Wellness naturale

Sorgenti minerali, testimonianze della Grande Guerra, laghetti circondati da montagne fra le più celebri e maestose dell'arco alpino: a misura dell'estate pleinair, una piccola antologia di escursioni d'ogni livello sulle montagne di Peio, immersi nella grande natura del parco dello Stelvio, con comodi approdi per il v.r. o la tenda e le piacevoli pause di benessere offerte dal rinomato centro termale della località trentina.

Indice dell'itinerario

Adagiato in una piccola conca ai piedi di Punta Taviela e del Monte Vioz, Peio domina una stretta valle nel settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio e deve alla sua posizione, alle pendici meridionali del massiccio Ortles-Cevedale, la fama di centro escursionistico tra i più interessanti delle Alpi centro-orientali. Si tratta dunque di una meta giustamente nota agli appassionati del pleinair, che qui trovano innumerevoli spunti per il classico soggiorno montano: se poi a questo aggiungiamo le testimonianze storiche del territorio (qui si combatté la battaglia più alta della Prima Guerra Mondiale) e le acque sotterranee che alimentano una delle fonti più note dell’intero arco alpino, ecco profilarsi una vacanza all’aria aperta completa in ogni suo aspetto fra natura, cultura e relax termale, in un ambiente preservato con cura nelle sue caratteristiche e adeguatamente attrezzato per l’accoglienza dei turisti itineranti.

Acqua e ferro
Le origini di Peio (o Pejo, come spesso riportano le mappe, alcuni segnali stradali e molti materiali informativi degli enti turistici) risalgono all’Età del Bronzo, quando popolazioni di stirpe celtica o retica si insediarono nella valle, attirate dalle ben praticabili vie di comunicazione con la Lombardia attraverso i due valichi del Montozzo e della Sforzellina. Nel Medioevo le miniere di ferro, probabilmente già sfruttate in epoche precedenti, divennero la principale risorsa economica, alimentando un flusso di immigrazione terminato solo nel XIX secolo.
Ma il sottosuolo offriva ai valligiani anche un altro tesoro: già nel 1549 si fa menzione dell’acqua minerale dei Bagni di Pejo, e un secolo dopo le sue virtù benefiche sono studiate, riconosciute e apprezzate dagli scienziati dell’epoca. Di lì a poco giungono i primi pazienti, pur dovendo arrivare all’800 perché Peio consolidi il suo ruolo di località termale tra le più frequentate nel settore meridionale dei domini asburgici. Oggi i vecchi stabilimenti sono stati sostituiti da un moderno complesso attrezzato per un ampio novero di trattamenti idropinici e balneoterapici, che sfruttano le proprietà di tre diverse acque: quella mediominerale ferruginosa dell’Antica Fonte, quella oligominerale della Fonte Alpina e quella minerale effervescente della Nuova Fonte. Con la nascita dell’alpinismo Peio aggiunge alle proprie valenze il turismo sportivo, diventando un punto di partenza privilegiato per accedere alle vette del gruppo del Cevedale. L’istituzione del Parco Nazionale dello Stelvio nel 1935 accresce la vocazione della valle per un turismo rispettoso dell’ambiente, preservandola da un eccessivo intervento umano: cervi e stambecchi, ermellini e galli cedroni, aquile e gipeti sono presenze tuttora consuete della ricca fauna selvatica locale. La creazione dell’area protetta ha consentito inoltre ai centri abitati compresi nel suo perimetro di conservare, più di altri, il loro aspetto originario: per rendersene conto basta passeggiare lungo le strette viuzze del paese, che con i suoi 1.579 metri di altitudine è stato fino al 1918 il borgo più alto dell’impero austro-ungarico e oggi lo è del Trentino. Le case dai muri in pietra sono semplici e austere, i masi in legno con i fienili al piano superiore sono rimasti quelli degli antichi insediamenti rurali di montagna; né mancano gli interessi artistici, come il massiccio campanile della chiesa su cui campeggia l’enorme affresco di San Cristoforo, che dai suoi 7 metri di altezza sembra voler sorvegliare l’intera valle.
Il patrimonio naturalistico resta in ogni caso la principale attrattiva di questi luoghi. Facili passeggiate nei boschi, lunghe sgroppate sui sentieri montani, impegnative traversate sui ghiacciai perenni: dai principanti ai più esperti, ciascuno può trovare l’escursione più adatta alle proprie esigenze.

