Arrivo nel messinese con il sole alto di mezzogiorno e mi reco a Tindari, che scruta il golfo di Patti dall’alto di una rupe. Mi hanno suggerito di venire fin quassù per vedere la Madonna Nera che giace nel santuario sulla sommità del promontorio. Secondo una leggenda la statua venne portata in salvo dall’Oriente a bordo di una nave mercantile e giunse nella baia ai piedi di Tindari durante una tempesta. L’inconsueta raffigurazione della Vergine fu in seguito portata in una chiesetta sul colle che dominava la cala, nello stesso luogo che ogni anno accoglie migliaia di pellegrini giunti a venerare la scultura in legno di cedro del Libano su cui campeggia una frase del Cantico dei Cantici che recita “Nigra sum sed formosa”, sono nera ma bella.

Un’altra leggenda aleggia su questo luogo. Una donna che aveva portato fin quassù la propria bambina, meravigliata di fronte al colore scuro della sacra scultura, pronunciò parole di sdegno nei confronti della Vergine. Una volta uscite dalla chiesa, la piccola scappò di mano alla madre e cadde giù dallo sperone roccioso: fu allora che la Madonna, per salvarla, fece formare la spiaggia ai piedi della rupe, proprio sotto al santuario.
Pochi passi separano la chiesa dall’antica città greca di Tyndaris, fondata da Dionigi di Siracusa nel 396 a.C. Della successiva civitas romana sono visibili i resti della basilica, un teatro ben conservato e una domus con splendidi mosaici pavimentali. Se non avete fretta entrate nell’antiquarium dove sono esposti una testa dell’imperatore Augusto, un capitello corinzio, ceramiche dell’età del bronzo, lucerne romane e vasellame ritrovati durante le campagne di scavo.

Gratta ‘a maiurchèa
La Statale 113 si insinua nell’entroterra e raggiunge in meno di trenta chilometri il borgo di Novara di Sicilia, stretto tra due rocche al confine tra i Nebrodi e i Peloritani e conosciuto per il maiorchino, il formaggio ottenuto con latte di pecora intero. Un cannolo al bar Angelina in Corso Nazionale è il modo migliore per un primo approccio con il paese: la proprietaria sciorina bontà della tradizione siciliana e tra un assaggio e l’altro mi racconta che ogni anno a Carnevale il paese è in subbuglio per a’ maiurchèa, la forma che ruzzola sulla strada dando vita a una delle espressioni popolari più sentite di tutta la Sicilia. La folla si assiepa ai margini della strada pronosticando un vincitore tra i giocatori che, lanciando il cacio, devono impegnarsi a raggiungere per primi il punto di arrivo.

Ma le insidie sono dietro l’angolo e spesso accade che la fortuna del principiante prevalga sul lanciatore esperto. Nei giorni che precedono la festa si prepara la pasta ‘ncasciata, ovvero pasta al forno imbottita con melanzane fritte, primo sale, salame e uova bollite, e condita con un sugo di polpette e carne d’agnello e, ovviamente, una spolverata di maiorchino.
Dopo una passeggiata per le viuzze che s’inerpicano verso il campanile che domina l’abitato la visita può proseguire al mulino Giorginaro a ruota orizzontale, restaurato nel 2001 e ancora funzionante: una guida spiega con dovizia di particolari il meccanismo con cui si produce la farina.
Trekking tra i megaliti
Sotto la guida di Elisa dell’associazione Progetto Futuro Migliore, insieme a un gruppo di escursionisti parto dalle alture che circondano Montalbano Elicona per arrivare sull’altopiano dell’Argimusco, al confine tra i Nebrodi e i Peloritani. Aquile, guerrieri, sacerdoti: le imponenti rocce di arenaria spazzolate dal vento hanno preso le forme più varie e si stagliano nel cielo azzurro che ne fa risaltare la maestosità. Il profilo dell’Etna che sbuffa (qui la chiamano ‘a muntagna) sovrasta il verde delle felci che incorniciano il paesaggio. Per alcuni è un luogo sacro legato al culto della fecondità, per altri i menhir rappresentano costellazioni di stelle che furono visibili milioni di anni fa in una notte di solstizio d’estate.

Sembra quasi di vederla, la dea partoriente davanti alla quale le aspiranti madri possono compiere il rituale della fertilità: come buon auspicio le donne sono solite salire fino in cima e oltrepassare la fenditura della roccia. Ogni megalite sembra prendere una forma e animarsi: l’aquila dalle ampie ali che fuoriescono dalla terra, la dea Lorante scolpita nella roccia di profilo con le mani giunte in preghiera e il diavolo dall’aspetto tetro e austero.
Quando salgo sopra alla cosiddetta “vasca”, davanti agli occhi il panorama abbraccia la costa e si spinge fino alle Isole Eolie. Se si arriva qui verso il tramonto, mentre la roccia diventa arancione e il mare un blu intenso, il colpo d’occhio su Capo Milazzo e Capo Tindari è mozzafiato. Aspetto l’imbrunire sui coni spenti cercando nell’arancio del cielo la quiete che solo una giornata nella natura sa regalare. Quando il buio cala sui menhir Gianfranco prende il telescopio e mostra ad ogni partecipante la danza delle stelle.

