A spasso oltre Atlantico

L'ovest del Canada è una delle mete mondiali più frequentate dal turismo naturalistico, ma i paesaggi delle province orientali non sono da meno, offrendo un'emozionante varietà di incontri e qualche tappa insolita nella storia di queste terre. Eccoci allora ad esplorare, con lo zaino in spalla e la compagnia di alci e balene, una variegata collezione di aree protette fra il New Brunswick, la Nova Scotia, Prince Edward Island e Terranova.

Indice dell'itinerario

Sulle strade di Cape Breton, il rendez-vous con l’alce può avvenire in molti modi diversi. Il primo è un’apparizione nella nebbia, un grande e dinoccolato animale che compare in lontananza su un crinale e svanisce dopo avermi concesso solo un paio di scatti con il teleobiettivo. Il secondo è una sagoma che ci attraversa la strada costringendoci a una frenata improvvisa, e poi svanisce a sua volta nelle nuvole basse e nel bosco. Scendiamo dal veicolo a guardare, ma scopriamo solo le orme impresse nel terreno.
Poi le cose cambiano. Mentre percorriamo lentamente la strada che attraversa il parco da Pleasant Bay verso Dingwall, una silhouette scura e imponente ci osserva dal margine del bosco. Ci fermiamo, e un giovane maschio è lì, impassibile, che ci guarda e bruca con aria distratta fra i cespugli. Dietro di noi si ferma un’altra auto, poi una terza, infine un camper. Solo quando il pubblico ha superato la ventina di persone il bestione si volta e sparisce lentamente nel folto. Crediamo di avere già visto il massimo, e torniamo contenti verso Petit Etang e il campeggio. Invece, al crepuscolo e a un centinaio di metri dal mare, un paio di corna gigantesche ci si parano davanti all’improvviso: è un maschio enorme, che a piccoli morsi strappa l’erba tra i fiori. Non siamo i primi, e non saremo certo gli ultimi. Dopo dieci minuti i veicoli fermi sono già una ventina, ma l’alce è il signore di questi luoghi e lo sa. Ce ne andiamo lasciandolo lì a brucare, mentre dal cielo cadono le prime gocce di un acquazzone che renderà complicata la notte in tenda.

