5 escursioni a piedi sul Pollino

Chi non è stato sul Pollino non può dire di conoscere davvero l’Italia. Scarponi ai piedi e zaino in spalla, abbiamo esplorato per voi il più grande dei nostri parchi nazionali selezionando e descrivendo cinque escursioni da fare in autunno, quando la natura si mostra in tutta la sua solenne bellezza.

Indice dell'itinerario

Un’estensione di territorio enorme tra Basilicata e Calabria, luoghi nascosti, montagne dai nomi suadenti e terribili: Serra del Prete, Timpa del Demonio, Cozzo del Pellegrino, Serra Dolcedorme. In autunno siamo tornati nella più grande area protetta d’Italia, il Parco Nazionale del Pollino, un polmone verde che ancora non è conosciuto come merita.

Per viverlo a pieno proponiamo 5 escursioni a piedi con diversi gradi di difficoltà e durata di percorrenza.

Sentiero del Bosco Magnano

Dislivello: 120 metri Tempo di percorrenza: fra due e tre ore

Tra i più belli del parco nazionale, il Bosco Magnano si trova presso San Severino Lucano appena fuori la frazione di Copani. L’accesso più utilizzato è sulla provinciale, presso il ponte: uno spiazzo a lato della strada subito dopo l’ingresso al bosco, passata la curva in direzione San Severino, consente di parcheggiare il camper (subito prima, lungo la provinciale, c’è l’ingresso al Parco Avventura del Pollino, d’autunno aperto la domenica).

Al bosco, lasciato il mezzo, si cammina in discesa verso il fiume per la traccia ben evidente che porta alla fine del ponte sulla provinciale. In breve si raggiunge una piccola cascata che scende da una briglia, poi la traccia dopo un tratto lungo la sponda diventa impercorribile. Il sentiero da seguire per visitare il bosco non è infatti questo, anche se molti si limitano a fotografare la cascatella: il percorso giusto va preso tornando verso il parcheggio e prendendo una traccia poco visibile e non segnalata che si avvia a seguire il torrente Peschiera lungo la sponda sinistra. Il tracciato è splendido, ora segnato in bianco e rosso, e con modesti saliscendi attraversa il bosco di faggi, cerri e aceri spesso a pochi passi dal corso d’acqua.

Dopo poco più di un’ora si arriva a una radura dove il sentiero si congiunge a una pista forestale. Andando a sinistra si raggiunge in breve la località Tre Casette, oltre la quale si trovano recinti che ospitano alcuni cervi; a destra, invece, la pista prima sale nel bosco e quindi ridiscende, conducendo dopo una radura con area giochi a un bivio (andare a destra) e a un ristorante, passato il quale si è nuovamente alla strada provinciale.

Da Piano Ruggio al Belvedere di Malvento

Dislivello: 107 metri • Tempo di percorrenza: tra un’ora e mezzo e due ore

Piacevole e non faticosa, l’escursione è perfetta soprattutto per chi non vuole impegnarsi nelle lunghe camminate che raggiungono il cuore del massiccio e allo stesso tempo non vuol perdere lo spettacolo dei pini loricati. Si parte dal Piano Ruggio (1.533 m) dove si trova il recentemente restaurato Rifugio De Gasperi, storico punto di ristoro e appoggio situato nell’area chiave per l’accesso al cuore del Pollino. Salendo da San Severino e Viggianello s’incontra alcuni chilometri prima il Piano di Visitone, anche questo con rifugio-ristorante. Tra i due la strada passa per il Colle dell’Impiso, punto di partenza per i sentieri che salgono sui grandi pianori carsici sommitali del massiccio e da qui alle vette principali.

Da Piano Ruggio, dando le spalle al rifugio, a partire da una fontana una traccia segnata in bianco e rosso sale verso un secondo fontanile e quindi taglia i prati fino a entrare nel bosco. La segnatura (n. 900) si congiunge alla pista che percorre una valletta – si tratta del Vallone del Malvento – tra due colli ammantati dai faggi. In nemmeno tre quarti d’ora, dopo alcune radure, si arriva in corrispondenza del Belvedere di Malvento; vero e proprio terrazzo panoramico sugli strapiombi della valle di Mauro, da qui la veduta si apre sul versante calabro del parco con l’ampia valle del Cascile e ben evidenti il paese di Morano, il tracciato dell’autostrada A3, i rilievi e pianori che cingono il massiccio.

