Quali sono le strade migliori da intraprendere per raggiungere la più estrema propaggine del continente europeo? Ce lo racconta un affezionato lettore e caravanista esperto, che ha raggiunto per ben quattro volte Capo Nord.

L’esperienza di Carlo
Pochi giorni prima dell’inizio del primo lockdown nel 2020, il numero di marzo di PleinAir è al solito posto, in bella vista sullo scaffale dell’edicola. La foto di copertina propone un paesaggio a me piuttosto familiare; prendo una copia e, appena arrivato a casa, vado a cercare il servizio. Il titolo è invitante: “Ritorno a Capo Nord” e comincio a leggere con interesse.
Percorsi e toponimi, che dal vivo richiedono giorni di viaggio per essere raggiunti, scorrono velocemente nella lettura, e in breve siamo sulla strada che costeggia il Porsangerfjord: mi fermo, torno indietro, incuriosito da una definizione usata dall’autore, Daniele Giorgini, veterano di avventure su sei ruote. Nel descrivere i vari tipi di viaggiatori che si concentrano in cima al Vecchio Continente sull’unica strada che porta a Capo Nord, attribuisce alle caravan l’aggettivo “temerarie”.
Sorrido pensando a tutte le volte che ho percorso, sempre e soltanto con la roulotte (io la chiamo ancora così!), quegli ultimi centonovanta chilometri che separano Lakselv dal mitico altopiano proteso verso il Mar Glaciale Artico.

Agli amici di PleinAir e a tutta la redazione preciso che sono una vecchia conoscenza: sono comparso sulla rubrica Il Testimone nel lontano giugno 1996, e da allora chilometri di strada sotto la mia roulotte ne sono passati decine e decine di migliaia.
Leggendo il servizio, dunque, mi tornano in mente ricordi e immagini di itinerari meravigliosi, nelle stesse lontane latitudini; ogni volta diversi, anche perché Capo Nord è certamente l’obiettivo principale la prima volta ma nei viaggi successivi subentra l’inevitabile desiderio di esplorare i territori circostanti, e l’estrema punta del continente diventa, giustamente, solo una delle attrazioni di un itinerario entusiasmante.
I 4 viaggi + 1 nel tempo

Possiamo annoverare finora cinque viaggi oltre il Circolo Polare Artico, a cui se ne aggiungono altri due dedicati esclusivamente al sud della Norvegia, zona vasta e interessante, ma con viabilità frequentemente difficile e che non può essere inserita in un unico itinerario da nord a sud, a meno di non disporre di almeno cinque settimane di tempo.
Possiamo dunque affermare di avere scorrazzato in lungo e in largo tutto il cosiddetto Grande Nord, sempre e rigorosamente da soli, ritenendo che le carovane − e per noi due mezzi costituiscono già una carovana − rallentino enormemente la marcia. Nonostante questo, non ci sentiamo assolutamente dei temerari per il fatto di avere sempre e solo viaggiato in caravan − ovviamente trainata da mezzi adeguati, nel nostro caso grosse e potenti fuoristrada − portando con noi i nostri figli, che all’epoca del primo viaggio a Capo Nord avevano otto e quattro anni.

Anzi, con l’accumularsi di significative esperienze di viaggio, abbiamo maturato negli anni la convinzione che il treno fuoristrada più roulotte ci consente di raggiungere in piena sicurezza località non convenzionali e inaccessibili ad altri mezzi; garantendoci al contempo, sempre con un po’ di spirito di adattamento, un certo comfort quotidiano.
La conferma incontestabile della manifesta superiorità… no, mi correggo (non voglio certo urtare la suscettibilità di qualcuno!)… della evidente idoneità della caravan nell’impiego in viaggi estremi ci è stata confermata durante il viaggio in Islanda nell’ormai lontano 2006. Alcuni amici mi diedero del matto, ma il treno fuoristrada più caravan − Toyota Land Cruiser 100 4.2 TD ed Eriba Nova 460, con struttura completamente metallica − si rivelò ancora una volta vincente (si veda il riquadro L’estrema isola a pagina 158).

