Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

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La stanchezza è un sintomo frequente che affligge specialmente le donne, invalidante ma spesso di facile risoluzione modificando lo stile di vita e, soprattutto, l’alimentazione.

Ecco alcune delle cause più comuni di stanchezza:

Gluten sensitivity o sensibilità al glutine non celiaca

Solo recentemente confermata come entità clinica, la gluten sensitivity si manifesta in seguito all’assunzione di cibi contenenti glutine. E’ caratterizzata da disturbi del tratto gastrointestinale quali gonfiore addominale, dolori, diarrea o stitichezza, inseriti in un quadro di stanchezza generalizzata, difficoltà a concentrarsi e, spesso, mal di testa. Possono essere inoltre presenti rash cutanei, dolori articolari o muscolari, ansia o depressione, tosse, raucedine e produzione di muco. I sintomi regrediscono dopo pochi giorni dall’eliminazione completa del glutine.

Chi è affetto da gluten sensitivity risulta negativo ai test normalmente condotti per fare diagnosi di celiachia: le pareti dell’intestino sono normali e così sono gli anticorpi antigliadina e antitransglutaminasi. Nella sensibilità al glutine non celiaca, tuttavia, le cellule del sistema immunitario reagiscono all’introduzione di glutine con una reazione infiammatoria sistemica responsabile del quadro clinico.

Secondo gli esperti, un individuo ogni 10 potrebbe esserne affetto. Fra le cause imputabili vi è la modificazione del patrimonio genetico dei cereali attraverso tecniche di ibridazione o radiazioni ionizzanti, l’utilizzo eccessivo di glutine non opportunamente preparato, il massiccio utilizzo di pesticidi durante la coltivazione e dopo la raccolta per seccare il grano nei campi, le modifiche della flora batterica intestinale dovuta ad un eccessivo utilizzo di antibiotici, conservanti, emulsionanti, edulcoranti e additivi oltre che alla troppo scarsa assunzione di fibra solubile con la dieta.

La terapia è l’iniziale astensione dagli alimenti contenenti glutine, ovvero tutti quelli a base di grano, segale, farro, orzo e, in parte, avena. Sono invece ammessi riso, quinoa, miglio, amaranto, grano saraceno, mais e teff. Dopo un periodo iniziale la cui durata varia a seconda dell’individuo, si può tentare la reintroduzione del glutine, preferendo quello proveniente da varietà di cereali non ibridati e biologici, come ad esempio il kamut.

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Mancata attivazione epatica

Il fegato svolge molteplici funzioni: è coinvolto nel metabolismo di carboidrati, proteine e grassi, sintetizza colesterolo, bile, precursori e trasportatori di ormoni, depura l’organismo dalle sostanze tossiche assorbite dall’ambiente o prodotte nel corpo.

All’inizio dell’autunno e della primavera gli organi interni risentono delle modifiche dei ritmi stagionali di luce-buio e, prima di adattarsi, possono manifestare difficoltà a svolgere le proprie funzioni. Il rallentamento della funzione epatica tipico del cambio di stagione può manifestarsi con un peggioramento dei sintomi di gastrite o di reflusso (che in parte dipendono dal fegato), oltre che con una maggiore sonnolenza.

E’ importante allora da una parte favorire il drenaggio epatico e dall’altra ridurre l’assunzione di sostanze che ne rallentino il funzionamento, quali ad esempio grassi, alcool, conservanti e additivi.

Uno degli stimoli migliori per accelerare il drenaggio di tossine dal fegato è dato dal soffritto. L’olio cotto, infatti, agisce da potente attivatore del polo biliare epatico, aumentando il flusso di bile nell’intestino. Poiché la bile è l’unica via possibile con cui dreniamo all’esterno le tossine liposolubili (l’altra in verità è rappresentata dall’allattamento), questo stimolo, normalmente cercato ai cambi di stagione nelle erbe amare quali boldo, bardana, tarassaco, carciofo e cardo mariano, va proposto nella pratica quotidiana in forma di soffritto.

Saltare le verdure rapidamente in padella con olio, aglio, aggiungendo alla fine un pizzico di peperoncino o curcuma insieme a delle erbe aromatiche è quindi un ottimo modo per stimolare il fegato ad eliminare bile, e con essa, tossine liposolubili.

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Esistono, inoltre, diversi alimenti in grado di proteggere il fegato, fra cui:

Limone: da assumere spremuto in acqua calda al mattino, un potente alcalinizzante in grado di attivare i processi metabolici epatici e stimolare la produzione di bile;

Crucifere: rucola, cavolo cappuccio, cavolo rosso e verza consumati crudi, oltre a broccoli, broccoletti, cavolini di Bruxelles, cavolo nero e cavolfiore sono ricchi in glucosinolati, sostanze in grado di aumentare l’attività degli enzimi epatici coinvolti nella detossificazione;

Aglio e cipolla: forniscono composti solforati che si legano ai metalli pesanti favorendone l’eliminazione. Sono inoltre un’ottima fonte di glutatione, il più potente antiossidante endogeno;

Carciofo: ad azione epatoprotettiva contiene cinarina, una sostanza aromatica in grado di aumentare la produzione e il flusso di bile. Andrebbe mangiato preferibilmente crudo, condito con olio extravergine di oliva e qualche goccia di limone;

Caffè: è un potente inibitore dell’infiammazione a livello del fegato, tanto da essere considerato un vero e proprio farmaco per chi soffre di epatite o di

cirrosi, rallentando la progressione della malattia grazie alla sua capacità di ridurre l’infiammazione e la conseguente fibrosi epatica.

