A guardare il cielo azzurro di oggi, viene in mente che sarebbe bello planare sui tre pinnacoli di San Marino in mongolfiera, portati dal vento che soffia dall’Adriatico. Ma il preludio abituale al più piccolo stato del mondo, 61 chilometri quadrati di superficie, è la superstrada a quattro corsie che da Rimini procede verso sud-ovest nella pianura romagnola. Dopo 12 chilometri, passata quasi senza accorgersene la segnaletica di benvenuto alla frontiera di Dogana, il confine dell'”antica terra della libertà è raggiunto.
Le rocche medievali e il Monte Titano
Subito dopo la strada comincia a salire, s’attorciglia intorno ai declivi collinari passando gli abitati di Serravalle e Domagnano (due dei nove castelli sparsi nella Repubblica), mentre in lontananza appare e scompare tra le curve la piattaforma rocciosa del Monte Titano, dove svettano a nido d’aquila le tre rocche medioevali. Tra 20 e 15 milioni di anni fa, nel calderone geologico dell’era miocenica, questo spettacolare monolite si faceva notare in mezzo a gigantesche croste di roccia alla deriva. Poi, esauritisi i grandi rimescolamenti orografici, poté finalmente ergersi in tutta la sua imponenza.

Un’ampia curva dopo l’altra, sempre su quattro corsie, l’azzurra vision di San Marino cantata da Giovanni Pascoli sembra ancora la stessa, mentre alle nostre spalle il panorama si apre verso la costa romagnola e marchigiana. Sono lontani i tempi in cui, a piedi o a cavallo, bisognava seguire le sponde del fiume Marecchia per non smarrire il familiare profilo del monte tra le nebbie.
La storia della ferrovia
Ma sono remoti anche quelli della ferrovia a scartamento ridotto inaugurata il 12 giugno del 1932, alla presenza del ministro delle comunicazioni Galeazzo Ciano, per migliorare i collegamenti con l’Adriatico: in quell’occasione l’ottantenne giornalista Valéry Larbaud, pionieristico reporter francese nei primi del Novecento a bordo di un’incredibile auto battezzata Vorace che suscitava la meraviglia degli abitanti di San Marino, inviò alla Repubblica un telegramma che più o meno diceva Cari sammarinesi, avete perso il bene più prezioso: la tranquillità.
Per buona pace di Larbaud, l’11 luglio del 1944, dopo i terribili bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale sul Riminese, il servizio ferroviario fu bloccato per sempre; ma quel trenino bianco e azzurro continua ancora a viaggiare nel ricordo di molti anziani, anche se i vecchi binari sono quasi tutti scomparsi sotto la colata di cemento dei centri commerciali.

Eppure, a dispetto dei mutamenti degli ultimi decenni, a San Marino la tradizione continua a rimanere ben salda. Lo scopriremo in una giornata di fine estate, quasi sempre fresca e soleggiata, quando la Repubblica festeggia l’anniversario della sua fondazione.
La fondazione di San Marino, diciassette secoli fa
Cronache sospese fra leggenda e realtà narrano che il 3 settembre dell’anno 301, ai tempi delle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano, un povero tagliapietre cristiano dell’isola d’Arbe di Dalmazia arrivò a Rimini per partecipare ai lavori di costruzione del porto. Marino, questo il suo nome, dopo aver a lungo osservato la sagoma bislunga del Titano decise di trovarvi scampo dai Romani insieme a un manipolo di seguaci.
Veniva così fondato il primo nucleo della futura Repubblica di San Marino, la più antica e ammirata, una piccola comunità religiosa di pastori e artigiani che lontano dal mondo, tra disagi e stenti, conduceva una vita di grande austerità. Si dice che il pio Marino passasse il tempo esercitando la propria arte di tagliapietre e predicando la parola di Dio. Presto la sua fama incominciò a diffondersi, tanto che persino Felicissima, nobildonna patrizia proprietaria del Titano, venne fin lassù per chiedere al santo di guarire il proprio figlio Verissimo.

