Trekking nello spazio
Ben visibile da buona parte dell’Italia centrale, la seconda vetta dell’Appennino si staglia nitida come un enorme vascello di pietra ad appena 30 chilometri dall’Adriatico. Un vascello solcato da una miriade di sentieri che consentono di raggiungerne gli angoli più suggestivi, modulando la fatica e la difficoltà in base alle proprie esigenze.
Quello che vi suggeriamo è un itinerario escursionistico ad anello di tre giorni che consente un approccio pressoché completo al massiccio. E’ anche possibile percorrere separatamente e parzialmente i tratti che compongono il circuito.
Dal rifugio Pomilio al Monte Amaro
Dislivello in salita 980 m Dislivello in discesa 220 m Tempo di percorrenza 5 ore Sentiero segnato CAI n. 1
L’aria è frizzantina anche in piena estate ai 1.892 metri del rifugio Pomilio. Sotto di noi si stende lontana la pianura del Pescara e poco oltre l’Adriatico, con una vista che spazia dal Gargano alle Tremiti, al lembo meridionale delle Marche.
Pernottare al rifugio vuol dire trovarsi freschi e riposati alla partenza mattutina, ma anche trascorrere una piacevole serata davanti a una scodella di sagne con i fagioli (la semplice pasta contadina condita con i gustosi legumi a crudo) ascoltando le storie di Piero che da anni gestisce, con l’aiuto di Rocco, questo avamposto della civiltà a ridosso della montagna.
Con il primo sole carichiamo gli zaini e copriamo rapidamente gli ultimi 2 chilometri verso l’attacco del sentiero. Quasi non facciamo in tempo ad abbandonare la strada che in un quarto d’ora siamo ai 2.140 metri del Blockhaus, nome mitico per gli appassionati di ciclismo: da questa montagna prende il nome una delle più dure salite del Giro d’Italia. Sulla vetta arrotondata sorgono le ultime pietre di un antico fortino, utilizzato alla fine dell’Ottocento per la repressione del brigantaggio.
Il sentiero prosegue prevalentemente in piano alternando intense fioriture di genziane, sassifraghe e ranuncoli a una fitta vegetazione di pino mugo. In un’ora di cammino siamo ai 2.118 metri della Tavola dei Briganti, sicuramente il luogo più suggestivo del sentiero, che da solo vale la camminata: nascoste fra i cespugli e incise sulla pietra calcarea si trovano le iscrizioni lasciate nel tempo da uomini alla macchia, pastori e viandanti. Contempliamo croci, nomi, date e anche un’invettiva contro il re Vittorio Emanuele II che ha trasformato “il regno dei fiori nel regno della miseria”. Rimettiamo gli zaini in spalla e riprendiamo il cammino per giungere in pochi minuti alla sella di Acquaviva, dove spilla una fontana fresca e ristoratrice.
Il sentiero sale ora sui contrafforti dell’anfiteatro delle Murelle e dalle rocce emergono i primi fossili, muta testimonianza dell’origine marina di queste vette: camminiamo in montagna alla volta di un antico atollo, accompagnati nell’ascesa da conchiglie e coralli.
Transitiamo per il bivacco Fusco (2.455 m), otto posti con vista panoramica sull’anfiteatro delle Murelle e la cima omonima, poi rapidamente giungiamo ai 2.676 metri del Monte Focalone e il paesaggio cambia repentinamente. Siamo nel deserto di quota: un vasto altopiano di rocce costellato dai cuscini fioriti di silene che ne spezzano la monotonia, in un paesaggio che ricorda il Deserto dei Tartari. Ci inoltriamo in un ambiente lunare dai vasti orizzonti, messo in risalto dalla luce radente del sole, e attraversiamo rapidamente il primo, il secondo e il terzo Portone, valichi fra opposte valli.