Montalbano Elicona, il bello tra i belli
Il giorno seguente l’esplorazione prosegue nel dedalo di viuzze di Montalbano Elicona, con le case in pietra arenaria raggomitolate intorno al castello. Nel saliscendi di vicoli l’attenzione è catturata da archi e portali in pietra e dall’imponenza dell’edificio ricostruito sui resti di una precedente fortificazione araba, di forma rettangolare e chiuso da due torri e da una cinta di mura merlate. Con Federico II d’Aragona l’edificio da fortezza divenne residenza estiva e oggi è di proprietà del Comune che lo utilizza per mostre e convegni.
Mi concedo una rapida visita alla basilica di Santa Maria Assunta e San Nicolò Vescovo, con la facciata austera e il campanile merlato che svetta su una scalinata e custodisce affreschi ben conservati, prima di lasciare il paese e lanciarmi in una nuova escursione. Imbocco la Strada Provinciale 115 per raggiungere uno degli ingressi della Riserva Naturale Orientata Bosco di Malabotta, dove querce secolari con oltre due metri di diametro si alternano a cerri, faggi e castagni. In primavera la peonia selvatica e il biancospino addolciscono il paesaggio popolato da falchi pellegrini, poiane e aquile reali che nidificano sulla vicina catena montuosa dei Nebrodi.
È tempo di tornare verso la costa e imboccare l’autostrada A20 in direzione ovest. Sette chilometri dopo Capo d’Orlando punto la prua verso l’accogliente agricampeggio Alessandra di Torrenova, dove farò base per la notte.

Un balcone sul mare
Ripresa l’autostrada in direzione Palermo, dopo circa quaranta chilometri mi concedo una tappa a Santo Stefano di Camastra. Basta arrivare al cospetto del muro di Federico per comprendere che l’arte della maiolica è l’attività trainante del paese: lungo sessanta metri, racconta un pezzo di storia della Sicilia. Percorrendo le due strade principali ci s’imbatte nelle numerose botteghe artigiane e nei laboratori che permettono ai turisti di assistere alla lavorazione dell’argilla, che con le loro tonalità richiamano il mare e il sole di Sicilia. Chi non va di corsa non perda una visita al cimitero vecchio con le tombe decorate e il Museo della Ceramica all’interno di Palazzo Trabia, che raccoglie mattonelle, giare e opere di artisti contemporanei. Prima di andar via è d’obbligo affacciarsi da Porta Palermo, bellissima terrazza maiolicata sul mare.

Alla ricerca della bellezza
Una manciata di chilometri mi separa da Torremuzza: mi hanno detto che sulla spiaggia un’enorme finestra blu incornicia il mare. L’impatto visivo è forte: un monolite nero buca la cornice alta diciotto metri e ornata da candide nuvolette che l’artista Tano Festa ha dedicato al fratello poeta nel 1989. La Finestra sul mare rientra nel progetto Fiumara d’Arte voluto dall’artista Antonio Presti, che si snoda nel letto di un antico fiume. Per scoprirne le opere, da Castel di Tusa imbocco la Statale 174 in direzione Pettineo e subito l’occhio cade nell’alveo della fiumara dove svetta l’enorme scultura di Pietro Consagra La materia poteva non esserci, la prima ad essere realizzata nel 1986.

Lascio il camper su uno slargo della provinciale e seguo una strada non asfaltata in discesa per raggiungere l’opera: due blocchi di cemento paralleli, uno bianco e uno nero, che invitano a passarci in mezzo.
Bisogna arrivare nelle campagne di Motta d’Affermo, a circa quattro chilometri dal paese, per vedere l’opera Piramide, realizzata nel 2010 e collocata sul trentottesimo parallelo. Affacciandosi sulla vallata la vista spazia sulla prima opera del percorso. Da ogni tappa si può vedere la precedente e quella successiva. È invece nelle vicinanze del borgo Energia Mediterranea, un’onda di cemento blu che sembra voler fare da ponte fra la terra e le acque del Mare Nostrum.

