L’altra Grecia

Dall’Epiro alla Macedonia Centrale si snoda un itinerario che raggiunge Salonicco mostrando il volto più selvaggio della penisola ellenica. Tra fiumi, gole e laghi di montagna si va alla scoperta di sorprendenti siti archeologici, chiese bizantine e tesori di antichi re

Indice dell'itinerario

Nel denunciare il progetto di collegamento autostradale fra Igoumenitza e Giannina, una quindicina d’anni fa un foglio ambientalista ellenico si riferì al cosiddetto assassinio di Dodoni. La nuova arteria avrebbe disturbato con il rombo dei motori (appena un chilometro la distanza indicata) un importante complesso archeologico. Accese polemiche fermarono per anni il completamento dell’opera ma oggi l’autostrada non altera la pace del sito: le venne impedito di nuocere intubandola in una galleria di 3 chilometri. Il famoso oracolo si può dunque visitare apprezzando la bellezza dell’ambiente e i tanti resti antichi fra cui il sito della quercia sacra, dove attraverso lo stormire delle foglie o la vibrazione dei bronzi Zeus dava ai sacerdoti segnali sul futuro. A quel santuario si accorreva da tutta la Grecia, ma ancor prima Dodoni era sacra alla divinità della fertilità e delle messi. Il grande e ben conservato teatro fu voluto invece nel III secolo dal re dei Molossi, Pirro, che nel bacino di Giannina aveva la sua capitale – la città di Passarone – e che ricordiamo dai testi scolastici per una vittoria sui Romani pagata a carissimo prezzo.

Il teatro di Dodoni fu voluto nel III secolo a.C. da Pirro, re dell’Epiro
Il teatro di Dodoni fu voluto nel III secolo a.C. da Pirro, re dell’Epiro

Ed eccoci nella città di Giannina, dalla quale parte l’itinerario con cui ci proponiamo di raggiungere Salonicco attraverso la natura e le culture di una Grecia interna decisamente meno nota di quanto meriterebbe. Provenendo dall’autostrada ci s’inoltra nel centro cittadino seguendo la Via Dodoni, asse commerciale dell’abitato che sbuca infine alle rive dell’ampio Limni Pamvotida: un lungolago ombreggiato da folte chiome di platani è favorevole sia nella calura del giorno che per la sosta notturna. Ci si trova a costeggiare l’anello di antiche mura bizantine e turche che proteggevano la strategica penisola, passata nel tempo per le mani del principe normanno Boemondo, poi in quelle dei Serbi e anche degli italiani Esaù Buondelmonte e Carlo Tocco il cui despotato d’Epiro si protrasse dal 1385 al 1430, anno della conquista ottomana durata fino agli inizi del’900. Per un ingresso che si apre nelle mura entriamo nella città vecchia e in seguito nella Its Kale, il verde e arioso recinto castellano che tra ‘700 e ‘800 ebbe in Alì Pascià il suo personaggio più famoso. Tra gli altri edifici circoscritti nella Kale, che comprendeva un enorme harem, spiccano le cucine dai caratteristici comignoli (oggi caffè a uso dei visitatori), l’interessante Museo Bizantino dell’Epiro, un’esposizione di argenti, una piccola moschea ottagonale disegnata dallo stesso Alì e la sua tomba, circondata da una sorta d’alta gabbia di ferro battuto. Esterna alla Kale, l’altra moschea del centro storico è quella seicentesca di Aslan Pascià, oggi museo comunale, con una bella terrazza panoramica sul lago. Quanto ad Alì Pascià, albanese di Tepeleni che aveva sposato una greca e che il sultano designò governatore di Giannina, fu uomo capace di grandi crudeltà ma anche abile amministratore e diplomatico che estese i suoi poteri su un vasto territorio distaccandosi via via da Istanbul: la Sublime Porta reagì accusandolo di tradimento e inviando un esercito che impiegò quindici mesi a espugnare la città.

