All’ingresso delle Grotte di Falvaterra nel Frusinate, Giuseppe è già lì ad attenderci, pronto a consegnarci le mute e i caschetti per iniziare il viaggio sotterraneo in cui sarà il nostro moderno Virgilio. Pochi passi ed entriamo in un affascinante universo realizzato nel corso di migliaia e migliaia di anni dall’azione dell’acqua sulla roccia calcarea del Monte Lamia. Un ambiente integro, dichiarato dal 2007 Monumento Naturale della Regione Lazio, che comprende il bacino imbrifero del Rio Obaco fino alla sua confluenza con il fiume Sacco, per un’estensione di oltre centotrenta ettari.
Per compiere questa escursione speleologica – tra le più lunghe dell’Italia centrale – è necessario un minimo di allenamento e saper nuotare perché si segue il cristallino corso d’acqua sotterraneo, immergendosi e arrampicandosi con l’ausilio di funi lungo il percorso attrezzato, in un susseguirsi di emozionanti ambienti ipogei formati da cascate, laghetti e canyon incorniciati da meravigliose e candide concrezioni.

Il complesso ipogeo di Falvaterra si collega a quello delle famose Grotte di Pastena, raggiungibile solo in determinate condizioni da speleo sub esperti che ripercorrono la storica impresa di Lamberto Ferri Ricchi, scopritore del collegamento tra i due sistemi di grotte. Per chi preferisce restare all’asciutto, una parte delle grotte è visitabile con un sistema di passerelle – percorribili anche dalle persone con disabilità motoria – che permette di entrare più comodamente in contatto con questo luogo affascinante.
Nell’antica Fabrateria Nova
Chi vuole dedicarsi alla scoperta della natura e della storia dell’area può seguire i Percorsi di Tommaso, una rete di sentieri di recente inaugurazione dedicati alla memoria di Tommaso Santilli, il giovane naturalista scomparso nel 2015 che condusse approfonditi studi sulla biologia dell’area protetta. «L’apertura di questi itinerari – ci spiega Ivana Orsini, referente dell’Ecomuseo Argil – è un momento importante nel cammino della promozione del territorio, frutto di un incessante lavoro di valorizzazione del patrimonio culturale e materiale dei Comuni della Valle Latina, con attività culturali e turistiche che mettono in rete le competenze di produttori, associazioni, e cittadini locali».

Un impegno che sta dando i suoi frutti in termini di qualità dell’offerta turistica e di attenzione all’ospite: come nel caso del piccolo borgo ciociaro di Falvaterra, posto in cima al colle dei Monti Ausoni che si affaccia sulla valle del Liri e del fiume Sacco. Giusto il tempo di parcheggiare il camper e di incontrare la nostra guida, Adriano Piccirilli, e ci troviamo immersi in un mondo di altri tempi passeggiando tra pittoreschi vicoli che di tanto in tanto si aprono su linde e suggestive piazzette.

Profondo conoscitore della storia del territorio e presidente dell’Associazione Culturale Fabrateria che organizza visite guidate al borgo, Adriano stimola la nostra attenzione raccontandoci la storia dei palazzi storici e famiglie locali. Il nostro storyteller arricchisce con abilità la sua narrazione proponendo curiosi aneddoti: scopriamo che il piccolo paese fu fondato dagli abitanti dell’antica città romana di Fabrateria Nova, che sorgeva più a valle; costretti ad abbandonarla durante le invasioni dei Longobardi per rifugiarsi su questo colle.
Dal belvedere del santuario della Madonna Santissima della Guardia a San Giovanni Incarico è possibile identificare dall’alto il luogo dove sorgeva l’antico insediamento, nei pressi del lago di Isoletta creato dallo sbarramento sul Liri. Ma non ci attardiamo oltre: è tempo di riprendere il camper e percorrere i dodici chilometri ci separano dalla prossima tappa.

Ciociaria d’autore
“Strade e scale che salgono a piramide, fitte / d’intagli, ragnateli di sasso (…) / si svolge a stento il canto dalle ombrelle dei pini, / e indugia affievolito nell’indaco che stilla / su anfratti, tagli, spicchi di muraglie”. Con questi versi Eugenio Montale tratteggia la località di Pico nella sua Elegia di Pico Farnese, composta nel 1939 dopo uno dei suoi soggiorni nella villa dell’amico Tommaso Landolfi.
A quest’ultimo personaggio, originario proprio di Pico e ritenuto uno dei più illustri poeti e scrittori del Novecento, è dedicato un parco letterario che si snoda lungo i vicoli del borgo medievale. La passeggiata fra le stradine che si srotolano ai piedi dell’imponente Castello Farnese è arricchita da pannelli che propongono approfondimenti e brani delle opere di Landolfi. Un motivo in più per fare visita al piccolo paese collinare, annoverato nel circuito dei Borghi più belli d’Italia.