Da Cima Tre Portoni ancora pochi minuti di cammino e appare la cupola rossa del bivacco Pelino appena sotto i 2.793 metri del Monte Amaro, la cima più alta della Majella. La spartana cupola geodetica in ferro ha solo dei pancacci in legno per poggiare i sacchiletto, ma l’ebbrezza della quota, della fatica compiuta e del panorama ineguagliabile sotto un cielo di cobalto fanno dimenticare qualsiasi scomodità. E allora si hanno occhi solo per le aride vette, per i vasti altipiani desertici che sprofondano in vallate impervie verso lontani abitati, per boschi remoti e per gli ultimi riflessi del sole sul mare, così vicino che sembra di sentirne il rumore mentre il cielo si riempie di stelle.
Dal Monte Amaro a Fara San Martino
Dislivello in discesa 2.412 m Tempo di percorrenza 7 ore Sentiero segnato CAI n. 8
La notte può anche essere fredda e scomoda, ma l’alba purpurea dai 2.793 metri della vetta regala emozioni forti. La neve si scioglie sul fornelletto, in pochi minuti la colazione è pronta e presto abbandoniamo il rifugio per iniziare la lenta discesa che ci condurrà ai 431 metri di Fara San Martino. Il sentiero, che copre il maggior dislivello appenninico, percorre integralmente un lungo e inciso vallone che prende via via i nomi di Val Cannella, Valle di Macchia Lunga e Valle di Santo Spirito.
Durante la discesa transitiamo presso alcune delle più belle grotte pastorali di cui è costellata la Majella, testimonianza dell’antica tradizione della transumanza d’Abruzzo. Grotta Canosa, a 2.604 metri sull’altopiano sotto la vetta dell’Amaro, è poco più di una cavità all’interno di un grosso macigno, ingombra di neve fino a estate inoltrata. A 2.246 metri si apre invece la suggestiva Grotta dei Diavoli, che raggiungiamo in 20 minuti con una deviazione dal sentiero della Val Cannella: su un balcone di roccia incastrato sotto una sporgenza della montagna è stato ricavato uno spartano rifugio, con una fontana e un recinto per le greggi.
Il sentiero abbandona le asprezze dell’alta quota per ritrovare progressivamente fiori e alberi. Frequenti e freschissime fontane ci regalano inaspettati momenti di refrigerio e una scusa per poggiare gli zaini.
Dai 1.855 metri entriamo nella Macchia Lunga: il tracciato si snoda protetto nell’oscurità di una fitta faggeta mentre la valle si restringe, si fa tortuosa con volte, giravolte e salti fino al tratto più spettacolare, quello di Santo Spirito, serrato da imponenti pareti verticali che ora si stringono e ora si allargano a formare le cosiddette sale.
L’uscita dalla valle, dalle gole di San Martino, lascia senza fiato: le pareti a strapiombo salgono vertiginosamente per centinaia di metri e si avvicinano a disegnare uno stretto corridoio di neanche 2 metri di larghezza; la sensazione è di essere in un romanzo d’avventura e invece subito al di là c’è Fara San Martino, dove le sorgenti del fiume Verde alimentano i tre pastifici De Cecco, Delverde e Cavalier Cocco.
Da Fara San Martino al rifugio Pomilio
Dislivello in salita 1.172 m Tempo di percorrenza 5 ore Sentiero segnato CAI n. 3
Ci si sveglia presto, in tempo per la corriera delle 6.15 diretta a Pennapiedimonte, borgo arroccato a 669 metri di quota sul fianco orientale della Majella. Il sentiero per il rifugio Pomilio inizia proprio dalla piazza del paese, passa sotto l’arco di roccia del Balzolo e si inerpica su un percorso per capre che presto fortunatamente spiana. La vista sprofonda sul vicino vallone delle Tre Grotte, in lontananza già si scorgono le nevi del Blockhaus e alle nostre spalle luccica vicino il mare, che ci accompagnerà per tutta la salita.
Il sentiero attraversa fitte e fresche faggete e incontra anche qui frequenti fontane, con atmosfere più alpine che appenniniche: lunghi tratti nel bosco si alternano a prati smeraldini. A metà strada il rifugio Pischioli e la sua fontana assicurano un fresco ristoro in un ambiente di rocce e pini con vista mare e monti.
Ancora salita, una cengia rocciosa immersa nel pino mugo e siamo all’ultimo strappo, che ci conduce alle familiari mura del rifugio Pomilio e alla strada di casa.
PleinAir 396/97 – luglio/agosto 2005