All’inizio del lungolago c’è l’ormeggio della motobarca che in un quarto d’ora porta alla piccola Isola di Giannina, con una dorsale a pineta sulle cui pendici settentrionali affaccia tra canneti palustri il porticciolo di un grazioso villaggio, abitato in buona parte da pescatori fattisi anche ristoratori. Dei suoi cinque antichi monasteri, tra icone e affreschi, quello di San Giovanni Battista possiede una chiesa e una grotta che fu adibita a eremo, mentre in quello di San Pandeleimon si trova la camera che offrì l’ultimo rifugio ad Alì Pascià in attesa del perdono del sultano. Ma invece della grazia arrivarono i sicari e Alì, a scanso di equivoci, venne perfino decapitato post mortem.

Prima di lasciare Giannina un’escursione da non tralasciare è quella all’antichissima grotta di Perama: una collinetta calcarea nasconde un chilometro di gallerie con stalattiti e stalagmiti di bella varietà cromatica, straordinarie soprattutto per la continuità delle concrezioni che hanno colonizzato ogni superficie disponibile.

Un territorio difficile

La scalinata che s’inerpica per più di 200 metri fino al villaggio di Vradeto
La scalinata che s’inerpica per più di 200 metri fino al villaggio di Vradeto

Nel Pindo settentrionale, estesa zona montuosa dalla quale si levano cime alte fino a 2.600 metri, l’isolamento e le difficoltà d’accesso insieme alle vicende storiche sottrassero il territorio dello Zagori alla violenza delle invasioni anche quando nel 1430 l’espansionismo islamico raggiunse l’Epiro. Una delegazione dei villaggi zagoriani riuscì a negoziare con gli Ottomani, che in cambio del pagamento di un tributo concessero libertà religiosa e autonomia negli affari, accettando inoltre di astenersi dall’occupare la regione. Fu l’inizio di una prosperità destinata a protrarsi nel tempo: non solo il territorio sfuggì alla piaga degli smembramenti feudali, ma vi si rifugiarono persone abbienti e commercianti che seppero mantenere fruttuosi rapporti con le piazze mercantili dell’impero. Una situazione di benessere che raggiunse l’apice negli anni di Alì Pascià: il visitatore può vederne gli effetti nella signorile architettura in pietra tagliata che caratterizza questi paesi. A trarne vandaggio fu anche la viabilità, che in un territorio così aspro e solcato da molti corsi d’acqua si arricchiva di numerosi ponti.

Il ponte di Kalogeriko si attraversa su un caratteristico piano ondulato che segue il disegno a dorso d’asino delle tre arcate.
Il ponte di Kalogeriko si attraversa su un caratteristico piano ondulato che segue il disegno a dorso d’asino delle tre arcate.

Dal 2007 la regione dello Zagori con la maggior parte dei suoi 46 villaggi ha visto l’unificazione e l’ampliamento dei due parchi preesistenti, che ora coprono quasi tutto il Pindo settentrionale. Di spiccato interesse ambientale per la presenza di specie endemiche, la grande area protetta vanta una fauna che va dall’orso bruno all’aquila reale e dal camoscio al gatto selvatico. Una ventina di chilometri oltre Giannina, un bivio sulla strada per Konitsa permette di muoversi alle pendici e lungo i fianchi dei monti del Tymfi. Le indicazioni per Koukouli, Kipi, Capessovo, Tsepelovo portano su una strada di fondovalle dove si scoprono alcuni bei ponti in pietra. Il primo, sulla sinistra a un centinaio di metri dalla strada, è solo un ponticello a dorso d’asino di recente restauro. È invece imponente, appena qualche chilometro più avanti, il ponte di Noutsou, sempre a una sola arcata, che domina lo sbocco di una valle selvaggia e risale alla metà del ‘700. Una cavità ricavata nella parete rocciosa doveva servire a dare riparo ai viaggiatori che incontravano cattivo tempo. Più avanti si svolta sulla destra in direzione di Kipi, con il Museo del Folklore dello Zagori, per incontrare il singolare ponte Kalogeriko che possiede un piano ondulato per rispettare l’andamento delle tre arcate, ognuna leggermente più piccola della precedente: l’opera fu realizzata da un monaco all’inizio dell’800.

Tornati alla strada principale saliamo a Kapessovo, presso la gola di Mezaria, punto di partenza per l’escursione alla scala di Vradeto che sale su una parete quasi a picco. La lunga serie di piccoli tornanti lastricati fu realizzata per superare il dislivello di oltre 200 metri con la zona pianeggiante dove sorge il villaggio, dedito essenzialmente alla pastorizia: superato il ponticello di fondovalle è necessario mettere in conto almeno un’ora e mezzo di percorso. Prima di Kapessovo una strada consente di raggiungere Vradeto guidando per 9 chilometri su tratti di sensibile pendenza. In alto, la vecchia chiesa e i pochi edifici in calcare da taglio.