Marino pregò il Signore e questi lo esaudì, tanto che Felicissima si sdebitò donandogli tutto il monte. Quando poi il santo morì, lasciò a propria volta il monte alla comunità, pronunciando una sorta di motto che a distanza di diciassette secoli rappresenta ancora le fondamenta spirituali della Repubblica sammarinese: «Relinquo vos liberos ab utroque nomine», vi lascio liberi da ogni altra autorità.
La festa nell’anniversario della fondazione
Già al mattino presto della data fatidica c’è attesa per vicoli e piazze della città di San Marino, da Contrada Omerelli alla torre più alta del monte. Tra poco l’orgoglio patriottico trasparirà come sempre sui volti delle guardie militari che iniziano a convergere alla spicciolata dalle antiche porte della città, insieme ai rappresentanti della banda militare con tromboni e grancasse. Più in alto invece, nel piazzale del Piano dei Mortai, sono già in attesa i due cannoni a tiro rapido e caricamento a bossolo donati a San Marino dalla Svizzera, pronti a sparare a salve con gran fracasso e nuvole di fumo all’interno degli inviolati confini. I lunghi, innocui proiettili cilindrici vengono armati da un manipolo di attempati artiglieri in pensione che svolgono volontariato durante le feste dello Stato.

L’annuale ricorrenza è anche l’occasione unica di vedere radunato l’intero contingente militare, una spettacolare coreografia di uomini d’arme che sfilano indossando la divisa d’ordinanza. Armate di sciabola, sfilano per le erte strade le Guardie del Consiglio Grande e Generale (corpo nato nel marzo del 1740) con divisa blu e gialla e piume di struzzo bianco-azzurre sulla feluca, la Guardia di Rocca con giacca verde, pantaloni rossi, baionetta e pennacchio bianco-rosso e poi la Milizia in divisa blu con moschetto e baionetta, cui è aggregato un corpo bandistico di una cinquantina di elementi.
L’effetto scenico è straordinario soprattutto quando i colori inondano di riflessi il Pianello, com’è confidenzialmente chiamato dai sammarinesi il grande balcone di Piazza della Libertà su cui svetta il Palazzo del Governo. Sui volti dei soldati la tensione è tangibile, ma non turba l’eleganza del portamento. Le uniformi sembrano quasi brillare sotto il sole mentre le milizie marciano impeccabili agli ordini degli ufficiali, e il contrasto con i turisti in bermuda appena arrivati da Rimini è disarmante.

Il corteo e la processione religiosa
Nella stessa giornata, seguita dall’Eccellentissima Reggenza, si svolge anche la suggestiva processione religiosa durante la quale viene trasportata la preziosa teca con le reliquie di San Marino. Al pomeriggio invece, nella Cava dei Balestrieri, si consuma l’affascinante gara di tiro alla balestra proprio accanto a una sorta di piccolo museo d’arte a cielo aperto che espone splendide statue in bronzo di insigni artisti contemporanei: la Ballerina di Venanzo Crocetti, La pattinatrice, Le Api, La Pietà di Giorgio Menguzzi. E’ una visione affascinante, che si fonde a perfezione con le antiche mura dell’altissimo Palazzo del Governo sullo sfondo. Solo il rullo dei tamburi del corteo storico diretto alla Cava distoglie l’attenzione: sfilano infatti verso il campo della disfida decine di figuranti, dame, armigeri e cavalieri negli splendidi costumi rinascimentali.

E’ qui, alla presenza di ospiti illustri e diplomatici, che dal 1339 si sfidano più o meno cinquanta tiratori dei nove castelli di San Marino, sistemati dietro le grandi, micidiali balestre in legno di noce che sprigionano alla massima tensione una forza devastante. La concentrazione dev’essere massima mentre, in un silenzio assoluto, i dardi scoccati da 36 metri cercano di colpire il bersaglio: la testa di un chiodo sistemato sul fondo di un’imboccatura di appena 3 centimetri inserita nel corgnolo, un bersaglio conico lungo mezzo metro. Chi più avvicina la punta della freccia al chiodo sarà il vincitore del Palio: poi, nell’euforia generale, seguono l’esibizione degli sbandieratori e, a notte fonda, i meravigliosi fuochi pirotecnici.