Ma tornando ai nostri viaggi verso Capo Nord, l’itinerario illustrato sul numero 572 di PleinAir, mi ha stimolato considerazioni sulle numerose strade da percorrere per raggiungere la meta e mi piacerebbe instaurare su queste pagine un’amichevole conversazione che sia funzionale allo scambio di idee e di informazioni utili a chi vuole intraprendere un’esperienza nel Grande Nord, senza avere troppo tempo a disposizione.
Di seguito vi propongo il sintetico racconto dei viaggi volti a toccare l’estrema punta d’Europa affrontati dal nostro piccolo ma affiatato equipaggio.
Capo Nord… secondo me

Per questo itinerario ho sempre dedicato da venti ai venticinque giorni, ovviamente partendo dalla mia dimora in Piemonte. Inoltre ho il vantaggio che mio figlio maggiore, Giulio (quel bambinetto di quattro anni che si affacciava dalla finestra della stessa Eriba Nova 460 pubblicata sul numero di PleinAir di giugno 1996), ha conseguito da alcuni anni la patente BE e mi affianca nella guida del convoglio, mentre il figlio minore, Giacomo, mette a disposizione le sue capacità di utilizzo dei moderni strumenti di comunicazione per organizzare al meglio la trasferta.
Un itinerario di più di novemila chilometri complessivi va pianificato e gestito con accortezza, anche perché costituisce anche un certo investimento: solo il consumo di gasolio va da millecento a millequattrocento litri.

In questo senso è pienamente condivisibile la scelta di dedicare alla meta principale la maggior parte possibile del tempo a disposizione; nelle tappe di avvicinamento e di ritorno rispetto all’itinerario descritto nel servizio, tuttavia, avrei concentrato le energie verso località forse meno blasonate ma – almeno a parer mio – di maggior pregio. Mi permetto di scrivere queste parole perché ritengo che le pagine di questa rivista possano concederci il lusso di una chiacchierata informale tra viaggiatori, offrendo di volta in volta un fertile terreno per riflessioni e scambi di punti di vista.
2000 e 2001: la via più breve e un itinerario più articolato
La prima volta anch’io cedetti alla tentazione di arrivare alla meta più in fretta possibile, seguendo la via più breve attraverso Svezia e Finlandia, perché era tanto il desiderio di raggiungere un obiettivo da tempo sognato, e perché, a causa dell’inesperienza, non avevo una chiara percezione delle strade e delle distanze che avrei trovato, né dei luoghi che avrei attraversato e incontrato, che avrebbero poi, nei viaggi successivi, giustificato una serie di impagabili itinerari alternativi. Questo, comunque, non ci impedì di compiere una prima divagazione, al ritorno, alla scoperta delle isole Lofoten.

Dopo la prima propedeutica esperienza, l’anno successivo programmiamo un itinerario più articolato, che prevede la lunga risalita della Svezia attraverso le strade secondarie dell’interno, e l’ingresso in Norvegia dalle parti di Kautokeino: il “mal d’Artico” si è ormai diffuso in famiglia e, invece che puntare direttamente a Capo Nord, deviamo verso Kirkenes fino a raggiungere il confine con la Russia e lo sperduto villaggio di Grense Jakobselv. Oltre non si può proprio più andare e quella sera ci fermiamo, soli, in riva al Mare di Barents, con la presenza un po’ inquietante delle garitte sovietiche poco distanti. Scendendo lungo il confine raggiungiamo il parco di Øvre Pasvik, che si sviluppa al crocevia tra Norvegia, Finlandia e Russia.

Dopo un paio di giorni ci muoviamo verso ovest, ma Capo Nord deve ancora aspettare: a Ifjord è prevista la deviazione verso nord, nella selvaggia penisola di Nordkinn. Risalendola per circa centocinquanta chilometri, su una strada ancora in buona parte sterrata, raggiungiamo Gamvik e il faro di Slettnes, il più settentrionale del continente.
Qui non posso fare a meno di farmi scattare una fotografia nello stesso punto illustrato a pagina 92 di PleinAir di luglio/agosto 2000, ovviamente con in mano la rivista aperta in quella pagina. Come dicono a Roma? …a fanatico!

