Volturara Irpina, il paese del dragone e dello sport

In Irpinia scopriamo un volto inedito della Campania tra natura selvaggia, un lago che appare e scompare e un borgo che regala piacevoli sorprese agli amanti dello sport all’aria aperta

Indice dell'itinerario

Se sei a caccia di mete poco note dove puoi rilassarti a contatto con la natura, l’Irpinia è senz’altro da segnare in agenda. Volto inedito di una Campania troppo spesso sottovalutata, la zona, colpita dal terremoto del 1980, regala spunti a chi cerca occasioni per fare sport e gustare una cucina genuina. Vieni con noi a Volturara Irpina che è dotata di una confortevole area camper

Appollaiato sulle pendici del monte Terminio e incastonato nei monti Picentini, il borgo di Volturara Irpina scruta l’intera valle e la piana, una conca di mille ettari di territorio che nella stagione invernale si allaga e si trasforma in un enorme lago in seguito alle consistenti piogge.

Una leggenda aleggia su queste acque: un valoroso cavaliere di nome Gesio riuscì a uccidere con la spada un drago a tre teste che si cibava degli abitanti del posto, portato dai barbari a difesa di un tesoro. Perso il duello, il mostro sprofondò nelle viscere della terra originando tre voragini. Ecco spiegato perché qui tutto rimanda alla creatura mitica a cui si deve la nascita delle grotte sotterranee, dove l’acqua che scorre alimenta l’acquedotto campano e pugliese.

una veduta del borgo di Volturara Irpina

Il bacino, che riflette i colori dei monti che lo incorniciano, viene chiamato lago Dragone e prende il nome di “bocca del Dragone” l’inghiottitoio alla falde del monte Costa, all’estremità della pianura, in cui confluiscono le acque. Questa voragine d’estate è percorribile grazie a un camminamento di cemento lungo settanta metri laterale al flusso d’acqua: chi non se la sente di affrontare il percorso in autonomia si può rivolgere al Cai che organizza escursioni nella dolina. È comunque suggestivo il colpo d’occhio su rivoli e cascatelle che solcano selve e castagneti secolari quando il lago scompare.

Mi trovo in un angolo di Campania, l’Irpinia, solitamente non contemplato tra le destinazioni più appetibili d’Italia. Eppure, la sua natura selvaggia e incontaminata potrebbe costituire da sola un’ottima motivazione al viaggio.

Arrivo in Piazza Roma su cui campeggiano un tiglio secolare, la fontana dei tre cannuoli e la statua di bronzo di Padre Alessandro Di Meo. Su un lato si affaccia la chiesa madre dedicata a San Nicola di Bari affiancata da una torre campanaria pendente. Da qualsiasi punto sono ben visibili le rovine del castello di San Michele abbarbicato sul colle di Santangelo con quattro torri e la settecentesca chiesa di San Michele Arcangelo addossata a un angolo. Il terremoto del 23 novembre 1980 si è portato via ciò che rimaneva della fortezza e buona parte della chiesa.

la Piana del Dragone

Il territorio racconta

C’è lo scarparo con le chiantelle e le bullette, il barbiere con i ferri del mestiere (i rasuli e il pienniello), lo ferraciuccio con la roina e il sciosciamosche. Varcare la soglia del museo etnografico è come compiere un viaggio nel passato e assaporare l’atmosfera genuina della vita semplice di una piccola comunità che viveva di agricoltura e pastorizia.

Il piano terra introduce alla vasta collezione che si snoda sugli altri due livelli: una carrellata di foto in bianco e nero mostra le abitazioni tipiche di una volta (masserie, case coloniche e baracche) che vengono illustrate con un allestimento realizzato con dovizia di particolari recuperando gli arredi e i tessuti dell’epoca. Salendo, ci s’imbatte nelle poteie, le piccole botteghe che un tempo erano il principale luogo di aggregazione sociale, fedelmente ricostruite con tanto di attrezzi e accessori, mentre al piano superiore in una stanza è riproposta un’aula di scuola degli anni Quaranta e Cinquanta.

