Le 8 Riserve Naturali d'Italia da visitare assolutamente

Vediamo le 8 più belle riserve naturali in Italia che puoi visitare anche con il tuo camper

Indice dell'itinerario

Sono 130 le riserve naturali gestite dal Corpo Forestale dello Stato: altrettante mete di pleinair, spesso poco conosciute, che offrono l’opportunità di scoprire angoli del Bel Paese molto particolari.

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Campania

Edificio vulcanico di tipo composito a recinto: così i testi definiscono il Vesuvio, che per adesso rimane tranquillo e regala stupende passeggiate a chi vuole conoscerlo. Prima dell’istituzione del parco nazionale esisteva, ed esiste tuttora, la riserva naturale Tirone Alto Vesuvio, nata per difendere la cinta del cratere dall’abusivismo edilizio e dagli incendi.

Questi ultimi spesso distruggono gli alberi, motivo per cui si vedono quasi solo arbusti e in particolare la ginestra dei carbonai, la ginestra odorosa e la ginestra dell’Etna, introdotta sul Vesuvio dopo l’eruzione del 1906. Fra le altre specie botaniche cresce abbondante l’elicriso mentre l’altra rarità è che, tra gli 800 e i 1.000 metri, compare la betulla verrucosa, un relitto delle ultime glaciazioni.

Tirone Alto Vesuvio

Il sentiero di visita alla riserva, complessivamente pianeggiante, attraversa pinete, leccete e, dopo il Piano delle Ginestre, si alza di poco per arrivare alle Baracche Forestali; oltrepassata l’ultima si attraversa uno dei tratti più belli e panoramici dell’intero parco del Vesuvio, che propone l’alternanza continua di tratti chiusi e ombreggiati nel bosco a tratti aperti e in macchia, entrambi dominati dalla veduta del vulcano.

La meta intermedia è rappresentata da un affaccio panoramico sulla lava del 1944, colonizzata da un lichene endemico. La vicinanza a Napoli, ovviamente, costituisce un altro dei motivi di interesse della zona, consentendo di abbinare alle escursioni la visita del capoluogo partenopeo.

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Piemonte

Verso l’estremo nord del Piemonte ma a poco più di un’ora di guida da Milano, il Parco Nazionale della Val Grande è incastonato in un territorio di grande fascino: da un lato si specchia nel Lago Maggiore, dall’altro si affaccia sulle vette svizzere e sulla gloriosa Val d’Ossola. E’ stato istituito nel 1992 inglobando ed ampliando due aree che, grazie al Corpo Forestale, erano protette già dal 1971, ovvero la Riserva Naturale Integrale Val Grande e la Riserva Naturale Orientata Monte Mottac. Peculiarità del parco è il fatto che si tratta dell’area wilderness più estesa di tutto l’arco alpino: 15.000 ettari di natura selvaggia, lasciata a sé stessa e alla sua libera e spontanea evoluzione.

La Val Grande

All’interno della Val Grande non ci sono centri abitati, tranne il minuscolo e suggestivo villaggio di Cicogna che conta appena 21 residenti (attenzione, la strettissima rotabile che lo raggiunge può essere percorsa solo da auto o piccoli furgonati) e, ai margini del comprensorio protetto, una manciata di antichi borghi che in tutto arrivano a poco più di 300 abitanti.

Non ci sono neppure strade, ristoranti o possibilità di soggiorno organizzato ad eccezione di qualche spartano rifugio, manca l’elettricità, i telefonini non hanno campo e i sentieri si presentano spesso impervi e faticosi: ma alzando lo sguardo si coglie nel cielo il volo maestoso dell’aquila reale, e fra le rocce non è difficile intravvedere i salti dei camosci.

Non resta dunque che lasciare il v.r. in una delle strutture che si trovano lungo il perimetro del parco e da qui muoversi a piedi – fortemente consigliata l’assistenza di una delle guide specializzate – ricordando, durante i mesi invernali, di portare le racchette da neve. E poi ci sono solo i paesaggi, i boschi, il magico silenzio di una natura che più intatta non si può.

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Lombardia

Nella riserva di Bosco Fontana, a un passo da Mantova, accadono cose strane. Fino al 1994 qui ci si limitava a gestire l’ex riserva di caccia che fu della signoria mantovana, consentendo l’abbattimento di qualche albero per il legname. Ma all’improvviso il Corpo Forestale ha cambiato strada e ha adottato una gestione ambientale innovativa, lasciando al suolo il legno morto e dando modo così a funghi e insetti di compiere il loro lavoro: il progetto, approvato anche dalla Commissione Europea, consiste proprio nel mantenimento di questo particolarissimo habitat.