Dai Vichinghi ad oggi
All’estremità nord-orientale del Canada, le tre Maritime Provinces – New Brunswick, Nova Scotia e Prince Edward Island – si affacciano verso l’Atlantico, l’Islanda e l’Europa. Più a nord, verso la grande provincia peninsulare del Labrador, si stende invece Newfoundland, altrimenti nota come Terranova. Siamo molto più a est del Québec e del suo capoluogo Montréal (in linea d’aria i chilometri sono nell’ordine del migliaio), dove atterrano numerosi voli provenienti dal Vecchio Continente.
Uno sguardo ai libri di storia o ai toponimi sulle carte stradali fa immediatamente capire che in questa parte del mondo vive gente che ha origini molto diverse: ma qui non prevalgono i neri, gli italiani, gli asiatici d’ogni nazione che fanno di Toronto e Vancouver dei melting pot non differenti da San Francisco o da New York. I nomi delle città e dei paesi, insieme ai cognomi che iniziano per Mac o Mc, suggeriscono che qui sono arrivati soprattutto scozzesi, affiancati da irlandesi e inglesi. Poi ci sono gli acadiani, ovvero i discendenti dei primi coloni francesi che riuscirono a resistere alla deportazione verso il Québec o in Europa quando, a metà del ‘700, l’Inghilterra strappò definitivamente il Canada alla Francia. A Chéticamp, a Isle Madame e in molti altri luoghi si parla ancora un francese che suona ben più ostico di quello di Montréal; e nel vento, che da queste parti è sempre teso, garrisce la bandiera dell’Acadia, un tricolore blu, bianco e rosso con una stella gialla nel primo campo. Al largo della costa meridionale di Terranova, le isole di Saint-Pierre e Miquelon sono ancora dei territori d’oltremare governati da Parigi. Completano il quadro i nomi che ricordano la presenza di baschi, italiani, scandinavi, indiani di etnia Mi’Kmaq (presenti soprattutto sulle isole minori) e dei pochi Inuit, eschimesi che hanno preferito il Newfoundland alle distese inospitali del Labrador.
Quanto ai Vichinghi, arrivati dalla Scandinavia attraverso la Groenlandia, intorno al Mille si insediarono sulla costa settentrionale dell’isola, lasciando a noi viaggiatori di oggi una delle zone archeologiche più romantiche e suggestive del mondo. Dove la strada finisce, di fronte all’oceano, grandi prati ondulati nei quali pascolano gli immancabili alci scendono verso le scogliere di granito grigio e le acque dell’Atlantico increspate dal vento. Un’insenatura chiusa da isolotti rocciosi offre un approdo riparato e sicuro, e ci è voluto uno studioso norvegese come Helge Ingstad per scoprire, nel 1960, i resti del villaggio fondato da Leif Eriksson, figlio di Erik il Rosso che aveva colonizzato la Groenlandia, e dai suoi compagni di avventura. Archeologi statunitensi e canadesi avevano cercato molte volte quel sito, ma nessuno di loro conosceva gli insediamenti vichinghi in Scandinavia abbastanza bene da capire al primo sguardo quale area sarebbe piaciuta ai navigatori guerrieri. A L’Anse aux Meadows, a un centinaio di metri dal vero sito archeologico dove solo qualche modesto rilievo sul terreno indica la base dell’antico insediamento, il villaggio di Leif Eriksson e dei suoi compagni è stato ricostruito come doveva essere, con tanto di personaggi in carne e ossa che segano tronchi e costruiscono imbarcazioni, di signore intente a cucinare e di bambine con lunghe trecce bionde: una rievocazione ben realizzata con esplicito intento didattico, non una semplice mascherata con il solo obiettivo di richiamare i turisti.
Ma la storia ha lasciato altre tracce inaspettate, come i forti costruiti lungo la costa da inglesi e francesi tra il ‘600 e il ‘700. Halifax, capoluogo della Nova Scotia, è stata durante la Seconda Guerra Mondiale il terminal dei convogli alleati attraverso l’Atlantico, e avrebbe potuto ospitare il governo britannico in esilio se Hitler fosse riuscito ad attraversare la Manica. E non mancano vicende maturate in anni ben più vicini a noi, come l’11 settembre del 2001 quando l’isola di Terranova ha visto atterrare nell’aeroporto di Gander centinaia di aerei diretti verso gli scali degli Stati Uniti e bloccati dalla chiusura dello spazio aereo americano. Di fronte a quella vera e propria invasione le autorità locali smistarono i passeggeri fra città e paesi dell’isola, qualcuno in hotel, molti altri nelle case dei privati cittadini. E tra quei rifugiati dell’aria e i newfies, la popolazione locale, sono nate delle amicizie profonde, poi raccontate da documentari e da libri.