Dedichiamo un altro paio di giorni alla penisola di Nordkinn e poi, cediamo di nuovo alla lusinga di Capo Nord, che da lì dista circa quattrocentotrenta chilometri.
Lungo la strada del ritorno ci rendiamo conto che la Finlandia non deve essere considerata solo un corridoio dritto da percorrere il più velocemente possibile, perché offre paesaggi fantastici e situazioni di sosta che consentono una completa immersione in una natura fatta di boschi, fiumi e grandi laghi.

Dopo la consueta visita al villaggio di Babbo Natale, tanto per ritardare un po’ il rientro a casa divaghiamo ancora sulla turistica isola di Öland, nel sud della Svezia.
2005: Lungo la RV17
Passano quattro anni prima di ripercorrere nuovamente le strade del Grande Nord: ovviamente cambiamo ancora itinerario e questa volta la rotta artica passa per la RV17, la strada panoramica lunga circa seicentocinquanta chilometri che da Steinkjer conduce a Bodø in un susseguirsi di curve, ponti e traghetti.

E panorami entusiasmanti di cui vi offriamo alcune suggestioni: l’esplorazione della profonda caverna che attraversa da una parte all’altra il monte Torghatten, e la corroborante nuotata nella laguna davanti al campeggio, il panorama al tramonto della catena montuosa delle Sette Sorelle, l’emozione di attraversare il Circolo Polare Artico navigando in traghetto, il Whale Safari ad Andenes e gli avvistamenti degli enormi capodogli.

Il viaggio prosegue con la traversata in traghetto da Andenes a Gryllefjord, sull’isola di Senja e di lì, dopo otto giorni di eccitanti divagazioni, riprendiamo la E6 in direzione Capo Nord, che raggiungiamo per la terza volta. In questa occasione in effetti la meta ci riserva una notte di emozioni forti delle quali avremmo volentieri fatto a meno: il forte vento da sud-ovest, che già soffia al nostro arrivo, rinforza notevolmente durante la notte e, memore di drammatici racconti di mezzi rovesciati sul tanto agognato promontorio, con seria preoccupazione assicuro lateralmente la roulotte all’auto con una robusta cinghia da traino.

Per fortuna va tutto bene e ripartiamo verso sud, concedendoci durante la traversata della Finlandia il tempo per fantastiche passeggiate nei suoi boschi sconfinati.
2015: La via classica
L’organizzazione del quarto viaggio a Capo Nord, come al solito, è volta a esplorare zone non ancora viste nei viaggi precedenti. Per la salita scegliamo la via classica: la Svezia lungo il Golfo di Botnia e la Finlandia, dove uno dei nostri punti di sosta privilegiati è il Gold Village di Tankavaara, nel quale in una vasta area situata in una foresta di conifere e betulle è stato ricostruito un tipico e suggestivo villaggio di cercatori d’oro, attività ancora oggi molto praticata in quella zona.

Nel comprensorio è stato realizzato anche un museo con testimonianze e reperti dei luoghi dove, nel mondo, si pratica la ricerca e l’estrazione dell’oro, il quale comprende anche uno spazio dedicato alla Riserva naturale della Bessa, nel Biellese, parte del sistema di aree protette della Regione Piemonte di cui sono direttore. Cogliamo l’occasione per invitare gli altri lettori di PleinAir a venirci a trovare; le opportunità per la sosta certo non mancano!

Entriamo poi in Norvegia da Utsjoki e ci dirigiamo verso la penisola di Varanger, spingendoci fino a Vardø, e poi ancora fino al paesino di Hamningberg, su un promontorio proteso sul Mare di Barents: ancora una volta, ecco l’eccitante sensazione di essere partiti da casa ed essere arrivati, con la roulotte, dove la strada finisce, e oltre non si può proprio più andare. Tutto intorno non è nessuno. A Vadsø, lasciata la caravan in campeggio, effettuiamo un’escursione con il fuoristrada nell’immenso altopiano di Varanger, incontrando qua e là gruppetti di renne.