Una passeggiata per il centro di San Marino
Girovagando per piazze e vicoli antichi di San Marino città (delimitata a nord da Porta della Rupe e a sud da Porta San Francesco, antico posto di guardia eretto nel 1361), ci si accorge che l’architettura è scarna ed essenziale. Le graziose stradine paiono male allineate, i palazzi storici sono privi di fregi e con piccole finestre, e anche le antiche mura non presentano tocchi di raffinatezza. Eppure, proprio quest’aspetto semplice e severo accresce la suggestione del borgo in quello che è un vero e proprio tuffo nel passato.
Tra gli angoli più suggestivi, si può passeggiare per le tranquille contrade di Borgolotto e Omerelli fino a Vicolo del Macello, che sta di fronte a Porta della Rupe. Lungo il percorso, l’ex monastero di Santa Chiara ospita il Museo dell’Emigrazione, nelle cui sale la dura epopea dell’emigrazione sammarinese è rievocata attraverso nostalgiche immagini in bianco e nero e oggetti appartenuti alle famiglie partite in cerca di fortuna tra il 1860 e il 1960.
E’ proprio da Porta della Rupe che parte il sentiero Costa dell’Arnello, bucolica strada a ciottoli che in 15 minuti di cammino in discesa tra gli alberi collega, in alternativa alla funivia, il centro storico di San Marino a Borgo Maggiore. Partendo dalla parte alta dell’abitato, si visita invece in Piazzale Domus Plebis la Basilica del Santo, realizzata all’inizio dell’800 in stile neoclassico da Antonio Serra e nella quale è conservata la sacra teca con le reliquie del fondatore. L’attigua chiesetta di San Pietro (visita a discrezione dei custodi o su richiesta all’ufficio turistico) mostra invece l’altare seicentesco in marmo dietro al quale, scavate nella roccia, appaiono due nicchie intagliate che sarebbero state i giacigli dei santi Leo e Marino.

Piazza della libertà
Scendendo di pochi metri si arriva subito a Piazza della Libertà, cuore pulsante della cittadina e centro nevralgico della vita politica sammarinese. Al Pianello, con bella vista sulla vallata del Marecchia, sorgono la statua della Libertà scolpita da Stefano Galletti nel 1876 e il Palazzo Pubblico o del Governo (sulla facciata sono gli stemmi dei castelli della Repubblica), innalzato nel 1884 su progetto di Francesco Azzurri e inaugurato dieci anni dopo da Giosuè Carducci con il suo famoso discorso sulla libertà perpetua.

All’interno si visitano il vasto salone con l’elegante scalinata e, al piano superiore, la splendida Sala del Consiglio, decorata dalla grande tempera ottocentesca di Emilio Retrosi che mostra al centro la figura di San Marino tra la sua gente, sormontato da due angeli, mentre regge un libro con la celebre scritta Relinquo vos ab utroque nomine. Nella stanzetta di fronte, la Sala del Consiglio dei XII, appare San Marino che regge tra le mani la sua città, meraviglioso olio su tela realizzato dal Guercino.
Il Palazzo Pubblico e i due Capitani Reggenti
E’ qui a Palazzo Pubblico che due volte all’anno, con solenne cerimonia e sfilata di milizie ammirate come sempre da un folto pubblico, si insediano per sei mesi di governo i due Capitani Reggenti, i capi dello Stato sammarinese. Quella dell’investitura dei Capitani, immutata nei secoli, è una sorta di rito collettivo che il popolo vive con intensa e solenne partecipazione, quasi come un rito religioso, il 1° aprile e il 1° ottobre di ogni anno, da quando nel 1243 divennero consules Filippo da Sterpeto e Oddone Scarito.

Uno dei più recenti della lista, Mirko Tomassoni, primo capo di stato disabile della storia, ha lasciato l’incarico al suo successore appunto il 1° aprile scorso con gran seguito mediatico, dato che si muove su una sedia a rotelle a causa di un incidente automobilistico e combatte per trasformare San Marino in un luogo privo di barriere architettoniche: compito non facile in uno dei paesi morfologicamente più complessi d’Europa.
Lo stesso interesse, lo suscitò il primo aprile 1981 Maria Lea Pedini, prima donna della storia della Repubblica ad assumere la carica di Capitano Reggente.
Piazza Garibaldi
Proseguendo lungo Contrada del Collegio si arriva subito a Piazza Garibaldi dove appare la prima statua eretta in onore dell’Eroe dei Due Mondi, busto scolpito dal Galletti nel 1882. Fu infatti proprio a San Marino che Garibaldi e i suoi, stremati e senza più speranze, incalzati da 12.000 austriaci dopo la caduta della Repubblica Romana, trovarono salvezza e calorosa ospitalità. Nella vicina, cinquecentesca chiesa di San Quirico dei Cappuccini (all’intero una Deposizione dello Zuccari) una lapide ricorda il discorso che il generale tenne ai suoi sulla scalinata della chiesa – era il 31 luglio 1849 – prima di sciogliere la legione.