Monodendro è uno dei paesi più interessanti nell’aspro territorio dello Zagori
Monodendro è uno dei paesi più interessanti nell’aspro territorio dello Zagori

Vitsa e Monodendro sono due villaggi fra i più conosciuti dello Zagori e si caratterizzano per la qualità estetica delle costruzioni. Vale la pena di esplorarli e da Monodendro – parcheggiato il mezzo al termine dell’abitato – compiere la passeggiata all’Agia Paraskevi, piccolo eremo disabitato al margine della gola di Vikos voluto agli inizi del ‘400 da una famiglia del luogo: la figlia, chiamata Parasceva come la santa romana, ne sarebbe stata una delle prime monache. Il complesso, in straordinaria posizione e liberamente accessibile, dispone di una fonte d’acqua e dal suo interno si può accedere, sulla sinistra, a un sentiero che segue in quota i precipizi; d’altra parte, Monodendro è il luogo di partenza del sentiero di 10 chilometri che in circa sei ore permette di percorrere l’intero canyon.

Tornati al mezzo, conviene proseguire sulla strada panoramica che termina 7 chilometri più in alto al belvedere Oxia. Si osservano molte delle singolari stratificazioni calcaree da cui sono estratte le tavolette di pietra che nello Zagori ricoprono a mo’ di tegole le abitazioni; allo slargo terminale basterà continuare brevemente su un sentiero ben riconoscibile per godere dall’alto la più spettacolare veduta sulla lunga gola di Vikos.

La strada ci porta ora in una piana di fondovalle dove pascolano mandrie di bovini. Sotto il villaggio di Kato Pedina, dove si può ammirare la piccola chiesa a pianta ottagonale dei Tassiarchi (Arcangeli), la via sale a un passetto dal quale all’improvviso appare tutta la parte occidentale del Tymfi. Più in basso prendiamo la laterale per salire a Vikos, che dà il nome alla lunga gola profonda fino a 1.200 metri: la veduta dal belvedere nell’abitato è magnifica. Nel villaggio, l’interessante chiesa della Panagia con la piazza dal grande platano e una fontanella dall’acqua freschissima.

Toccato il centro di Aristi prendiamo la strada in discesa che ci porterà a un bivio sulla sinistra da dove si continua a piedi in un bosco d’alto fusto fino a Panagia Spiliotissa. Costruito alla metà del ‘600, questo monastero fu adattato alle forme del roccione a cui si appoggia ma verso la fine del XIX secolo venne devastato prima da un’incursione di predoni e più tardi da un terremoto; un recente restauro non è stato accompagnato da sufficiente manutenzione, e il monastero appare abbandonato.

L’antico ponte di Kleidonia sul fiume Voidomatis
L’antico ponte di Kleidonia sul fiume Voidomatis

Il vicino corso d’acqua è il Voidomatis, che un ponte più avanti permette di varcare. Le sue limpide e gelide acque e le radure ombrose invogliano a prolungare la sosta prima di affrontare la montana serpentina verso Papingo, dove non manca un’ampia zona per parcheggiare. Continuando a piedi si può incontrare qualche bella casa d’architettura zagoriana; la strada sulla destra dell’insolito campanile della chiesa di Agios Vlassios, praticabile in camper, sfiora un ponte dell’antica mulattiera e raggiunge la chiesa di Micropapingo, accanto alla quale si trovano spazi per il posteggio. Il villaggio è il più conveniente punto di partenza per l’escursione al rifugio del Drakolimni di Tymfi (2.100 m), uno dei suggestivi laghetti in cui vive l’anfibio Triturus alpestris. Per l’impegnativa salita occorrono 4 ore e mezzo; più lungo ancora è il percorso per il rifugio del Monte Astraka, le cui torri di pietra giganteggiano alle spalle di Micropapingo.