La tappa successiva, dopo aver attraversato tutto il Finnmark, è nuovamente Capo Nord, dove siamo ormai quasi di casa; in roulotte festeggiamo allegramente la bandierina numero quattro.
Lentamente riprendiamo la via del rientro, seguendo la suggestiva strada che conduce ad Alta, poi una deviazione a Tromsø, che sinceramente non ci entusiasma.
Attraversiamo il Circolo Polare Artico a Mo i Rana, ma poco più a sud lasciamo la E6 per raggiungere la costa a Sandnessjøen, e di lì proseguire la discesa sulla RV 17. Il Grande Nord si allontana di nuovo chilometro dopo chilometro e, con la solita attenzione a trovare occasioni buone per fermarsi, riprendiamo la strada di casa.

Per chi leggerà queste righe, noi siamo quelli del treno Toyota ed Eriba. Se ci vedete in giro fatevi riconoscere: sarà bello trascorrere un po’ di tempo e magari fare qualche chilometro insieme, ma non tanti; eh sapete, le carovane…
Carlo Bider
Il + 1: Islanda, l’estrema isola
Il viaggio in Islanda è un momento irrinunciabile nella vita di chi ama la natura selvaggia e gli spazi solitari e incontaminati, e riserva sensazioni uniche agli appassionati di fotografia e di fuoristrada.

Dopo aver ultimato i laboriosi preparativi, finalmente la sera del 26 luglio 2006 il nostro convoglio si muove in direzione della Danimarca. Dopo un paio di giorni arriviamo a Hanstholm, porto danese sul Mare del Nord dal quale la sera di sabato 29 luglio ci imbarchiamo sulla Norrona della Smyril Line, che salpa in direzione nord-ovest sotto un cielo di nuvoloni neri; già il viaggio in nave verso l’Islanda è un’esperienza particolare, in quanto comprende anche uno sbarco obbligatorio di due giorni alle isole Fær Øer: un’occasione veramente unica per visitare questo arcipelago disperso nell’Atlantico settentrionale.
Il pomeriggio del 2 agosto ci imbarchiamo nuovamente per posare, la mattina del 3 agosto, le ruote sul suolo islandese presso il porto di Seyðisfjörður. Una ripida strada in salita di una trentina di chilometri porta a Egilsstaðir, dove incrociamo la Ring Road 1, la strada principale dell’Islanda, quasi tutta asfaltata, che in circa millecinquecento chilometri compie il periplo dell’isola: qui comincia l’avventura.

Decidiamo di percorrere l’anello d’asfalto in senso antiorario, dirigendoci dunque verso nord. Il nostro programma prevede trasferimenti con la roulotte lungo la strada principale, in prossimità della quale trovare luoghi dove sostare per la notte; e da lì partire con il solo Toyota per le località, sulla costa o nell’entroterra, raggiungibili unicamente con veicoli fuoristrada. In effetti, al di là dei divieti di percorrenza per le normali automobili, in molti dei posti più significativi dell’Islanda si arriva solo attraverso piste, lunghe decine o centinaia di chilometri, di sabbia, ghiaia o rocce laviche, inevitabilmente attraversate da guadi anche profondi.
Durante le tre settimane del viaggio raggiungiamo il vulcano Askja, nella zona del lago Mývatn; ci ritagliamo il tempo per esplorare i fiordi occidentali, di solito trascurati dal turismo organizzato, su strade coperte di fanghiglia che portano all’estremità nordoccidentale del continente europeo, di fronte alle coste della Groenlandia; poi, dopo Reykjavík, l’esplorazione della costa meridionale con emozionanti puntate nelle piste desertiche dell’interno; Geysir, le grandi cascate, le spiagge nere di Vik, le sorgenti termali di Landmannalaugar, la salita sull’impervia pista sulle pendici del vulcano Hekla, la laguna Jökulsárlón, l’immenso ghiacciaio Vatnajökull.

La mattina di giovedì 24 agosto ci imbarchiamo nuovamente sulla Norrona, che lascia lentamente il profondo fiordo di Seyðisfjörður; la traversata di ritorno è più veloce perché ci sono solo due soste tecniche senza sbarco, alle Fær Øer e alle Shetland. Così nel tardo pomeriggio di sabato 26 agosto sbarchiamo a Hanstholm, mentre sul molo si stanno allineando mezzi fuoristrada di ogni tipo pronti ad imbarcarsi per l’Islanda. Li guardiamo con un po’ d’invidia e ci mettiamo in marcia verso sud.
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