Mela: fonte di acido malico, acido tartarico, magnesio, vitamine e oligoelementi favorisce la depurazione epatica.

Curcuma: spezia ad azione antiinfiammatoria e antitumorale protegge il fegato dall’azione di tossine circolanti favorendone la rigenerazione;

Frutta antiossidante: i frutti rossi come quelli di bosco, la melagrana, le prugne e le arance rosse sono ricchissimi in antiossidanti che contribuiscono a proteggere le cellule del fegato dai radicali liberi prodotti durante il normale metabolismo.

Pesci ricchi in omega-3: i grassi omega-3 assistono il fegato nel metabolismo dei lipidi e nel ridurre la produzione di trigliceridi. Svolgono azione anti-infiammatoria e si trovano specialmente in alici, sardine, sgombri e merluzzi. Anche il salmone è un’ottima fonte di omega-3, andrebbe però consumato occasionalmente e solo selvatico per la ricchezza in metalli pesanti e altro contaminanti quali il PCB che tendono ad accumularsi nei pesci grassi di taglia grande.

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Tutelare il fegato vuol dire anche eliminare gli alimenti potenzialmente dannosi. Fra quelli di più comune impiego spicca il fruttosio, che, in forma liquida e ad alti dosaggi (come nei succhi di frutta o nelle bibite gassate) è un potente tossico epatico, paragonabile all’alcool. Segue lo zucchero e gli oli vegetali utilizzati nei prodotti da forno e nelle merendine, che svolgono azione pro-ossidante, pro- infiammatoria e pro-tumorale. Attenzione poi a tutti i cibi troppo trasformati o conservati come insaccati, affettati e inscatolati e ai prodotti da forno, ricchissimi in  acrilammide, una sostanza cancerogena che si forma durante la cottura di biscotti, fette biscottate, cracker, pane, grissini e patate fritte.

Anemia

La carenza di ferro è il deficit nutrizionale più diffuso nel mondo, e riguarda soprattutto i bambini e le donne in età riproduttiva. Fra le cause non ereditarie di anemia vi è il ridotto apporto di ferro, l’aumentato fabbisogno (ad es. nei bambini in crescita, negli adolescenti e nelle donne in gravidanza), il ridotto assorbimento e l’aumento delle perdite, tipico dei cicli mestruali abbondanti. Sintomo tipico dell’anemia è la stanchezza, dovuta al ridotto apporto di ossigeno alle cellule per riduzione del numero dei globuli rossi e delle concentrazioni di emoglobina, la proteina contenente ferro che lega e trasporta l’ossigeno nel sangue.

Fra gli alimenti più ricchi in ferro vi sono la carne, il pesce, le uova, i legumi, verdure quali radicchio, rucola, carciofo e barbabietola, la spirulina, la quinoa, i semi di zucca e il cioccolato fondente. Per migliorare l’assorbimento del ferro al pasto è importante associare fonti di vitamina C quali ad esempio agrumi, kiwi, peperoni e prezzemolo, ed evitare di bere al contempo tè o caffè, i cui polifenoli interferiscono con l’assorbimento del prezioso metallo.

In caso di deficit di ferro si può optare per una centrifuga di barbabietola e limone, un rimedio efficace e rapido nel ripristinare i livelli di emoglobina, utilizzato dai testimoni di Geova per evitare le trasfusioni, e la mela chiodata. Si prepara inserendo un chiodo di ferro non zincato, ben lavato e asciugato, dentro una mela lasciandolo in posa per 24 ore. L’acido malico e gli altri acidi della mela favoriscono il rilascio e la trasformazione del ferro da inorganico a organico, una forma più assorbibile. Il chiodo, una volta rimosso, va inserito in un’altra mela senza lavarlo, per evitare inutili ossidazioni. L’assunzione giornaliera di una mela chiodata (o della parte della mela che è stata a contatto con il chiodo, risultandone imbrunita) rappresenta un’alternativa valida ai supplementi a base di ferro.

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Consumo eccessivo di caffè

In molte persone con una particolare sensibilità al caffè, l’eccessiva assunzione di questa bevanda energizzante risulta nell’effetto paradosso: la stanchezza dovuta ad una sovra-stimolazione con conseguente esaurimento funzionale delle ghiandole surrenali. Se ci rendiamo conto che si è insinuata in noi l’abitudine a bere più caffè del solito e, parallelamente, ci sentiamo più stanchi, sarebbe opportuno eliminare per qualche tempo tutte le fonti di caffeina: caffè, tè e bevande gassate a base di caffeina. All’inizio compariranno i sintomi dell’astinenza, più comunemente mal di testa e stanchezza. Nell’arco di tre-quattro giorni, però, si dovrebbe notare un aumento netto del livello di energie. Dopo qualche tempo saremo di nuovo pronti a gustarci un caffè occasionale, per il piacere del suo gusto o per una temporanea carica di energia. Attenzione però, essendo una bevanda in grado di indurre dipendenza, nel giro di poco tempo senza accorgercene potremmo trovarci di nuovo nel meccanismo contro-produttivo dell’assumerne 5-6 tazzine al giorno alla ricerca di quella carica di energia che lo stesso caffè ha esaurito.

Dottoressa Debora Rasio
Nutrizionista presso l’ospedale Sant’Andrea
Università di Roma La Sapienza

Laureata in medicina e chirurgia e specialista in oncologia, Debora Rasio vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute. La Dott.ssa Rasio vanta inoltre collaborazioni con le trasmissioni televisive Uno mattina (RaiUno) e Cose dell’altro Geo (RaiTre), oltre a curare la rubrica settimanale Salute & Benessere su Radio Monte Carlo.