Occorre ridiscendere ad Aristi per seguire la strada verso Konitsa, lungo la quale una breve deviazione (non segnalata, domandare ad Aghios Minas) conduce a un altro sito delizioso, il ponte di Kleidonia, costruito nel 1853, dove concludono le discese sul Voidomatis gli appassionati di rafting. Secondo la tradizione, il sito fu scenario dello scontro fra le famiglie Gerenis e Stamati, venute ai ferri corti mentre un corteo nuziale dei primi passava sul ponte: la sfida degenerò in una tragica battaglia nella quale persero la vita entrambi gli sposi. Un altro ponte d’epoca si trova allo sbocco delle gole dell’Aoos, alle porte di Konitsa. Provenivano da questi paraggi gli scalpellini più esperti dello Zagori, e le difficoltà dell’opera non impedirono di portare a compimento un’arcata alta 20 metri e lunga 40.

Da Konitsa ai Laghi Prespa

La cittadina di Kastoria è costruita sulla sella di un promontorio che si trova al centro dell’omonimo lago
La cittadina di Kastoria è costruita sulla sella di un promontorio che si trova al centro dell’omonimo lago

Oltre Konitsa la E90 non incontra molti villaggi. Dopo un lungo tratto in salita si scende nel fondovalle largo e sassoso del Sarandaporos, che costeggeremo a lungo prima di entrare nella Macedonia Occidentale. Quando notiamo con la coda dell’occhio una piccolissima tabella indicante la direzione Kastoria, la vecchia abitudine a preferire le secondarie ci spinge a rinunciare alla strada 90. Sperimentiamo così una solitaria variante fra le colline, che lascia sulla sinistra il gruppo del selvaggio Monte Grammos e, toccato il villaggio di Nestorio, entra nella piana dell’Aliakmonas. Fra curve e saliscendi raggiungiamo Kastoria risparmiando una quarantina di chilometri.

La città, di chiara tradizione bizantina, è tuttora legata alla produzione di pellicce che fu incoraggiata dalla dominazione ottomana. Le divise degli ufficiali e le palandrane dei tanti commercianti ebrei ospitati in seguito all’espulsione dalla Spagna includevano infatti parti in pelliccia, la cui fornitura comportò per Kastoria privilegi fiscali e notevoli profitti. Tanta prosperità spiega le numerose chiese e i molti arkontika, eleganti palazzetti edificati tra ‘700 e ‘800. La città si adagia nell’insellatura del promontorio sul suo specchio d’acqua, e si annuncia invitante già dall’arioso lungolago che si allarga in un ordinato parcheggio alle soglie del centro storico.

Un viottolo accanto all’edificio della prefettura introduce a resti di antiche mura; continuiamo costeggiando le rive e lasciamo il mezzo accanto a un parco giochi per esplorare l’adiacente zona del centro storico dove, tra altri arkontika, il palazzetto Emanuel del 1750 ospita il Museo della Cultura Popolare. Proseguendo nel periplo peninsulare si giunge – superato l’ospedale, oltre il quale non è consentito invertire il senso di marcia – al millenario monastero Panagia Mavrotissa (e a un caffè-ristorante con spazi di libero parcheggio): il complesso sacro è adorno di affreschi bizantini del ‘300, anche all’esterno. A seguire, la litoranea si restringe e richiede attenzione alla guida per qualche albero inclinato verso la strada, ma offre suggestivi angoli di lago, affacciandosi infine sulla parte settentrionale della città.

Un’altra esplorazione con uso del v.r. ci porta sul percorso tutto in salita e a senso unico che attraversa i vecchi quartieri per giungere al limite dell’abitato alla chiesa del profeta Elia, patrono dei pellettieri. Qui, in uno slargo fra i pini della strada sulla destra, si possono anche rinnovare le scorte d’acqua. Invertita poi la direzione e lasciata Prophitis Ilias sulla sinistra, si sale con una panoramica fino a uno spiazzo per poi riscendere all’ospedale, godendo le ampie vedute sul lago e sui lontani villaggi.

il millenario monastero Panagia Mavrotissa
Il millenario monastero Panagia Mavrotissa

Da non perdere una gita sul lungolago che da Kastoria porta al villaggio di Dispilio, dove basta svoltare a sinistra dopo il distributore per trovare il parcheggio a servizio di un sito archeologico alquanto particolare. Si tratta del luogo in cui furono scavati i resti di un villaggio neolitico su palafitte (VI-IV millennio a.C.): l’insediamento è stato accuratamente ricostruito tra giunchi, passerelle e piccole imbarcazioni lignee ricavate da un unico tronco, in un ambiente solitario e suggestivo che mostra anche oggetti della vita quotidiana che corredavano le capanne.

