È il 19 marzo. Tutto è pronto: nella grande stanza al pianterreno si erge l’altare dedicato al santo, rivestito di mirto e alloro e adornato con pani, arance e limoni. Le famiglie allestiscono in casa ricchi banchetti, le cene di San Giuseppe, che ricordano l’ultima cena di Gesù con gli apostoli, secondo un rito ancora vivo a Salemi.
La festa a Salemi
Nei giorni che precedono la festa, le donne abilmente modellano con u pettini e u signaturi i panuzzi dandogli la forma di un animale, un fiore, un frutto, o un angioletto. Spesso utilizzano il sesamo per le corolle dei fiori e il cacao per scurire la composizione che è una piccola opera d’arte. Dopo una pennellata di chiara d’uovo, i pani vengono cotti al forno e quindi disposti in ordine sui gradini. Nella stanza accanto è imbandita l’enorme tavola che regala uno splendido colpo d’occhio a chi entra per ammirare la varietà e la quantità delle pietanze. Sulla tovaglia bianca sono impilati i piatti con le sarde, insaporite nell’aceto e poi fritte a beccaficu, i carciofi imbottiti, i finocchietti selvatici e i dolci come la mpignulata, i cassateddi, i cannoli e i testi di turchi col miele. Il via vai rumoroso di amici, parenti e vicini di casa rende l’atmosfera allegra e conviviale.
Ci si sobbarca la fatica del rito non per vanto ma per il piacere di mmitari, cioè di invitare a mangiare alla propria tavola. La padrona di casa, coadiuvata dalle amiche, rovescia sulla madia l’ultima porzione di spaghetti appena scottati e la condisce: è la pasta di San Giuseppe che si porta ancora fumante anche a chi non ha potuto partecipare al rito. Per tutto il pomeriggio e fino a tarda sera si assiste a un andirivieni di persone che si recano a visitare le cene e a ricevere in dono i pani che addobbano gli altari. La giornata si conclude con l’arrivo di coloro che reciteranno le parti di San Giuseppe, come qui vengono chiamati i componimenti in versi.
I festeggiamenti in onore del santo iniziano già la settimana precedente. È ben assortito il carnet di eventi dal 12 al 19 marzo: degustazioni, mostre, concerti e laboratori sulla cultura del pane. Per saperne di più si visiti il sito www.prolocosalemi.net.
La visita alla cittadina di Salemi
Vale la pena perdersi nel groviglio di stradine del centro storico per ammirare la chiesa dei Gesuiti con il pregevole portale barocco impreziosito da quattro colonne tortili e un organo settecentesco perfettamente funzionante.
Quando si arriva in Piazza Alicia la vista spazia su quello che resta dell’ex Chiesa Madre costruita su un’antica moschea araba di cui restano il sagrato, il transetto e una parte del presbiterio con la torre campanaria. A pochi passi di distanza, sorge l’adiacente castello che prima gli arabi, poi i normanni e infine gli aragonesi ricostruirono e adibirono a diversi usi. È uno dei castelli meglio conservati della Sicilia, nonostante i suoi mille anni di vita e i terremoti subiti. Addentrandosi nella via che scende dal castello s’incontra il quartiere Rabato che ha mantenuto il gusto islamico come dimostrano le numerose insegne in doppia lingua.
All’interno del Collegio dei Gesuiti è situato il polo museale della città: oltre alle opere d’arte religiose delle chiese distrutte dal sisma del 1968 ospita il Museo del Risorgimento – che raccoglie le tele, i ritratti e le collezioni di armi dell’epoca – e il singolare Museo della Mafia nato da un’idea dell’ex sindaco Vittorio Sgarbi.
Una lapide nella Piazza del Municipio, denominata Dittatura, ci ricorda che l’Italia ha avuto la sua prima capitale in Sicilia, il 14 maggio 1860. Infatti, con un proclama scritto da Francesco Crispi, Giuseppe Garibaldi annunciò solennemente e pubblicamente di prendere possesso dell’isola in nome di re Vittorio Emanuele II di Savoia, qualificandolo come re d’Italia: il che ha reso di fatto, e sia pure per un giorno, Salemi “prima capitale d’Italia”.
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