Viaggio in camper in Marocco: ritratto a tinte forti

Impossibile resistere alle tentazioni del Marocco: a quell'incredibile caos di volti e rumori, di odori e colori, a uno stile di vita che nessun occidentale vorrebbe adottare. Ma capace di affascinare al punto tale che, come per incanto, le contraddizioni di un popolo diventano anche quelle del turista.

Indice dell'itinerario

“Il Marocco è un susseguirsi di porte che si spalancano a mano a mano che si avanza. E non si può avanzare se non visitandolo assiduamente, e conservando in sé il desiderio dello stupore, la curiosità di conoscere e di assimilare”. Le bellissime parole di Tahar Ben Jelloun, il più grande scrittore marocchino contemporaneo, invitano a scoprire l’anima del paese: ecco allora il nostro viaggio in camper nella splendida terra del Marocco.

Rabat

Rabat: il mausoleo di Mohammed V

Rabat, da sempre porta verso l’occidente e unica città imperiale lambita dal mare, è la capitale del Marocco. Non a caso qui l’impatto con l’alterità del paese è meno forte che altrove e lungo i viali ordinati, sui cui affacciano eleganti costruzioni, si respira un’aria aristocratica in netto contrasto con il passato, quando era rifugio di corsari e predatori.

Ne conserva il ricordo la superba Casbah des Oudayas (ovvero dei pirati), a picco sull’oceano. Un labirinto di viuzze tra case bianche e azzurre, in un contesto insolitamente pulito e accogliente, con volti sorridenti che non chiedono nulla fuorché un saluto: niente illusioni, non sarà così in nessun altro luogo. Lo spettacolare panorama dalla terrazza del moresco Café Maure al tramonto regala emozioni particolari che investono anche il candido cimitero musulmano e il silenzioso centro di Salé, sull’altra sponda del fiume Bou Regreg.

Oltre le possenti mura andaluse, la Tour Hassan localizza ciò che resta del sogno di grandezza dell’impero almoiade: le rovine dell’immensa moschea a diciannove navate eretta in occasione della crociata contro gli infedeli castigliani. Una testimonianza struggente, suggellata dal mausoleo che conserva le spoglie della famiglia reale di Mohammed V: ciò che colpisce, ancor più della sua fastosa ricchezza, è la devozione della gente comune e d’ogni età che vi si reca in pellegrinaggio.

Meknès

La Madrasa Bou Inania a Mèknes

Non è così lontana Meknès, sede imperiale sotto il discusso sultano Moulay Ismail: solo 150 chilometri, eppure il clima è completamente diverso, e non solo quello meteorologico. I segni dei fasti di una volta non mancano, a cominciare dall’irreale Bab Mansour, una delle più celebri porte di tutta l’Africa settentrionale.

Nel pieno dell’estate, i 48 gradi di temperatura impongono una sosta all’ombra delle magnifiche mura per osservare e fotografare l’anima di piazza El Hédime, dagli indecifrabili e fantastici arabeschi dei bastioni alle espressioni di mercanti svogliati e clienti frettolosi.

Suoni e colori si esaltano nella medina, dove stranamente ci si perde in tutta tranquillità tra bancarelle di dolci e frutta, olive e keftah, un trito di carne piccante. Peccato che l’aria sia irrespirabile: più che il caldo, è il fetore delle carni appese a togliere il fiato inducendo a guadagnare l’uscita – non senza aver comperato un paio di sgargianti babbucce – più rapidamente di quanto si vorrebbe.

Fès

Fes: un panorama della Choaura, il quartiere dei tintori
Fes: un panorama della Choaura, il quartiere dei tintori

Ancora 70 chilometri ed eccoci a Fès, capitale storica e culturale del Marocco più vero e tradizionale, difficile da percepire per il turista occidentale soggetto alla tabella di marcia del viaggio organizzato. La spettacolare vista dall’alto delle tombe merinidi mostra il gradevole disordine urbanistico di centinaia di edifici addossati l’uno all’altro, che celano il brulicare di un’umanità indaffarata nelle attività più umili e impensabili, paradossalmente ricca della propria povertà che diviene gelosa custode di abitudini e tradizioni.

La scuola di ceramica di Fès

La rigida eleganza del palazzo reale, immerso nel silenzio ed esasperatamente sbarrato anche all’obiettivo, cozza contro lo spirito di sopravvivenza di quel formicaio che è la medina, città nella città, luogo di inestimabile opulenza artistica e sociale, dove va in scena il Marocco nei suoi valori spirituali e culturali, nelle sue debolezze economiche e strutturali.

