Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

I chili di troppo danneggiano il cervello

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Essere in sovrappeso nuoce gravemente al cervello aumentando il rischio di ammalarsi di Alzheimer e altre malattie psichiatriche e disturbi cognitivi. Lo dimostra un recente studio statunitense pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, tra i più completi di quelli che collegano l’obesità a disfunzioni cerebrali. Sono, infatti, oltre 17mila i pazienti analizzati e sottoposti, nello specifico, a scansioni delle varie regioni del cervello per un totale di più di 35mila immagini raccolte. Questo materiale è servito ai ricercatori per misurare l’afflusso sanguigno al cervello che, se basso, rappresenta il primo segnale del possibile sviluppo di Alzheimer da parte di un paziente. La scarsa irrorazione del cervello è, inoltre, associata a diverse malattie psichiatriche come depressione, disturbo da deficit di attenzione iperattività (Adhd), bipolarismo, schizofrenia, dipendenze, tendenze suicide e altre.

COLLEGAMENTO TRA OBESITA’ E ALZHEIMER
In questo contesto è stato visto che le persone obese o in sovrappeso presentavano un basso afflusso di sangue proprio nelle aree del cervello coinvolte nella malattia di Alzheimer, come i lobi temporali e parietali, l’ippocampo, il giro cingolato posteriore, il precuneo. In queste stesse aree del cervello di persone normopeso i livelli di flusso sanguigno risultavano notevolmente più alti. Una scoperta, questa, particolarmente significativa se si considera, ad esempio, che nei soli Stati uniti il 72% della popolazione è in sovrappeso e il 42% di questi è obeso. Vero è che le conclusioni a cui arriva lo studio non implicano che tutti coloro in sovrappeso si ammaleranno di Alzheimer o che basta tenersi in forma per non contrarlo. Ma è certo che in attesa di comprendere a pieno le cause di questa terribile malattia e trovare una possibile cura, la prevenzione resta la migliore arma (e per lungo tempo l’unica) che abbiamo a diposizione per difenderci.

SI INIZIA DA GIOVANI A INVECCHIARE BENE
Non a caso, la principale consapevolezza acquisita negli ultimi dieci anni di lotta all’Alzheimer è che non si tratti di una malattia connessa esclusivamente alla parte finale della vita, ma sia legata ad abitudini e comportamenti di una vita intera. È, pertanto, fondamentale mantenersi normopeso senza eccedere con i grassi e con un’alimentazione basata su cibi artefatti con calorie povere, invece che genuini e ricchi di nutrienti. Tanto più che una delle principali lezioni degli ultimi trent’anni apprese da chi studia il cervello è che il suo funzionamento migliorare notevolmente se ben allenato e ben “nutrito”. Esercitarsi nel ragionamento, condurre attività fisica regolarmente e mangiare in modo sano rappresentano tre pilastri di salute del nostro organo pensante, essenziali a garantirne il pieno sviluppo da bambini e prevenirne il decadimento in età adulta.

FONTE: Daniel G. Amen, Joseph Wu, Noble George, Andrew Newberg. Patterns of Regional Cerebral Blood Flow as a Function of Obesity in Adults. Journal of Alzheimer’s Disease, 2020; 1 DOI: 10.3233/JAD-200655

Dr.ssa Debora Rasio
Laureata in medicina e chirurgia e specialista in oncologia, direttore del master di II livello in Medicina Integrata presso l’Università Telematica San Raffaele di Roma, autrice del bestseller Mondadori “La Dieta Non Dieta”, Debora Rasio vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute.