Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

Declino cognitivo e alzheimer: i quattro pilastri della prevenzione

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Sono 40 milioni i malati di Alzheimer nel mondo, mezzo milione solo in Italia, e le stime prevedono che entro il 2050 toccheranno quota 135 milioni. Un “mostro” dei nostri tempi contro cui non esistono ancora cure definitive: l’unica certezza è la prevenzione, improntare il proprio stile di vita alla protezione del cervello in vista di quando diventeremo anziani, così da poter godere al meglio dei soli vantaggi della speranza di vita che aumenta, cercando di isolarne – quanto più possibile – gli svantaggi.

La scienza cerca incessantemente di svelare i misteri di questa epidemia contemporanea ed è appena pervenuta a un’importante conclusione che mette in luce l’origine della malattia Alzheimer: il venir meno della dopamina, un neurotrasmettitore che sembra indispensabile per il buon funzionamento dell’ippocampo, struttura cerebrale da cui dipende la memoria. La morte dell’area del cervello che produce la dopamina, che si verifica in corso di depressione, sarebbe proprio all’origine dell’Alzheimer. Si ribalta, di conseguenza, il ruolo della depressione: non più effetto, ma campanello d’allarme-causa dell’insorgenza della malattia. E’ quanto appurato da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista ‘Nature Communications’ condotto dagli scienziati dell’Università Campus Bio-Medico di Roma in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e del CNR di Roma.

Se simili progressi scientifici sono fondamentali e auspicabili, come dicevamo oggi resta la prevenzione l’arma più efficace contro la degenerazione delle nostre capacità cognitive. Passiamo dunque in rassegna quattro fondamentali della strategia utile ad assicurarci un cervello sano e longevo.

1- INTESTINO SANO PER UN CERVELLO SANO

Un aspetto sul quale questa rubrica si è particolarmente concentrata negli ultimi tempi è la stretta interconnessione tra salute del cervello e quella dell’intestino considerato, ormai unanimemente, il nostro “secondo cervello”. Il microbioma, il DNA appartenente ai miliardi di batteri buoni che abitano l’intestino, è in costante comunicazione con il cervello: si scambiano messaggi fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo e il suo benessere. Se il dialogo tra testa e pancia è sano lo è anche il sistema immunitario, l’attività muscolare, la difesa dalle infiammazioni, il buonumore, la capacità di apprendimento e la memoria. Dipende tutto da un complesso sistema di reazioni chimiche in base alle quali un’eventuale carenza dei neurotrasmettitori generati nell’intestino si ripercuote in negativo sull’attività cerebrale determinandone disfunzioni quali disturbi del comportamento, ansia, depressione, fino ai prodromi dell’Alzheimer. Per tutte queste ragioni assicurarci un’alimentazione adeguata a proteggere la flora batterica intestinale – ricca di cereali integrali, frutta, verdura, yogurt, prodotti fermentati – equivale a tutelare anche la salute cerebrale.

2- NO A UN CERVELLO CARAMELLATO

L’Alzheimer è chiamato anche “il diabete del cervello” e non è un caso che i diabetici presentino un rischio raddoppiato di contrarre la malattia. Ragione in più per preoccuparsi di tenere sotto controllo i livelli di zuccheri nel sangue attraverso una dieta bilanciata che non ecceda in carboidrati raffinati e zuccheri. Alimenti che apportano un eccesso di glucosio le cui concentrazioni nel sangue si impennano non potendo essere sufficientemente assorbito e smaltito dalle cellule. Restando in circolo il glucosio si attacca alle proteine dei vasi e delle cellule glicandole, ovvero danneggiandole. Possiamo assimilare il processo di glicazione alla caramellizzazione in cucina: le proteine glicate s’induriscono proprio come i cibi caramellati o come la crosta del pane che diviene croccante con la cottura. A questi danni provocati dal glucosio non sono immuni le proteine del cervello: la glicazione è fonte di neurodegenerazione fino all’Alzheimer. In altri termini il rischio è quello di ritrovarsi un cervello caramellato!

Ad eccessivi livelli di zucchero nel sangue è inoltre collegata una condizione d’insulino-resistenza: le cellule già sature si oppongono all’ordine dell’insulina di far entrare altro glucosio. Il problema è che non solo il glucosio, ma anche preziosi nutrienti quali la vitamina C e la carnitina stentano ad accedere alle cellule creando in esse stress ossidativo e infiammazione e portandole ad accumulare difetti.

L’insulina, infatti, non serve solo al metabolismo degli zuccheri, ma gioca un ruolo importante nei processi cognitivi: una disregolazione di quest’ormone conduce a un declino delle funzioni cognitive tanto che il rischio di perdita della memoria negli anziani correla linearmente con i livelli di glicemia.

3- NON DEMONIZZARE I GRASSI

Se gli zuccheri sono nemici del cervello, suoi grandi alleati sono, invece, i grassi “buoni”, quelli insaturi come quelli dell’olio extravergine d’oliva o gli omega 3 tipici del pesce. Ma anche – purché in dosi contenute – quelli saturi presenti in carne rossa, burro, tuorlo d’uovo e formaggi non sono da meno. Per decenni i grassi sono stati letteralmente demonizzati mentre oggi attraversano una fase di piena riabilitazione alla luce della funzione protettiva che esercitano anche nei confronti del cervello e dei suoi delicati meccanismi. Se lo zucchero incrosta i neuroni, infatti, i grassi li lubrificano. Negli anni 90’ si è vista, ad esempio, l’efficacia dei grassi “buoni” omega 3 nel trattamento di patologie psichiatriche quali sindrome bipolare, depressione, ansia.

4- RIMANERE ANIMALI SOCIALI

L’ultimo pilastro della prevenzione delle malattie del cervello è la socializzazione. L’isolamento è amico dell’Alzheimer mentre vivere in un contesto solido di relazioni familiari e sociali è un vero e proprio elisir di longevità cerebrale. L’anziano isolato tende a deprimersi e abbiamo visto come la depressione possa essere il primum movens verso l’Alzheimer. C’è un altro ormone attivato dalle relazioni: l’ossitocina, l’ormone che si attiva in noi mammiferi quando interagiamo con gli altri. Detto anche l’ormone dell’amore, svolge un ruolo fondamentale nella stimolazione del cervello al punto che i fattori sociali possono essere per la salute cerebrale più incisivi di quelli genetici. Per questo assicurarsi che le persone meno giovani non spezzino, anzi incrementino, la propria rete di relazioni sociali è cruciale nella difesa dall’insorgenza di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Siamo animali sociali e come tali dovremmo invecchiare.