È invece ispirata alle radici della civiltà rurale la nostra tappa a Pastena, località famosa per la presenza di un altro importante complesso ipogeo. Per ripercorrere la vita quotidiana della campagna ciociara basta fare visita al Museo della Civiltà Contadina e dell’Ulivo, ospitato in un vecchio frantoio: nelle sue tredici sale espone un’interessante collezione di antichi attrezzi da lavoro e la ricostruzione di ambienti delle case dei contadini, come ad esempio la cucina e la stanza da letto.
Le botteghe della memoria a Castro dei Volsci
Altra località dei Borghi più Belli d’Italia, Castro dei Volsci è la località natale dell’attore Nino Manfredi, ricordato con un museo allestito nella torre dell’orologio. Sistemato il mezzo nel piccolo parcheggio all’inizio di Via Porta della Valle, appena fuori dall’abitato, prima di salire verso il paese ci dirigiamo alla chiesa di San Nicola, esempio di architettura paleocristiana dell’Alto Medioevo. Fondata intorno alla metà del VI sec. d.C, come semplice oratorio, nei secoli fu rimodellata con interventi successivi e presenta un pregevole ciclo di affreschi di scuola benedettina rappresentanti la Creazione e la Cacciata dal Paradiso Terrestre.

Ci attende ora la salita a piedi verso il centro del borgo, la cui fatica è compensata dai pittoreschi scorci regalati dai vicoli che hanno mantenuto il loro aspetto medievale. Da non mancare una tappa alle Botteghe della Regina Camilla dislocate lungo Via Civita, frutto di un progetto promosso da Lucia Rossi dell’associazione La Scarana finalizzato alla valorizzazione delle arti e degli antichi mestieri. Presso le botteghe – sono in tutto sei – gli artigiani locali aderenti all’iniziativa espongono le loro creazioni illustrando le relative tecniche di lavorazione.
Qui troviamo la bottega orafa dove sono creati i tradizionali orecchini a “lucchetto” che indicavano il censo e le fasi della vita delle donne ciociare; o quella dedicata all’arte della tessitura dove Paolo lavora con passione e competenza al suo antico telaio. Ci sono creazioni moderne in ceramica Raku, lavori in cuoio e vecchi oggetti riciclati e portati a nuova vita: opere di design che con la loro bellezza spiegano il concetto di ecosostenibilità applicata al quotidiano. Infine, per la delizia del palato, non manca una degustazione dei vini della campagna ciociara e dei dolci della tradizione appena sfornati.

La visita di Castro dei Volsci culmina nel belvedere situato nella parte sommitale del borgo, in corrispondenza dei resti dell’antica Rocca San Pietro. Qui si erge il bianco monumento alla Mamma Ciociara, eretto nel 1964 in memoria delle donne vittime delle “marocchinate”, ovvero degli episodi di violenza compiuti durante la Seconda Guerra Mondiale dai goumier – così venivano chiamati i soldati di origine marocchina dell’esercito francese. Una tragica pagina della nostra storia narrata nel film La ciociara di Vittorio De Sica, con Sophia Loren e Jean Paul Belmondo.

Sulle tracce di Argil
Con la visita al Museo Prestorico di Pofi facciano un salto indietro nel tempo sino a un milione di anni fa, nel pieno della preistoria del Lazio meridionale. Tra i reperti che illustrano l’antichissimo habitat di questo territorio spicca la riproduzione del fossile del cranio dell’Uomo di Ceprano – noto anche come Argil – scoperto dall’archeologo Italo Biddittu nel 1994, risalente a ottocentomila anni e ritenuto uno dei più antichi fossili umani in Europa. Il percorso si snoda attraverso le fasi del Paleolitico descrivendo un ambiente con climi assai diversi da quello attuale, e abitato nei vari periodi da elefanti, stambecchi, marmotte. Per i più piccoli e le scolaresche sono presenti laboratori dedicati dove è possibile divertirsi e apprendere, con tanto di simulazione di scavi e ritrovamento di reperti.

Più recente è la storia raccontata dal sito archeologico di Fregellae. Le antiche rovine appartenenti ad abitazioni e a un complesso termale – il più antico dell’epoca romana – sono ciò che rimane della prospera colonia fondata nel 328 a.C. sulla sponda sinistra del Liri. A distruggerla furono gli stessi Romani nel 125 a.C., per reprimere una violenta rivolta contro l’Urbe. Un’ultima incursione nel passato di che ci riporta nei pressi di Ceprano per chiudere l’anello del nostro itinerario in terra ciociara.
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