Se c’è ancora luce conviene imboccare la Provinciale Castel di Lucio-Mistretta dove i ceramisti si sono sbizzarriti: l’attenzione viene catturata dalla parete a destra, il Muro della vita. A Castel di Lucio prestate attenzione all’opera ceramica Arethusa, sul lato destro della strada: un’esplosione di colori ha cambiato il volto della caserma dei Carabinieri. Poco fuori dall’abitato svetta su un’altura l’opera più importante del tour, il Labirinto di Arianna, il viaggio della vita che riporta al tema della Madre Terra e al mistero della fecondazione. Proseguendo sulla stessa strada vado a cercare Una curva gettata alle spalle del tempo che si staglia nel cielo blu: un monolite di cemento armato e ferro che riproduce in verticale la curva della strada e viene mossa dal vento che sale dal mare.
La sella dei Nebrodi
La provinciale 176 prosegue il suo corso nell’entroterra toccando Mistretta, una delle più antiche città della Sicilia appollaiata – a quasi mille metri di quota – sotto alla rupe su cui è aggrappato il castello arabo normanno. Probabilmente di origine fenicia (il nome potrebbe derivare da Am’Ashtart o Met’Ashtart, città o popolo di Astarte), fu conquistata dai Romani dopo la Seconda Guerra Punica.
Eleganti edifici lungo il corso principale e nelle vie laterali raccontano lo sfarzo della storia amastratina tra il Cinquecento e l’Ottocento: i palazzi Scaduto, Russo, Tita e Salamone s’intervallano a finestre aperte sulle montagne che nelle belle giornate permettono allo sguardo di perdersi fino al mare. Le sue chiese sono oltre venticinque e conservano opere di pregevoli artisti come Gagini, Manno, Punzone, Velasco, Li Volsi: meritano qualche minuto di attenzione almeno la chiesa madre del 1171 e le fontane e gli abbeveratoi sparsi nell’abitato, testimoni dell’antica civiltà rurale.
Abitare in un’opera d’arte
Un edificio bianco ricoperto dall’edera si staglia in Via Cesare Battisti a pochi passi dalla spiaggia: l’albergo Atelier sul mare di Castel di Tusa è il risultato dell’avventura di Antonio Presti che ha trasformato l’attività di famiglia in una vera e propria galleria di opere, che funge anche da punto informativo del progetto Fiumara d’Arte. Gli articoli di giornale che tappezzano la hall, le foto dei ragazzi di Librino sulla facciata dell’edificio e l’accesso alle camere regalano sensazioni fortissime. Le gigantografie dei bambini di tutte le età e razze si stagliano come un manifesto: “Laudato si mii signore” recita la didascalia della foto a caratteri cubitali sulla parete di fronte all’hotel, ben visibile agli ospiti.

A partire dal 1991 artisti provenienti da tutto il mondo hanno soggiornato qui per dare il proprio contributo affrescando ventiquattro delle quaranta camere dell’albergo. L’ospite abita dentro l’opera d’arte, la vive, la fruisce. Certo, chi cerca le comodità di un hotel a quattro stelle non è nel posto giusto: non ci sono comodini, armadi o cassettiere. Qui ci devi venire con lo spirito giusto, devi sapere accogliere il messaggio che l’artista ha lasciato sulle pareti di fango, sotto un soffitto ammantato di stelle, su una porta scorrevole.
Giacché ci siete potete fare un salto in collina per vedere Tusa, nata sulle rovine dell’antica Halaesa, fondata nel 403 a.C. La Via Alesina introduce a un dedalo intrecciato di vicoli che dispiega un susseguirsi di chiese. Arrivata al belvedere lo sguardo si perde nelle sagome inconfondibili delle isole Eolie. Ma questo è un altro viaggio: forse il prossimo, chissà.
Un’ultima chicca: l’albergo delle meraviglie
Già per come ci si entra la Stanza del Profeta, dedicata a Pier Paolo Pasolini, si preannuncia la più particolare. Un lungo tunnel privo di luce conduce alla camera da letto in stile yemenita con le pareti di fango e paglia. Il letto sistemato al centro ricorda la Deposizione di Cristo del Mantegna: un grande finestrone sul mare sovrasta una teca contenente la sabbia dell’idroscalo di Ostia dove lo scrittore fu ucciso.

Il bagno non è altro che una riproduzione fedele del car wash con cui furono tolte le macchie di sangue dall’auto del regista assassinato nel 1975: il pavimento è una griglia di metallo, sui muri un groviglio di spranghe e tubi metallici che emettono acqua con violenta pressione e c’è persino la possibilità di farsi shakerare attivando un’enorme ventola sul soffitto proprio come sotto i rulli del lavaggio. Sulla porta interna del bagno Dario Bellezza ha scritto una toccante poesia all’amico Pier Paolo.
Entro nella Linea d’ombra con la vasca posizionata sulla prua di una barca affacciata sul mare, con il lavabo ricavato da un barile e lo specchio incorniciato da una rete da pesca. Mi affaccio nell’Hammam, dotato di stanze separate per uomini e donne, e leggo tutti gli alfabeti del mondo nella caverna scritta della stanza Sogno tra segni. C’è persino la Camera dei Pupi, omaggio alla Sicilia, con un teatrino originale e perfettamente funzionante.
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