Sulla sinistra, aggrappati alla roccia dei contrafforti sud-occidentali della Serra del Prete, molti pini loricati si lasciano ammirare ma per chi vuole avvicinarsi ancora occorre tornare sui propri passi all’ultima radura incontrata prima del belvedere. Da qui alcune pietre allineate segnalano l’inizio di una traccia che prende a salire brevemente nel bosco e poi raggiunge il crinale, alle spalle dei pini. Per arrivare a toccare questi giganti secolari non occorre che scendere più avanti – con prudenza – per le pendici sassose del crinale, più in basso rivestito dal fitto Bosco del Monaco. Per tornare indietro si percorre la via dell’andata.

Dal Colle dell’Impiso alla Serretta della Porticella

Dislivello: 500 metri • Tempo di percorrenza: da sei a otto ore

Si lascia il camper al Colle dell’Impiso, sulla strada tra Viggianello e Rotonda, in corrispondenza del quale la carreggiata si allarga appena consentendo la sosta a non più di un paio di mezzi. S’inizia a salire oltre la sbarra per una pista che scavalca il colle e dopo una curva inizia a scendere in direzione dei Piani di Vacquarro. Raggiunto il primo dei due piani (1.450 m), si lascia sulla sinistra una deviazione che si percorrerà al ritorno e si segue in direzione Piano Gaudolino e Monte Pollino. In alto, all’orizzonte, i primi loricati si stagliano sul cielo della ancora lontana Serra delle Ciavole.

Fontana Spezzavummola

A poco più di un’ora dalla partenza si è alla Fontana Spezzavummola, segnalata sulla sinistra del sentiero, e dopo un ultimo strappo all’ampio Piano Gaudolino (1.705 m). Addossato al limitare della faggeta, sulla destra, sorge l’omonimo bivacco: sempre aperto, attrezzato con camino e branda, può consentire una sosta o un pernottamento d’emergenza se si è colti dal maltempo improvviso o dal buio.

Di fronte al rifugio, attraversando nuovamente i prati (sulla destra compare la Fontana Gaudolino), una freccia indica un bivio: a destra il sentiero sale al Monte Pollino, mentre la nostra traccia va verso sinistra in direzione del Piano Toscano. È il caso di notare come la segnaletica presente si riferisca sempre alle ippovie (percorsi a cavallo di più giorni) e mai alla sentieristica ufficiale del parco, come sarebbe senz’altro più utile. Il percorso che stiamo seguendo, secondo il catasto dell’area protetta, sarebbe infatti rappresentato dalle tracce 920, 921 e 923 opportunamente riportate dalle mappe a maggior dettaglio, tanto cartacee che digitali: peccato che sul terreno di tale numerazione non vi sia traccia.

Piana di Pollino

Proseguendo nel bosco, qui di giovani faggi, e scavalcato un crinale scendiamo fino a ritrovare la carrareccia che sale dai Piani di Vacquarro in corrispondenza di un grande omino di sassi. Poco più avanti il bosco si apre definitivamente nel grande Piano Toscano, dove si può piegare a sinistra salendo liberamente per i pendii erbosi a tratti ripidi in direzione delle creste ormai ben visibili. Una cornice rocciosa nota come la Balconata dei pini loricati è la nostra meta e ospita i primi, commoventi esemplari giganti di queste bellissime conifere. Il gradino rappresenta il limite della retrostante Piana di Pollino, che da qui si adagia con gibbosità erbose e avvallamenti fino allo spartiacque.

Più in alto ancora, a chiudere l’orizzonte, vi sono allineate da sud a nord la Serra delle Ciavole e la Serretta della Porticella (separate dall’ampia sella della Grande Porta del Pollino) e, infine, la Serra di Crispo. Quassù, a circa 2.000 metri d’altitudine, siamo a circa un’ora e mezzo dal Piano Gaudolino. Dalla cresta più facilmente raggiungibile, la Serretta della Porticella, il panorama è amplissimo e oltre al sottostante Bosco della Fagosa la veduta spazia fino alle selvagge Gole del Raganello, alla Timpa Falconara, al golfo di Sibari sul Mar Jonio, al grande lago artificiale di Monte Cotugno nella valle del Sinni.