La prossima tappa è costituita dai due Laghi Prespa, a 850 metri di quota. Il più grande segna i confini di Albania, Macedonia e Grecia, che ne possiedono settori separati. Si tratta di una zona di particolare interesse ambientale per le biodiversità, giacché offre siti di sosta e di nidificazione per numerose specie di uccelli anche rari: nel 2000 i tre paesi hanno firmato la nascita del primo parco naturale sovranazionale dell’area balcanica.

Per raggiungere il Mikri Prespa (il più piccolo, come si desume dal nome) prendiamo il percorso scorrevole e veloce che si stacca dalla strada per Nestorio e, dopo aver lasciato sulla sinistra una deviazione per l’Albania, ne troviamo presto un’altra per i laghi. Dopo alcuni chilometri e al di là di una sella un ampio slargo permette di godere un bel panorama del territorio sottostante.

Sulle rive del Limni Kastorias, nei pressi dell’abitato di Dispilio, è possibile visitare un sito neolitico con la ricostruzione di un insediamento su palafitte
Sulle rive del Limni Kastorias, nei pressi dell’abitato di Dispilio, è possibile visitare un sito neolitico con la ricostruzione di un insediamento su palafitte

Mikrolimni si trova al margine del lago. È un villaggio di tranquilli pescatori che infilano sugli ami dei palamiti chicchi di mais bollito, con un paio di taverne dove ci si può sedere per un fritto di carpa. Fermandoci per la notte, potremo avere conferma all’alba di quanto i giuncheti litoranei siano graditi in particolare a grandissime colonie di pellicani e cormorani. Circondato da monti che talvolta superano i 2.000 metri, l’isolato bacino dei Prespa è il solo in questo lembo di Grecia a essere tributario dell’Adriatico invece che dell’Egeo. Si trattava in origine di un unico lago diviso da una lingua di terra creata nei millenni dai depositi del torrente Agios Yermanos, che ospita in quota un altro esempio di biodiversità con una trota bruna locale a forte rischio di estinzione. Un piccolo canale rende oggi comunicanti i due laghi. Agios Yermanos è il più importante dei tredici villaggi nel settore greco dell’area protetta. Oltre a disporre di un utile ufficio informazioni, comprende diverse case tradizionali e una chiesetta bizantina degli inizi dell’XI secolo – in ottimo stato di conservazione – che fu primo nucleo dell’abitato e contiene affreschi soprattutto della metà del ‘700.

Ad alcuni chilometri di distanza, nei pressi del villaggio di Platù (dove se ne può chiedere la chiave), quella che all’esterno potrebbe sembrare un misero casolare è invece un’altra chiesa, conosciuta come Agios Nikolaos o Agia Sotira. All’interno tutto cambia e le pareti sono ricoperte di affreschi della fine del ‘500; peccato che la poca luce non permetta di apprezzarli come meriterebbero.

L’antico ponte di Kleidonia sul fiume Voidomatis
L’antico ponte di Kleidonia sul fiume Voidomatis

Spostandoci sull’istmo arriviamo al punto più prossimo all’isola di Agios Achillios, raggiungibile a piedi per un pontile metallico di qualche centinaio di metri oltre il quale scopriamo una decina di case e alcuni sentieri che conducono ai resti di antiche chiese. Tra esse quella che più colpisce è la basilica intitolata a Sant’Achille, dell’XI secolo, con tre navate e tre absidi: venne costruita per ospitare le spoglie del santo asportate da Larissa e fino al ‘500 fu meta di pellegrinaggi. Degli altri edifici religiosi dell’isola, Agios Georghios e soprattutto Panagia Porphyra conservano affreschi interessanti. Ma un vero posto da anacoreti dovette essere anche l’altra isola del piccolo Prespa, la microscopica Vidronisi, con resti di un piccolo edificio sacro.