Nei parchi dell’est
A parte il richiamo di una storia non molto lunga se confrontata con tante altre, ma certamente composita, chi visita il Canada lo fa prima di tutto per la natura, e quella delle Maritimes stupisce almeno quanto i celebri paesaggi dell’ovest. L’incontro con gli animali, il panorama offerto dalle coste rocciose, i percorsi lungo i sentieri e nelle foreste sono ovunque straordinari.
Oltre a quello con gli alci, il Cape Breton Highlands National Park, nell’angolo più settentrionale della Nova Scotia, offre l’incontro con i globicefali, piccole (si fa per dire) balene che andiamo ad ammirare in gommone partendo da Chéticamp, un porto di pescatori sulla costa occidentale della penisola acadiana. In un tour di un paio d’ore più della metà del tempo trascorre con il motore al minimo, mentre il dorso, le pinne e le code dei cetacei, una decina di metri di lunghezza, entrano ed escono dall’acqua intorno a noi.
Il Kouchibouguac National Park, in quella parte del New Brunswick più vicina al confine con il Québec, ci regala invece un paesaggio pianeggiante con una vastissima spiaggia di sabbia, acquitrini salmastri e un incessante andirivieni di sterne, aironi, gabbiani e limicoli di molte specie diverse. Simile ma più solenne l’area protetta della Prince Edward Island, che si raggiunge in breve dal capoluogo Charlottetown e che propone al visitatore grandi dune di sabbia rossastra capaci di evocare l’Olanda o la costa atlantica della Francia: ancora vento, uccelli marini, una pista ciclabile straordinaria, perfino una nuotata nell’oceano riscaldato da un sole amico e con acqua nemmeno troppo fredda (unico ricordo spiacevole, l’impressionante quantità di voraci zanzare).
Se Prince Edward Island ricorda certi sabbiosi litorali d’Europa, il Gros Morne National Park, sulla costa occidentale di Terranova, offre l’incontro con fiordi simili a quelli della Norvegia. Una camminata di tre quarti d’ora su una passerella che attraversa una palude porta all’imbarcadero del Western Brook Pond, lunga e stretta insenatura chiusa da gigantesche pareti che già da qualche secolo non sfocia più direttamente nel mare. Un piccolo battello rosso s’inoltra un chilometro dopo l’altro nella gola, costeggia falesie impressionanti e cascate che precipitano dall’alto e poi, nel punto più lontano del fiordo, accosta a un pontile dietro il quale c’è solo la foresta. Qui scendono gli escursionisti, attrezzati di tutto punto, che affrontano un trekking di qualche giorno attraverso l’altopiano di Big Level e la Gros Morne Mountain, per tornare alla civiltà nei pressi del centro visitatori.
Sulla costa del Gulf of Saint Lawrence brevi e suggestive passeggiate si dipanano sulle scogliere, tra i vecchi insediamenti di pescatori e gli storici fari in legno (il più suggestivo è quello di Lobster Cove) difesi da alte rocce verticali. Ci sistemiamo per due notti nel campeggio di Berry Hill, uno dei più belli del nostro viaggio in Canada: le acque del Berry Lake e dei ruscelli che vi si gettano ci permettono di scoprire una famiglia di castori al lavoro, mentre il secondo giorno, nell’erba alta, compare anche un piccolo e timido orso nero.
Scendendo a sud attraverso il New Brunswick, in direzione del confine con gli Stati Uniti, sostiamo alle Hopewell Rocks, un monumento naturale di grande fascino, formato da torrioni di conglomerato che le maree sommergono e poi scoprono di nuovo. Con l’acqua bassa si cammina sulla sabbia di ciottoli, con l’alta marea lo stesso percorso si fa in kayak. A pranzo o a cena è possibile fermarsi in un chiosco e acquistare per pochi dollari un’aragosta.
Prima di lasciare il Canada visitiamo il Fundy National Park, l’ultimo del nostro viaggio. Qui gli usuali protagonisti del paesaggio delle Province Marittime – foreste di abeti, scogliere, fiumi e torrenti, segni dell’uomo, maree – sono rimescolati a formare un quadro particolarmente suggestivo. Per raggiungere il campeggio del parco e il viottolo che scende alla costa si attraversa un vecchio ponte coperto in legno. Un lungo giro a piedi tra i boschi ci porta alle Laverty Falls, cascate che scendono da una scura parete, e si conclude sulla vastissima spiaggia di Point Wolfe, lasciata scoperta dalla marea. Un altro orso si mostra in lontananza nel bosco, e quando ci avviciniamo al promontorio due aquile pescatrici si alzano in volo lanciando dei richiami striduli. Dopo settimane di tempo variabile, il cielo è di un azzurro intenso: ed è il colore dell’arrivederci.

Testo e foto di Stefano Ardito

PleinAir 453 – aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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