticano. Per accrescere la suggestione attraversatelo a passi lenti, osservando attentamente le sagome dei dieci angeli in fila sui parapetti, con i simboli della Passione.
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Lo storia di Beatrice Cenci
È proprio qui che, nel giorno dell’anniversario della sua esecuzione, potreste avvistare lo spirito di Beatrice Cenci: sono centinaia i testimoni che giurano di averla vista attraversare il ponte con la testa tra le mani. L’11 settembre 1599, dopo essere stata condannata alla pena capitale per aver ordito insieme ai fratelli un complotto contro il padre – responsabile persino di atti incestuosi su di lei – un colpo di spada le tagliò di netto il collo. L’arma che pose fine alla sua breve vita è esposta insieme ad altri macabri reperti, ghigliottine e strumenti di tortura al Museo Criminologico di Via del Gonfalone.

Ne è passato di tempo, eppure guardando la lunga lama scura possiamo immaginare il lugubre corteo che all’alba procede dal carcere di Corte Savella verso il patibolo. Sul carro dei condannati siedono Beatrice, la sorella Lucrezia e il fratello Giacomo che durante il viaggio subì la tenagliatura, cioè l’asportazione delle carni con un ferro arroventato. La prima a essere decapitata è Lucrezia, poi tocca a Beatrice. I suoi lunghi capelli oppongono una tenue resistenza. La lama cala con un tonfo sordo sul collo mentre Papa Clemente VIII prega per la salvezza della sua anima. Ancora un attimo e la testa di Beatrice è tra le mani del boia che la mostra al pubblico. Una fine che sconvolse lo stesso Caravaggio, confuso nella massa degli spettatori pietrificati dal terrore.

Fu forse questa straziante visione a ispirare uno dei capolavori del maestro, Giuditta e Oloferne, l’episodio biblico in cui la vedova ebrea recide la testa del condottiero assiro con un colpo di scimitarra. Comunque sia, potete ammirare il quadro alla Galleria d’Arte di Palazzo Barberini.
La storia di Mastro Titta

C’è un altro inquietante fantasma che si aggira intorno a Castel Sant’Angelo: è quello di Mastro Titta, il boia che tra il 1796 e il 1864 giustiziò a colpi di ghigliottina cinquecentoquattordici poveri diavoli. Potreste avvistarlo qui intorno mentre allestisce il patibolo o negli altri luoghi dov’era solito esercitare: di fianco alla chiesa di Santa Maria in Cosmedin, dove ogni giorno un’ininterrotta fila di turisti mette la mano nella Bocca della Verità, oppure a Piazza del Popolo, dove ogni tanto appaiono anche i fantasmi dei carbonari Targhini e Montanari, qui decapitati nel 1825. Se ne vanno a zonzo tranquilli con la testa tra le mani, ma a quanto pare a fin di bene: rivelano i numeri del lotto a chi non fugge via inorridito.

Tornando a Castel Sant’Angelo, una raccomandazione. Se incontrate uno strano personaggio avvolto in una tunica rossa che vi allunga una presa di tabacco, fuggite a gambe levate: lo spietato Mastro Titta (anche la sua “divisa da lavoro” è esposta al Museo Criminologico) era solito offrirla ai condannati prima dell’esecuzione.
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La Pimpaccia a Ponte Sisto

Da Ponte Sant’Angelo percorrendo Lungotevere Raffaello Sanzio in circa venti minuti di cammino si arriva a Ponte Sisto. È qui che nelle notti tempestose è solita sfrecciare un’infuocata carrozza guidata dal fantasma di Olimpia Maidalchini detta la Pimpaccia, avida e potente moglie di Pamphilio Pamphili, fratello di Papa Innocenzo X. Chi la vede – accade in particolare la notte del 7 gennaio, giorno in cui morì lo stesso Innocenzo X – sostiene che l’infernale veicolo proveniente da Piazza Navona lascia nell’aria lunghe scie di fuoco prima di sparire nelle acque del Tevere. A Piazza Navona aveva infatti sede Palazzo Pamphili, la residenza da dove la Pimpaccia tesseva le sue trame per rafforzare il suo già immenso potere.