La riserve di Bosco Fontana

Si arriva percorrendo una strada di campagna e poi ci si trova davanti a una macchia di bosco isolata, composta principalmente da farnie e carpini bianchi: un relitto delle antiche foreste che ricoprivano un tempo tutta la Pianura Padana. Lunghi viali rettilinei tracciati sotto il dominio austriaco si incrociano ripetutamente e convergono tutti nelle cosiddette piazze, in realtà dei prati.

Quasi al centro della foresta spunta un castello seicentesco, fatto costruire da Vincenzo I duca di Mantova. Nei pressi affiora la risorgiva che dà il nome al bosco, la Fontana appunto, la cui esistenza è nota fin dal XII secolo. Tra le varie specie animali presenti, che includono faine, puzzole e donnole, i più studiati dai ricercatori del Centro Nazionale per lo Studio e la Conservazione della Biodiversità Forestale, che ha sede proprio qui, sono gli insetti. E’ inoltre attiva una sezione didattica all’avanguardia che proprio su questo tema cura diversi laboratori per ragazzi.

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Veneto

Nell’altopiano del Cansiglio, uno degli angoli più belli del Nordest, con la parola bus si indica una grotta. La cavità più nota, usata anche come foiba durante la Seconda Guerra Mondiale, è il Bus de la Lum, che raggiunge i 200 metri di profondità. Poco distante, ne misura ben 587 il Bus de la Genziana, con uno sviluppo di vari chilometri (in parte ancora inesplorati) caratterizzato da un articolato sistema di gallerie, forre, sale e pozzi, scoperto nel 1966 durante lavori di ampliamento stradale.

Il Bus della Genziana

Si entra nella cavità da un tombino stradale abbastanza nascosto, indicato solo da un piccolo cartello della riserva. L’accesso è garantito anche al pubblico non esperto attraverso una serie di scalette che consentono di scendere fino a 45 metri sotto il livello del suolo. Una delle sorprese è che in questo tratto non ci sono stalattiti e stalagmiti perché a queste quote la temperatura troppo bassa, circa 6°C, non ne consente la formazione. In occasione delle visite guidate possono scendere in sicurezza anche bambini e anziani, con l’aiuto di appositi imbraghi.

Ci spiega Barbara Grillo, geologa del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Trieste, che «è come se fossimo discesi nel mare tropicale di 80 milioni di anni fa. I resti di conchiglie e di altri organismi lo testimoniano, così come le linee sulla roccia che segnano i diversi livelli dell’acqua. Il Massiccio del Cansiglio e del Cavallo, costituito da rocce carbonatiche quali il calcare, rappresenta ciò che resta di un antico complesso di scogliera molto simile a quello delle attuali Bahamas o del Mar Rosso».

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Emilia Romagna

La galaverna copre i rami delle tamerici e dei prugnoli, gli unici arbusti che sopravvivono in questo ambiente estremo. I canali di acqua dolce della Salina di Cervia sono ghiacciati e la nebbiolina fatica ad alzarsi, mentre il termometro segna 7 gradi sotto lo zero.

Già gli Etruschi avevano intuito la possibilità di sfruttare il sale che qui si depositava, ma furono i Romani ad avviare la raccolta, proseguita in maniera artigianale fra alterne vicende sino al 1959, e poi con più moderne tecnologie fino al 2000. Oggi che la produzione non avviene più a scopo industriale, la ricca avifauna della riserva trae giovamento dal minore disturbo ambientale: le guardie forestali creano isolotti per la nidificazione e mettono a dimora le piante che garantiscono la schermatura dei percorsi di visita.

Le Saline di Cervia

salina-fenicotteri

Mentre passeggiamo lentamente, si alzano in volo di continuo aironi bianchi che si perdono nel paesaggio ovattato. In lontananza si scorge la macchia rosa dei fenicotteri, che dovrebbero essere circa 1.200 in questo periodo; volpoche e avocette sono le altre specie rappresentative che abbiamo modo di osservare fermandoci presso una delle tante garitte a ridosso delle vasche, una volta presidiate dai finanzieri che proteggevano il sale, risorsa preziosa.

E’ proprio la salinità che impedisce all’acqua bassa di gelare, come avviene invece in altre zone umide, e anche di questo si avvantaggiano gli uccelli.

Se l’inverno è un buon periodo per l’avifauna, in primavera e in estate è possibile invece visitare, accompagnati dai salinari, la Salina Camillone, l’unica in cui è stato mantenuto il sistema tradizionale di raccolta: in passato l’intera superficie era divisa in 149 lotti e gli abitanti di Cervia li curavano un po’ come si segue il proprio orticello. L’equilibrio di questo ambiente è insomma frutto della gestione idraulica artificiale e, paradossalmente, solo la prosecuzione dell’attività ne garantisce la tutela, ponendosi ad esempio di quel sodalizio fra uomo e natura che potrebbe far rinascere tante realtà.