Piazzetta Titano
Scendendo ancora si arriva a Piazzetta Titano su cui si affaccia Palazzo Pergami-Belluzzi, del XVI secolo, dove è allestito il Museo di Stato che comprende una sezione archeologica ed espone capolavori come San Marino risolleva la Repubblica di Girolamo Batoni e un San Filippo Neri del Guercino. A pochi passi appare subito la chiesa di San Francesco, la più antica della Repubblica essendo stata edificata nel ‘300. Nei lunghi corridoi su due piani dell’attiguo museo-pinacoteca si trovano la lapide sepolcrale di Frate Antonio, l’abate che diresse la costruzione della chiesa, oltre a preziose opere come l’Adorazione dei Magi (affresco murale forse di scuola marchigiana o di Antonio Alberti da Ferrara), l‘Estasi di San Francesco del Tiziano e la Vergine in trono con Santi di Girolamo da Cotignola.

Le Penne: le tre torri medievali
Ma l’attrazione principale della Repubblica, visibile ogni giorno dell’anno, sono le tre torri medievali arroccate a precipizio sull’orlo del Monte Titano, le cosiddette Penne, come sono chiamate confidenzialmente dai sammarinesi (a loro volta detti “uomini delle penne”). La prima torre o Guaita fu eretta senza fondamenta, direttamente sulla roccia, tra il X e l’XI secolo, epoca oscura di lotte di potere e conflitti in cui la nobile Repubblica, seguendo l’italico esempio, si arroccò in cima al monte con fortificazioni e mura di cinta.

Priva del ponte levatoio di un tempo ma ancora dotata di una formidabile doppia cinta muraria (quella esterna merlata con torrioni difensivi), è in ogni caso il primo fortilizio sammarinese di cui si abbia notizia, dato che il suo nome comparve per la prima volta il 15 agosto 1253 nel registro di un notaio del luogo. All’interno svettano la possente Torre della Penna, ricostruita nel XV secolo, e la cinquecentesca torre campanaria. Nelle prigioni invece si possono ammirare disegni e graffiti ottocenteschi incisi dai prigionieri: la Guaita infatti ha funzionato come carcere fino all’ottobre del 1970.
Via delle Streghe
Proseguendo lungo l’antico sentiero lastricato si percorre la cosiddetta Via delle Streghe, singolare mulattiera a gradoni che scende tra due file di bassi muretti con vista sul vertiginoso precipizio della rupe, rievocando i tempi delle sentinelle con l’alabarda in spalla a guardia del monte. A proposito di armi, proseguendo ancora il cammino si arriva dopo una ripida salita di circa 200 metri alla seconda torre, la Cesta o Fratta, innalzata intorno al 1250 sul punto più alto del Titano, a 755 metri.
E’ al suo interno, nelle vetrinette degli ambienti al pianterreno (stanze dell’antico corpo di guardia e del castellano), che si può ammirare il Museo delle Armi Antiche, una delle più interessanti collezioni d’Italia, comprendente più di 1.500 pezzi tra balestre, armi bianche, da fuoco, alabarde, corazze ed elmi dal Medioevo a fine ‘800. Salendo le ripide scale, si arriva sulla sommità della torre quattrocentesca a cinque lati da dove, nelle giornate più limpide, il formidabile panorama attraversa l’Adriatico e arriva fino alla costa jugoslava, la terra d’origine del santo fondatore.

Proseguendo oltre le mura della Cesta si incontra subito un bivio. Prendendo a sinistra si arriva, in cinque minuti di discesa in mezzo al verde, alla terza torre o Montale (non visitabile), l’antico fortilizio rimasto in attività fino al XVI secolo, circondato da sinistre rocce e anticamente munito di una campana che segnalava sia pericoli imminenti sia l’arrivo di viandanti cui veniva richiesto un pedaggio per il transito. Se invece si prende a destra, un altro breve sentiero ai limiti di un parco naturale arriva al Palazzo dei Congressi.
La fauna sanmarinese
Dovunque si vada, in ogni caso, la visione delle tre Penne in bilico sull’abisso è un emozionante salto all’indietro nel tempo. E nel cielo, come tanto tempo fa, non è raro vedere falchi in picchiata a caccia di prede. Se poi siete fortunati potreste anche incrociare lo sguardo selvaggio di Hagal, una delle poiane addomesticate che il falconiere Albert Matteucci, fondatore della Scuola Romagnola di Cavalleria e futuro abitatore solitario delle Foreste Casentinesi con lupi e rapaci, porta ogni tanto quassù, ben ancorata al braccio destro come ai tempi di Federico II. A ben guardare, lo sguardo di Albert brilla oramai come quello di Hagal. Chi vive col falco, dice del resto un’antica massima di cavalleria perfetta per questo angolo di mondo, un giorno vedrà con i suoi occhi.
Testo e foto di Paolo Simoncelli