I ruderi della basilica di Agios Achillios, in posizione spettacolare sull’omonima isola
I ruderi della basilica di Agios Achillios, in posizione spettacolare sull’omonima isola

Ritornando dal pontile verso l’istmo s’incontra la deviazione che sale e scende fra i boschi sino all’isolato paesino di Psarades, pittorescamente aperto alla vastità del Megali Prespa e la cui vocazione peschereccia è confermata dalle numerose taverne. Qui ci si può far accompagnare in barca a visitare alcuni rari eremitaggi costieri e antichi monasteri in roccia, oppure approfittare della spiaggia per una nuotata nel lago.

Verso l’Egeo

La chiesa medioevale di San Biagio a Veria
La chiesa medioevale di San Biagio a Veria

Il nostro itinerario continua ora verso Salonicco. Si sale di quota e oltre Pissoderi una possibilità di sosta è data dall’area sciistica di Vigla. Discesi tra i boschi di Florina si può effettuare una tappa per visitare il museo archeologico, con alcuni affreschi del XII secolo che furono staccati dalla basilica di Sant’Achille. Costeggiato l’esteso Lago Vigoritida si può puntare sull’animato centro di Edessa. Poco prima di arrivarci si trova sulla destra uno sterrato con fontana adatto a un rifornimento. In città, nei pressi dell’ombroso sito delle cascate – dove il piccolo acquario curiosamente ospita anche una coppia di salamandre chiamate Pericle e Aspasia – c’è un vecchio quartiere con un paio di chiese bizantine. La più interessante è quella della Koinesis, risalente al ‘400, con pitture in discreto stato di conservazione e un pulpito dorato.

Favorita dalla fertilità del suo territorio, Veria divenne verso l’XI secolo un’unità militare e amministrativa indipendente. Il suo patrimonio monumentale consta soprattutto di antiche chiese e cappelle (diverse delle quali visitabili rivolgendosi al museo archeologico), tra cui meritano attenzione quelle del Salvatore, di Quirico e Giulitta e di Agios Vlasios o San Biagio; da non perdere la visita all’interessante museo bizantino alloggiato in un ex mulino.

Decorazioni pittoriche di varie epoche adornano la chiesetta bizantina di Agios Germanos
Decorazioni pittoriche di varie epoche adornano la chiesetta bizantina di Agios Germanos

Oltre Veria ci si dirige verso Vergina per visitare il famoso gruppo di tombe reali scoperte nel 1978, che per l’importanza storico-artistica del ritrovamento e per l’eleganza dell’allestimento museale costituiscono uno dei grandi siti dell’archeologia greca. Il luogo è stato accertato essere Aiges, dove Filippo II, padre di Alessandro Magno, fu ucciso nel 336 a.C. in un attentato durante i festeggiamenti per le nozze della figlia. Insieme alle tombe emerse dagli scavi vennero alla luce opere di eccezionale valore e diademi d’oro, come aurei erano gli scrigni contenenti le spoglie del sovrano e di una donna della famiglia.

Raggiungiamo dunque Salonicco, capoluogo della Macedonia Centrale, dove conviene inserirsi per un più rapido orientamento nella larga Via Nikis, arteria costiera a senso unico ovest-est. Qui i due punti di riferimento sono Piazza Aristotele, grande salotto cittadino di fronte all’Egeo, e la Torre Bianca, non lontana dall’ufficio d’informazioni turistiche sulla parallela Via Tsimiski. Una piantina della città sarà essenziale per muoversi a piedi con sicurezza, ma da qui si potrà anche avere un comodo approccio all’area che ci interessa, estesa nella fascia sud-nord fino all’acropoli e alle sue mura. La seconda città della Grecia fu fondata nel 315 a.C. da Cassandro, generale di Alessandro Magno che le dette il nome della moglie, Tessalonica, sorella del condottiero macedone. Salonicco, come oggi la chiamiamo, è città vivace e moderna, con un porto importante, ricca di commerci non meno che d’arte e riferimenti culturali. L’attraversa una storia di 2.300 anni nella quale ebbero le presenze più durature Romani, Bizantini, Ottomani. Mentre scriviamo si sta dotando dei suoi primi dieci chilometri di metropolitana.