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Toscana

Qui la natura è per tutti. La riserva della Duna Feniglia è infatti una delle sedici, tra quelle gestite dalla Forestale, che offrono un percorso naturalistico per i diversamente abili: tredici stazioni, unite da un corrimano, nelle quali chi è privo della vista può percepire i molteplici aspetti di questo ambiente.

Dalla forma delle piante alle orme degli animali che popolano la pineta, dalla consistenza della corteccia arborea ai profili delle foglie, si può imparare a conoscere un’essenza verde toccandola o annusandola. Oltre a questo itinerario sono presenti anche tre osservatori ornitologici, liberamente raggiungibili a piedi o in bicicletta, e un percorso ginnico lungo la strada centrale.

Dune Feniglia

Ci troviamo sul più meridionale dei tomboli, lunghe strisce di sabbia, che collegano la Laguna di Orbetello al promontorio di Monte Argentario. Il taglio dell’originaria foresta mediterranea e il pascolo smodato erano stati causa di seri problemi sanitari, in quanto le sabbie trasportate dai venti si accumulavano nella laguna creando vaste aree umide e poco profonde dove prosperava la zanzara anofele, portatrice della malaria.

Nel 1910, attraverso azioni di esproprio, la Feniglia pervenne al Demanio Forestale e dall’anno successivo presero avvio i lavori di riforestazione della duna: negli ultimi cinquant’anni sono stati rimboschiti circa 460 ettari, dei quali la maggior parte con pino domestico. Non è impossibile vedere i daini, di cui i Forestali stimano ci siano 200 esemplari, e d’inverno è frequente anche il cinghiale che si inoltra nell’area cercando scampo dai cacciatori. A pochi chilometri il traffico dell’Aurelia, le ville di Ansedonia da un lato e di Porto Ercole dall’altro, ma sulla duna, tra cielo e mare, è tutta un’altra cosa.

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Basilicata

Fra i monti del Vulture, sullo sfondo dei maestosi paesaggi dell’Appennino Lucano, entrare nella riserva I Pisconi vuol dire compiere un viaggio indietro nel tempo fino al Paleomesolitico. A quell’epoca, circa 12.000 anni fa, risalgono le pitture che rappresentano, sul fianco di ciò che rimane di un’antichissima grotta, scene arboree e di caccia. Sono molto corrose e si fa fatica a vederle a una certa distanza, ma avvicinandosi è possibile distinguere alcuni cervidi e forse un uomo che, con una selce, sferra un colpo mortale al collo di un animale.

Secondo un’altra ipotesi vi sarebbe raffigurato un cerro, la specie arborea prevalente, e cervi intenti a pascolare. In ogni caso sembra che i nostri antenati abbiano voluto indicare, con questa pittura, un luogo dove la selvaggina era abbondante e segnalarlo così a chi si trovava a passare. Anche Federico II di Svevia, appassionato cacciatore, avrà modo di apprezzare l’abbondanza di selvaggina nella vicina foresta del Castello di Lagopesole, altra riserva gestita dalla Forestale, che all’interno del maniero ha anche una postazione fissa.

La Riserva i Pisconi

Ad interpretare le pitture rupestri dei Pisconi sono arrivati studiosi da tutta Europa. La Fondazione Zetema, dopo il restauro messo in atto per la conservazione di questi importantissimi reperti, gestirà le visite nella riserva. Dai primi rilievi c’è anche un’altra interessante notizia: pare che le pitture si possano retrodatare addirittura a 20.000 anni fa. E non è difficile, guardando quei segni sulla pietra e mettendosi nei panni di chi li ha tracciati, sentirsi più vicini a quegli uomini e alla loro vita.

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Abruzzo

Scopriamo i primati del Lago di Campotosto, cioè l’essere il più grande bacino dell’Abruzzo e il trovarsi nel territorio di uno dei comuni più alti d’Italia.

Il Lago di Campotosto

La riserva, con una superficie di 1.400 ettari, fa parte del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e racchiude integralmente l’area lacustre. L’invaso si presenta con una curiosa forma a V, incastonato tra i monti, e venne realizzato nel 1938 per la produzione di energia elettrica, sommergendo un vasto altopiano dove si trovava, nell’era pleistocenica, un altro lago poi scomparso che diede origine alla più grande torbiera appenninica. Il periplo del bacino, di oltre 40 chilometri, si può percorrere comodamente con il veicolo ricreazionale, usufruendo di un’ampia visibilità grazie all’assenza di vegetazione ripariale.

I birdwatcher arrivano da queste parti anche d’inverno, rischiando magari di trovare il lago ghiacciato e i contorni innevati, perché questa è la più importante area umida della regione per lo svernamento di folaghe, moriglioni, alzavole, fischioni e morette: motivo per cui l’Ufficio Territoriale per la Biodiversità di L’Aquila ha creato una stazione di inanellamento, visitabile su prenotazione. Da anni inoltre si occupa, in un incubatoio adiacente, della produzione di novellame di coregone.

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