Il sentiero di Annibale

Dalla piazza salgo per le strette viuzze del nucleo più antico, imbocco la salita San Michele che costeggia il castello fino a raggiungere il Piano del Monte. Grazie alla segnaletica del CAI mi addentro nei boschi di castagno, fino ad arrivare al passo di Annibale con una camminata di circa dieci chilometri in tre ore e quaranta minuti.

Si narra che durante la seconda guerra punica il condottiero cartaginese, sconfitto a Capua (distante una cinquantina di chilometri), sia passato di qua per imbarcarsi a Brindisi e raggiungere l’Africa. Proseguendo sul sentiero raggiungo località Acqua delle Logge, a 1.200 metri di altitudine, dove è presente una sorgente con un abbeveratoio e un rifugio montano.

Continuando ci si addentra in un fitto bosco di faggio prima di sbucare sulla vetta del Monte Terminio, dove il panorama ripaga la fatica: da lassù lo sguardo si spinge fino al Vesuvio e al Golfo di Salerno.

la ferrata di Maroia sul Monte Costa

Con il casco e l’imbrago

Sulla parete ovest del Monte Costa sono presenti varie vie di arrampicata e una ferrata di recente realizzazione, conosciuta come Ferrata Maroia, il primo percorso di questo genere installato in Campania. Dal centro del paese si arriva all’incrocio tra Via Sibilla, Via Candragone e Via Pasquale De Feo. Imboccando la stradina che prosegue verso la parete, seguendo i cartelli, in dieci minuti di camminata si arriva ai tre percorsi di diversa difficoltà (azzurro, rosso e nero) con una via di fuga dopo il primo tratto. Al termine dei passaggi attrezzati si torna al paese basta seguendo i sentieri CAI 145 e 145a: se si va a sinistra si scende nel bosco fino a raggiungere la sporgenza pianeggiante da dove parte la via ferrata,
scendendo invece verso destra si arriva nei vicoli del paese in due ore di cammino.

Tipicità fa rima con libertà

Il territorio di Volturara Irpina, ricco di biodiversità, vanta coltivazioni pregiate come quella del fagiolo quarantino chiamato così perché matura in quaranta giorni. Questa varietà, tenera e leggermente farinosa, è un presidio Slow Food e prodotta soltanto da cinque piccole aziende. Solitamente viene usato come ingrediente di numerose zuppe e minestre della tradizione di Volturara: fasùli e ditalini, laane e fasuli, pasta e fasuli, zuppa rè fasuli o scazzuoppoli (pezzi di impasto fritto) e zuppa di fagioli e patate.

la raccolta del fagiolo quarantino

I fagioli si abbinano bene anche alla castagna di Montella, in particolare alla Palommina Rossa che cresce a mille metri di altezza: si cuociono con le cotiche di maiale e si lasciano soffriggere in aglio, olio e sugna prima di unirli alle castagne secche bollite in acqua, sale e alloro. Il tutto si serve caldo sul pane raffermo.

I terreni del bacino, già di per sé molto umidi, favoriscono la coltura di una speciale patata che non ha quindi bisogno di irrigazione: viene soltanto piantata, zappata e pulita dalle erbacce. Molti contadini la scavano quando piove perché si mantiene di più durante l’inverno grazie all’umidità accumulata.

il caciocavallo, tra le specialità locali


È la regina della tavola da queste parti, utilizzata per numerose ricette della tradizione: cocozza, fasuli e patane, rape e patane, carne re puorco co pepacchie ie patane e ‘nsalata re patane ie baccalà. Anche il caciocavallo podolico dei Monti Picentini è un fiore all’occhiello del territorio e viene usato per insaporire i piatti locali. Volturara Irpina è famosa anche per l’ottima qualità dei frutti del sottobosco come il fungo porcino dalla testa nera e dall’aroma forte, il boletus edulis, comunemente chiamato “sirolo capiniro”.

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Lo sai che per la Campania passano diversi luoghi della rotta di San Michele? Qui ne abbiamo ripercorso le 15 tappe, per un itinerario da Roma al Gargano.

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