Qui non è consigliabile entrare da soli, perdersi è il minimo: una guida locale (ma vera) consente di scoprirne gli angoli più nascosti e caratteristici in tutta sicurezza, anche se le stradine anguste, la frenesia della gente, l’incredibile quantità e varietà di merci e l’insistenza dei venditori mettono addosso quel filo d’ansia che fa passare perfino la voglia dello shopping, correndo con la mano al portafogli solo per controllare che ci sia ancora.

Con le orecchie sempre attente a cogliere quel grido «balak, balak!» che invita a spostarsi per non essere travolti da un povero somaro a pieno carico, la morsa della folla ti si stringe intorno con ragazzini dagli sguardi supplicanti, eppure incredibilmente c’è chi dorme in terra tra l’indifferenza generale. Ma la medina non è solo commercio, chiasso e sporcizia: è anche cultura e religione, arte e tradizione racchiuse da moschee, mederse e funduq riccamente decorati.

Fes

Le concerie di Chouara

E non meno impressionanti sono le attività produttive, come le arcaiche concerie di Chouara dove, tra l’odore acre e nauseabondo appena mitigato dalle umide foglie di menta appiccicate al naso, si assiste alla lavorazione delle pelli. La scenografia di vasche ed essiccatoi animati da sventurati in lotta contro il caldo feroce assume un aspetto da paesaggio infernale.

Meno impressionanti le condizioni di lavoro nella scuola di ceramica, sovvenzionata da organizzazioni internazionali, dove il silenzio è rotto solo dal ronzare dei torni dei vasai e dal certosino martellare degli scalpellini che producono ad una ad una minuscole tessere per enormi mosaici. Il salario, un centinaio di euro al mese, stona non poco con i prezzi dei prodotti finiti, sparati a gran voce da pedanti venditori al termine della visita.

Fès, negozi di souvenir

All’improvviso la voce del mu‘adhdhin, diffusa dai minareti, richiama i musulmani all’obbligo della preghiera e ci fa immaginare quei fantastici luoghi di culto che ci sono preclusi. E’ solo una breve pausa, prima di riprendere il giro avvolti dal profumo dolce e intenso che proviene dalle botteghe dei falegnami, dove si lavora il legno di cedro le cui foreste coprono i territori del sud. L’ultima immagine fra le tante indimenticabili è la porta di Bab Bou Jeloud, incorniciata da un fantastico gioco di maioliche blu e verdi.

Marrakech

Marrakech: veduta notturna della piazza Jemaa el-Fna

Il viaggio verso Marrakech, ai margini del Sahara, è lungo ma non monotono, malgrado la trepidazione di giungere alla mitica Jemaa-el-Fna, la “riunione dei trapassati”, cuore della città e dell’intero universo marocchino. Che porta ancora le ferite non tanto del suo tetro passato, ma del suo tragico presente: le macerie del Café Argana, distrutto qualche mese fa da un vile attentato, sono ancora lì. La place, come la chiamano da queste parti, non è né bella né brutta e nemmeno vanta particolari evidenze architettoniche, ma è una culla dei sogni sia per il campionario umano che la popola, sia per lo smarrito turista.

E visto che i sogni si manifestano di notte, anche la piazza regala il suo volto più autentico al calare del sole, quando si riempie di un trambusto senza paragoni, di incantatori di serpenti e di domatori (non fatevi mettere cobra e scimmie al collo, quella foto vi costerà una fortuna), di venditori ambulanti e di acrobati, di cantastorie e musicisti.

Il fumo delle baracche dove si cucina di tutto, persino lumache e teste di pecora, incornicia questo palcoscenico unico e fantastico che si può scrutare al meglio dalle terrazze dei tanti caffè, magari assaggiando il tajine, carne con verdura cotta e olive servita nella terracotta, e bevendo tè alla menta e gelsomino. La Koutoubia, lo splendido minareto, appare in lontananza come un miraggio.

Costumi tradizionali

I suq che circondano la place costituiscono l’altra grande attrazione: più accessibili e tranquilli che in ogni altra città, offrono di tutto pur se a caro prezzo, e contrattare non è solo virtù ma diventa necessità. Alla luce del giorno tornano a delinearsi i contrasti di Marrakech, presidio di una pianura sterminata dominata dai monti dell’Atlante: palme verdi e mura rosso ocra, folle traffico di carrozzelle e Mercedes decrepite, abitazioni fatiscenti e hotel prestigiosi, presunte donne coperte di tutto punto e turiste scoperte che di più non si può.

Una città impossibile e magnifica, ambigua e difficile, dove sognare significa sopravvivere. E non a caso è la porta di quel Sahara misterioso che prima o poi dovrò varcare, magari in compagnia delle parole di Tahar Ben Jelloun. Inshallah, se Dio lo vorrà.

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