Rovigno, un angolo di paradiso

Una vacanza breve tra le atmosfere marinare di Rovigno, un angolo di paradiso della penisola istriana

Indice dell'itinerario

Cerchi una meta non troppo lontana dove puoi abbinare mare e musei? La Croazia è a un tiro di schioppo dall’Italia e Rovigno, in Istria, un angolo di paradiso. Vieni con noi, ti raccontiamo la città.

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Rovigno, una penisola a forma di fagiolo

“È una vendetta, un trionfo, un’allegoria della città marina” scriveva nel 2005 Stefano Tomassini, autore di Istria dei miracoli. Viaggi in una terra di mezzo. Considerata la “popolana del mare”, Rovigno non fu mai meta ambita dell’aristocrazia europea. Nobili e teste coronate la ignorarono anche dopo la firma dell’atto di dedizione alla Serenissima Repubblica di Venezia, nel 1283. Menzionato per la prima volta nel VII secolo dopo Cristo con il nome di Ruvigno, l’abitato ha origini ben più antiche, risalenti al III secolo dopo Cristo. La sua economia, com’è facile immaginare considerata la posizione geografica, fu quasi esclusivamente legata al mare e ai commerci con l’Adriatico settentrionale.

Tra la fine del Cinquecento e l’Ottocento il centro eccelse nella pesca e nella costruzione di imbarcazioni e ciò influenzò l’urbanistica del territorio: adagiata ai piedi di un modesto colle dominato dal campanile del duomo dedicato ai patroni Santa Eufemia e San Giorgio, la città vecchia – con le piazze e le alte case addossate l’una all’altra per sfruttare il poco spazio disponibile – si spinge fino al porto che guarda verso occidente.

magiorette in Piazza Maresciallo Tito a Rovigno

Nel 1763, con il definitivo interramento di un canale, l’Isola di Mons Albanus che ospitava il centro storico fu annessa alla terraferma e quella su cui sorge Rovigno divenne la penisola a forma di fagiolo che conosciamo oggi. La visita comincia da Piazza Valdibora, al limite nordorientale, con il vivace mercatino di frutta, verdura e prodotti locali (non sempre economici). Andando verso sud-est per Via Garibaldi si approda in Piazza Maresciallo Tito protesa verso porto Santa Caterina. Qui affacciano la Torre dell’Orologio della prima metà del XIX secolo, il barocco Arco dei Balbi, un tempo ingresso principale della città, e il Palazzo del conte Califfi.

Dall’arte alle batane

Costruito tra il Seicento e il Settecento, quest’ultimo edificio dal 1954 è sede del Muzej Grada Rovinja, il Museo Civico della Città di Rovigno; ospita una sezione archeologica e una etnografica con oggetti legati alla pesca, all’artigianato e alle credenze popolari. Notevole anche la Pinacoteca articolata in due collezioni: una con i capolavori di maestri del periodo compreso tra il XV e il XIX secolo, l’altra dedicata all’arte moderna e contemporanea. Di particolare interesse è la sala con i dipinti di Alexander Kirchner, pittore ufficiale della Marina durante il dominio austro-ungarico.

Merita una visita anche l’Ecomuseo Casa della batàna, posto sul vicino lungomare, al civico 2 di Obala Pina Budicina. Inserito nel Registro delle Buone Pratiche di salvaguardia del patrimonio immateriale, questa esposizione dedicata alla tradizionale imbarcazione da pesca rovignese si articola sui due piani di una tipica casa di fine Seicento, per secoli abitata da pescatori e marinai. Durante la visita, grazie a contenuti multimediali e fotografie si scoprono aspetti assolutamente inediti della storica barca dal fondo piatto, lunga da quattro a otto metri e mezzo, concepita per la navigazione in acque poco profonde.

La batàna veniva mossa da remi durante la pesca lungo il litorale o da colorate vele al terzo (vìla al tièrso, una tipica vela di forma trapezoidale) per spostamenti più lunghi. Fino alla seconda metà del secolo scorso quasi tutte le famiglie ne possedevano una; oggi se ne contano circa duecentoquaranta. Una curiosità: il termine batàna per alcuni potrebbe derivare da bitto, tipica barca a remi del Trecento; per altri la sua etimologia sarebbe legata al verbo battere, perciò dal rumore che l’imbarcazione produce quando impatta con le onde.

Le bitinàde, un bene da tutelare

La visita all’Ecomuseo è allietata dal sottofondo delle bitinàde, canti popolari dei pescatori dove la voce del solista è accompagnata dai bitinadùri, cantori che imitano il suono di vari strumenti musicali, dalla chitarra al contrabbasso, dalla mandola al mandolino. Per la sua unicità la bitinàda rovignese è stata inserita nell’elenco dei beni immateriali tutelati dal Ministero per la Cultura della Repubblica di Croazia.

il museo della Batana

Il campanile di Eufemia

Tornati in Piazza Maresciallo Tito, la scoperta di Rovigno prosegue salendo per la Grisa, caratteristica via a gradoni amata dagli artisti, che da oltre quant’anni la seconda domenica di agosto vi espongono le loro opere. Ci s’inerpica fino all’imponente duomo di Sant’Eufemia, della prima metà del Settecento nel luogo già occupato dalla chiesa di San Giorgio. All’interno, dietro l’altare di destra, si trova la tomba di Sant’Eufemia di Calcedonia, giovane martire torturata e data in pasto ai leoni per volere dell’imperatore Diocleziano il 16 settembre del 304. Secondo la leggenda il pesante sarcofago di marmo che conteneva le sue spoglie raggiunge miracolosamente la costa di Rovigno in una notte di tempesta.

Gli uomini più forti del paese cercarono di spostarlo senza successo; ci riuscì un ragazzo che, con l’aiuto di un paio di giumente, lo trasportò nel luogo dove si trova ancor oggi. La statua della santa protettrice veglia sulla città dalla sommità del campanile a oltre sessanta metri d’altezza; fissata ad un perno non bloccato, gira in direzione del vento: se il volto guarda verso nord ovest spira il maestrale che annuncia bel tempo, se è rivolto a sud est, con lo scirocco, si prevedono maltempo e burrasche.

Il campanile, che ricorda quello di San Marco a Venezia, è della seconda metà del Seicento su un progetto di Antonio Manopola. Dall’alto della torre campanaria si scorgono le Prealpi e le Isole Brioni, si dominano il faro, la costa, l’arcipelago di Rovigno con le sue isole e scogli e il centro storico. Uno scenario spettacolare che il rovignese Eligio Zanini, riconosciuto come il massimo poeta e scrittore di lingua istriota, definì oûn cantòn daparedéisu: un angolo di paradiso.

il lungomare

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