Salonicco, la trecentesca basilica di Agios Panteleimon
Salonicco, la trecentesca basilica di Agios Panteleimon

Il primo incontro della visita alle attrattive principali della città è in Piazza Navarinou con ciò che rimane del palazzo di Galerio, l’imperatore romano che si era scelto come sede proprio Tessalonica. Procedendo verso nord e attraversando la Via Egnatia, che collegava il Mare Adriatico a Costantinopoli, s’incontra l’imponente arco con i bassorilievi che ne celebrano le vittorie sui Persiani e su altri popoli dei confini orientali. La chiesa detta La Rotonda era in origine un mausoleo circolare destinato probabilmente a ospitare la sepoltura di Galerio, morto invece a Roma, e modificato per divenire chiesa di San Giorgio e poi moschea nel periodo ottomano (è ancora visibile il minareto).

Tornando verso sud, prima di riattraversare l’Egnatia s’incontrano l’elaborata e pregevole costruzione bizantina di Agios Panteleimon (del ‘300, che fu chiesa di monastero e poi moschea verso il 1570), e la Panagia Acheiropoietos, originaria del V secolo, il cui nome si riferisce a una miracolosa icona mariana non dipinta da mano umana. Anch’essa fu poi destinata a moschea, come del resto la grande Agia Sofia (VII-VIII secolo) edificata sui resti di una chiesa basilicale e dove è ben riconoscibile il momento di passaggio dalla basilica di stampo romano a quella bizantina a pianta centrale; nella cupola è da segnalare il mosaico di Cristo Pantocratore.

Ripreso l’asse dell’Egnatia ecco sull’altro lato la Panagia Chalkeon, della prima metà del Mille, di forme squisitamente bizantine. Era la parrocchia di fabbri e calderai che avevano le botteghe appunto nella zona. Di qui in poi il nostro percorso è in salita: si prende la strada sulla destra (che tocca una delle rare aree di parcheggio) per poi giungere all’estesa agorà e più su ad Agios Dimitri, nella cui cripta fu sepolto il patrono della città. Si tratta di una basilica a cinque navate, con capitelli, mosaici, marmi di svariati colori e di differenti epoche; le diverse altezze delle colonne di spoglio impiegate furono compensate applicando singoli basamenti aggiuntivi. Di minori dimensioni ma di forme elaborate Prophitis Ilias, che fu chiesa di un monastero del ‘300.

L’Arco di Galerio e la rotonda che in origine doveva ospitare la sepoltura dell’imperatore romano a Salonicco
L’Arco di Galerio e la rotonda che in origine doveva ospitare la sepoltura dell’imperatore romano a Salonicco

Appena fuori ci si tiene sulla destra per inserirsi in un dedalo di stradine e scalinate di sapore ottomano; meglio domandare per raggiungere il monastero Vlatades, tuttora in funzione e dal quale la città appare in basso come un grande ventaglio bianco aperto fino al mare. Da quassù sembra sia passato Paolo di Tarso nel viaggio verso Roma del 49, in fuga da Tessalonica dove il proselitismo suo e degli altri cristiani allarmava la sinagoga che lo denunciò alle autorità; verso est si scorge la lontana sagoma della grande chiesa di San Paolo che, pur recente, mantiene il tipico colore rosso mattone delle chiese bizantine. Da Vlatades sono ormai pochi passi per attraversare la cinta delle antiche mura dell’Acropoli, e guadagnare le torri dell’Eptapirgio, che dalla fine dell’800 fu a lungo prigione; da esso le mura si prolungavano alla Torre Bianca, baluardo e simbolo cittadino che fronteggia il mare.

Trovandoci a visitare la più bizantina delle città greche (detta anche la seconda Costantinopoli), i cui edifici paleocristiani sono inclusi fra i patrimoni dell’umanità elencati dall’Unesco, non possiamo mancare una visita all’interessante Museo della Cultura Bizantina, ideale per comprendere la storia delle più antiche comunità cristiane: articolata in undici gallerie con suddivisioni per argomenti e periodi, la struttura ha ricevuto nel 2005 il prestigioso Museum Prize del Consiglio d’Europa.

Passeggiando accanto alle rovine dello splendido Foro Romano il pensiero va alla storia millenaria della Grecia, alle grandi battaglie combattute e allo straordinario contributo alla cultura che hanno dato le popolazioni di queste terre. E’ questo il nostro congedo prima di fare ritorno in Epiro per imbarcarci di nuovo verso casa. 

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