Già, Piazza Navona: altro luogo infestato da strane presenze, comprese certe misteriose statue viventi che paiono arrivare da altri mondi. C’è chi ad esempio racconta di un uomo albero dalla lunga chioma di rami che tiene tra le mani una piccola sfera dove si riflette capovolta la Fontana dei Quattro Fiumi; e c’è chi giura di aver avvistato una misteriosa e avvenente donna dal cappello rosso seduta sul bordo della Fontana del Nettuno, proprio di fronte a Palazzo De Cupis, altra inquietante dimora che nasconde nelle pieghe del suo passato un agghiacciante mistero.
Costanza De Cupis a Via dei Serpenti e i misteri di Via del Governo Vecchio

È infatti dietro una finestra dell’edificio che ogni tanto, nelle notti di plenilunio, appare la cadaverica mano di Costanza De Cupis. Si racconta che l’avvenente nobildonna romana avesse mani così perfette che un artista decise di farne un calco, poi esposto in una bottega di Via dei Serpenti. Ma erano troppo belle, tanto da suscitare l’invidia di molti. E infatti, per una malaugurata infezione forse causata da una maleficio, le fu amputata una mano e morì. Una storiaccia.
Come quella dei fenomeni paranormali che infestavano la casa al secondo piano del palazzo al civico 57 di Via del Governo Vecchio, a due passi da Piazza del Pasquino: sedie e tavoli che si muovevano, forti colpi, finestre che sbattevano, voci sinistre. Un agghiacciante fenomeno di poltergeist, tanto che nel 1861 i proprietari abbandonarono la casa. Si dice che persino le forze dell’ordine arrivate per redigere una relazione furono cacciate con invisibili manate e spintoni dagli spiriti.
Giordano Bruno e John Keats a Campo de’ Fiori

Sono ancora molti i fantasmi di Roma, ognuno pervaso da un personalissimo umore. Lo spettro di Giordano Bruno per esempio, arso vivo sul rogo a Campo de’ Fiori il 17 febbraio del 1600, vaga disperato sotto la luna accanto a giovani indifferenti, seduti tutta la notte sotto la sua statua a sorseggiare birra e chiacchierare.

Quello dolce e malinconico del giovane poeta inglese John Keats passa invece il tempo a declamare versi sulla scalinata di Trinità de’ Monti, oppure se ne sta seduto sulla fontana della Barcaccia, proprio sotto la casa dove morì appena venticinquenne; le sue spoglie riposano nel cimitero acattolico situato all’ombra della Piramide Cestia, altro luogo di grande fascino e suggestione.
Giulio Cesare e Nerone nella Roma antica

Il fantasma senza pace di Giulio Cesare ogni tanto appare a San Pietro, a volte tra il Foro e i Mercati Traianei oppure a Piazza Argentina dove fu trucidato; lo spirito di Berenice di Cilicia frequenta il Portico d’Ottavia, al ghetto ebraico, mentre lo spettro di Nerone si materializza intorno alla basilica di Santa Maria del Popolo, innalzata sul sito della sua primitiva sepoltura, misterioso tempio affollato di teschi, lapidi e immagini che evocano morte.
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La cappella dei Capuccini

Se invece cercate un luogo inquietante, forse il più agghiacciante di Roma, recatevi alla chiesa dell’Immacolata, situata a Via Veneto, la via della Dolce Vita. Ironia della sorte, è al suo interno che si possono vedere le spoglie di centinaia di frati sepolti dall’ordine dei Cappuccini tra il 1600 e il 1870: sei macabre stanze con volti mummificati, scheletri, crani, e ossa di ogni genere che a volte compongono macabri quadretti, persino un lampadario. Una visione che lasciò sgomento lo stesso marchese De Sade, in visita alla cripta il 27 ottobre 1775.
Er Margutta, il fantasma di Via Margutta

Resta da dire del fantasma di Via Margutta, affollata di gallerie d’arte e botteghe artigianali. Si chiama Er Margutta ed è un fantasma burlone che si diverte a rubare il colore dai tubetti dei pittori. Dalla via dove abitavano Federico Fellini e la moglie Giulietta basta percorrere poche centinaia di metri per arrivare a una bottega d’altri tempi dove Gelsy e Federico, mamma e figlio, restaurano con gesti antichi teste di terracotta, braccia, gambe, capelli di stoppa. È il magico ospedale delle bambole di Via di Ripetta. Niente fantasmi, però, qui: solo il fascino del tempo oramai lontano in cui le cose avevano un’anima.

Testo e foto di Paolo Simoncelli
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