Per il ritorno si torna sui propri passi fino al Piano Toscano, dove si entra nel bosco e si ritrova l’omino di sassi al bivio tra sentiero e strada: stavolta si sceglie quest’ultima, seguendola senza interruzioni e possibilità di errore fino alla vicina Fontana di Rummo e quindi al Piano di Vacquarro, per riprendere il tracciato dell’andata. Si segue la pista verso destra in comoda salita fino al Colle dell’Impiso, dove ci attende il camper.

Sentiero del torrente Argentino

Dislivello: assente • Tempo di percorrenza: due ore

Appena alle spalle del mare di Scalea, il paese di Orsomarso sorge in una delle aree più selvagge del parco. La morfologia aspra del territorio rende queste montagne, note appunto come monti di Orsomarso, in buona parte quasi inesplorabili. All’ingresso dell’abitato, che è incastonato al centro di un anfiteatro di pareti rocciose, dopo il comando dei Carabinieri si scende sulla destra verso il fiume seguendo le indicazioni per la Riserva Statale Valle dell’Argentino. Accanto al letto del fiume ampi spazi invitano alla sosta e qui si parcheggia il camper, proseguendo a piedi lungo la stradina che per sei chilometri percorre il fondovalle sino a un rifugio.

L’asfalto finisce presto e si cammina piacevolmente tra piccoli orti e il fiume, in un ambiente sempre più solitario. Oltre una radura con una casetta di legno si trovano la tabella della riserva e, poco oltre, una fontana. Da qui in avanti il torrente, ricchissimo d’acqua, è tutto per noi. Ogni tanto un ponticello in legno ne scavalca il corso, permettendo di raggiungere l’altra sponda (ma è meglio proseguire sulla sinistra orografica).

Fontana Guaglianone

A circa tre chilometri dalla partenza s’incontra il bell’arboreto didattico realizzato dal Corpo Forestale – con numerose essenze, tutte catalogate e con targhetta che ne riporta il nome – che si allunga sulle sponde dell’Argentino. Poco oltre, la strada (fin qui sempre perlopiù pianeggiante) passa con un ponticello sulla sponda opposta, ma noi tiriamo dritto e in leggera salita seguendo le indicazioni per la Fontana Guaglianone, che si trova poco più avanti oltre alcune paretine ammantate di muschio e capelvenere dove stilla l’acqua proveniente dai pendii sovrastanti.

Ancora un quarto d’ora di passeggiata e si raggiunge la Cascata Ficara, con un unico stretto salto che scende da una parete liscia e scavata dall’acqua. Da qui si può proseguire ancora per il giardino delle piante officinali, oppure tornare sui propri passi.

Il Ponte del Diavolo a Civita

Dislivello: 190 metri • Tempo di percorrenza: un’ora

Sede di una delle comunità storiche albanesi d’Italia (arbëreshë), Civita si raggiunge facilmente dall’uscita autostradale di Frascineto. Il paese tra i più graziosi del parco – sorge in posizione straordinaria, con le case e la piccola piazzetta tondeggiante dominate dalla verticale parete rossastra della Timpa del Demonio (o Demanio), alta 800 metri.

E dal borgo diversi belvedere assicurano stupende vedute delle Gole del Raganello, che con uno sviluppo di tredici chilometri – dalla sorgente Lamia a Civita – costituiscono una zona entusiasmante per gli appassionati di torrentismo. Volendo dare un’occhiata da vicino alle pareti e al corso d’acqua che vi scorre in mezzo, l’unica possibilità è data dalla discesa al Ponte del Diavolo per una ripida rampa lastricata in pietra. Crollato durante un temporale primaverile del 1998, nel 2005 il ponte è stato ricostruito nella sua antica struttura a schiena d’asino e solo affacciandosi da qui si può ammirare (a circa quaranta metri d’altezza) la stretta delle due pareti di roccia, che sembrano toccarsi.

La risalita naturalmente è ben dura – anche se è possibile approfittare di un servizio di navetta fuoristrada proposto da una cooperativa locale, segnalazioni in loco – e guadagnando pian piano quota si può sostare a riprendere fiato osservando il cielo sovrastante la gola. Capita infatti spesso che le pareti rocciose siano sorvolate dai grandi avvoltoi grifoni che il parco ha reintrodotto anni fa e che oggi vivono in una piccola colonia: un ulteriore motivo d’attrazione per un luogo tra i più affascinanti della grande area protetta.

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