Nei dintorni di Roma possiamo trovare poche foreste estese e fruibili come la Macchia Grande di Manziana. Per di più facilmente raggiungibile con la ferrovia da diverse stazioni interne alla Capitale. Ma i motivi d’interesse non si fermano a quelli naturalistici. Oltre al tranquillo borgo di Manziana, potremmo infatti esplorare due grotte e gli archi di un antico e poderoso acquedotto. Non dimenticate quindi la torcia.

Come arrivare alla Macchia di Manziana
Senza necessità di ricorrere all’automobile o al camper, Manziana è raggiungibile in treno da diverse stazioni della linea FL3. Se avete parcheggiato presso l’area camper dell’Air Terminal Ostiense trovate la Stazione Ostiense proprio di fronte.

Macchia Grande di Manziana
- Quota 369 m
- Sentiero parzialmente segnato
- Dislivello 142 m
- Distanza 12,40 km
- Tempo totale 3:30 h
Verso l’antico acquedotto
Dalla stazione ferroviaria di Manziana tralasciamo la ripida scalinata verso il borgo e seguiamo invece brevemente verso nord la strada che alla prima curva a destra piega nettamente a sud costeggiando i binari.

La strada diviene presto un soffice tratturo di foglie e con inaspettata facilità in 40 minuti vediamo sorgere sopra di noi il primo dei grandi Archi di Boccalupo. Si tratta di un imponente acquedotto fatto costruire nel 1696 da Livio Odescalchi per condurre l’acqua al suo feudo di Bracciano.

Seguendo l’acquedotto ci troviamo a camminare su una larga cengia che scopriremo poi essere adagiata sulla seconda fila di archi. Al termine possiamo scendere alla base del manufatto per vederlo sopra di noi tutta la sua imponenza: una sorta di massiccia diga a sbarrare acque che ora non ci sono.

Ti potrebbe interessare anche 5 percorsi di natura all’interno di Roma
La Macchia Grande di Manziana
Tornati alla stazione affrontiamo la ripida scalinata e siamo nella piazza centrale del borgo per un caffè o, meglio, per un trancio fragrante di pizza nel forno locale. Volgendo lo sguardo indietro oltre la stazione, noteremo la lunga teoria di archi dell’acquedotto spuntare dalla vegetazione con lo sfondo del Lago di Bracciano.

Attraversato tutto l’abitato, in 20 minuti siamo all’ingresso della poderosa Macchia Grande – consacrata dagli Etruschi al dio dell’oltretomba Manth – che ci accoglie fra i suoi maestosi cerri, non prima di una sbirciatina a un fornitissimo bookcrossing.

Il sole rimbalza sui rami più alti mentre in 15 minuti raggiungiamo la ramificata Grotta di Prato Camillo, probabile cava di arenaria, e poi in altri 15 minuti attraverso il Casale della Porcareccia, la cupa entrata dell’Ipogeo di Santa Pupa, devota non presente in alcun martirologio ma tradizionalmente invocata a protezione dei bimbi vivaci.

L’ipogeo di Santa Pupa
Torcia alla mano ci addentriamo in una profonda galleria fino a un braciere posto proprio sotto a un fioco lucernario sulla volta. E qui inizia uno stupore ancora maggiore.

La galleria si restringe, inizia a salire e il caldo aumenta percettibile a ogni passo. Ai lati passiamo in rassegna ottantaquattro cubicoli, di cui uno con tanto di Croce di Lorena e dei quali ignoriamo l’antica funzione. L’aria si fa densa e volgendo lo sguardo indietro veniamo trafitti dal lontano puntino di luce dell’entrata, a oltre cento metri di distanza.

Tornati sui nostri passi, possiamo ora perderci nella maestosità arborea della Macchia Grande di Manziana e distenderci poi al sole fra i fiori di Prato Camillo, prima di raggiungere di nuovo la stazione e sferragliare via verso Roma.

Testo e foto di Marco Sances