Antiche sorgenti e memorie di guerra
Un primo itinerario, alla portata di tutti, parte da Peio Fonti dove si imbocca la strada per la Valle del Monte. Dopo aver lasciato il camper al primo parcheggio, si entra nel bosco a sinistra seguendo il sentiero 110. Attraversato il torrente Noce, con acque spesso abbondanti anche d’estate, il segnavia indica la salita tra le conifere sino a raggiungere i resti del Forte Barba di Fior, dall’alto del quale i soldati di Francesco Giuseppe controllavano non solo la Valle del Monte ma anche la sua confluenza con la Val de la Mare, solcata dal Noce Bianco. Oggi il presidio militare austro-ungarico è diroccato, ma dalla piccola terrazza antistante si gode un ampio panorama che fa comprendere la sua importanza strategica.
Il sentiero ridiscende al livello del Noce, costeggiandolo per un paio di chilometri fino a raggiungere la strada in prossimità del Fontanino di Cellentino. Qui affiora dal sottosuolo un’acqua ferruginosa molto amara, ma che vale la pena di assaggiare per il suo inconfondibile, acre sapore metallico. Proprio nei pressi della fonte si trova un altro parcheggio, anch’esso accessibile ai camper, da cui partono due vie per salire al bacino artificiale di Pian Palù: sulla sinistra un breve ma ripido sentiero, sulla destra una più comoda strada forestale che arriva a lambire lo specchio d’acqua e raggiunge Malga Giumella (1.950 m).
Giunti al Lago di Pian Palù, che dista una ventina di minuti dal parcheggio, si apre allo sguardo un paesaggio alpino di rara bellezza: scogli levigati dall’acqua punteggiano le rive, boschi e prati coprono le pendici dei monti circostanti, che sfiorano o superano i 3.000 metri e sulle cui vette resistono anche nella stagione calda piccole lingue di ghiaccio e neve. Le sponde sono un’irresistibile tentazione per qualche ora di relax, ma possono anche costituire il punto di partenza per impegnative camminate in un ambiente dal fascino selvaggio. Chi invece volesse compiere il periplo del lago metta in conto un paio d’ore di camminata.
Dalla riva meridionale il sentiero 111 conduce in un paio d’ore alla Forcellina di Montozzo (2.613 m), il passo che mette in comunicazione la valle omonima con l’Alta Via Camuna. Dalla Malga Giumella, invece, il sentiero 110 porta al Passo della Sforzellina, l’altra via di comunicazione con la Lombardia, che ai piedi del Corno dei Tre Signori (3.559 m) immette nella Valle del Gavia. Dai ruscelli che scendono fra le pietraie circostanti ha origine il fiume Noce, che solca le valli di Peio, di Sole e di Non per poi sfociare nell’Adige. Una variante scoscesa si stacca dal segnavia principale poco dopo la Malga Paludei per risalire la Val Piana: l’arida distesa di pietre che la ricopre è popolata dalle marmotte, e nelle prime ore del mattino non è difficile incontrarvi piccoli branchi di camosci. La via si inerpica tra le rocce fin oltre quota 3.000 e si interrompe a pochi passi dalla Vedretta Val Piana, proprio sotto la Punta San Matteo (3.678 m), teatro di battaglia della Guerra Bianca.

Il giro dei laghi
Un’altra occasione per avvicinarsi ai ghiacciai del Cevedale è offerta da un’escursione tra le più belle dello Stelvio trentino. Si parte da Cogolo prendendo la strada che percorre la Val de la Mare, fino a raggiungere il parcheggio presso la centrale elettrica di Malga Mare (1.972 m). Il sentiero 102 sale dapprima ripido e poi, dopo aver superato la strettoia del Ponte di Pietra, si addentra nella Val Venezia con scarsa pendenza. Il percorso si snoda a mezza costa sulla destra del Noce Bianco, che scorre a fondovalle sovrastato dai versanti orientali del Vioz, del Palon de la Mare, del Rosole e del Cevedale. Sotto le possenti cime si adagiano la Vedretta Rossa, una piccola propaggine laterale del ghiacciaio dei Forni divisa in due da una ripida cresta pietrosa, e più a nord la lunga striscia bianca della Vedretta de la Mare. Il Rifugio Larcher (2.608 m) domina la parte settentrionale della valle da un ampio balcone roccioso: quando lo raggiungiamo, dopo due ore di marcia, il Cevedale si staglia di fronte a noi in tutta la sua maestosità, con la stretta lingua della Vedretta de la Mare che sembra voler lambire l’edificio.
Da qui inizia la seconda parte del percorso, che richiede cinque ore toccando in successione quattro incantevoli laghetti (consigliabile effettuarlo in senso orario per trovarsi in discesa nell’ultima, ripida parte dell’escursione). Per primo si incontra il Lago delle Marmotte, così chiamato perché i simpatici animali popolano numerosi le sue rive e tutta la zona circostante: è un bacino tondeggiante, di origine glaciale, sorvegliato da lontano dalla mole imperiosa del Cevedale. Si procede tra la vegetazione d’alta montagna e le rocce rossastre ingiallite dai licheni fino a un costone pietroso da cui si scorge l’inconfondibile forma sinuosa del Lago Lungo, le cui acque cristalline assumono nei giorni assolati colorazioni intense, dal violetto al verde petrolio. Una deviazione consente di scendere a sfiorare la sponda, mentre il sentiero principale rimane in quota; all’orizzonte inizia a distinguersi l’aguzza cima bianca della Presanella, che sovrasta il Passo del Tonale. La tappa successiva, tra due speroni rocciosi, è il piccolo Lago Nero le cui acque, scure nelle ore d’ombra, si accendono di un azzurro intenso sotto i raggi del sole estivo. In breve si raggiunge il Lago Careser, sfruttato per la produzione di energia idroelettrica. E’ il più grande dei quattro bacini, disteso in un’ampia conca scavata dai ghiacci, al centro di un vasto anfiteatro di monti. La diga che lo chiude a ovest funge da sentiero fino all’imbocco della lunga e ripida discesa fra prati, boschi e rododendri, tornando al punto di partenza.

Neve al sole
Fra tutti gli itinerari della Valle di Peio il più classico ed emozionante è la salita sul Monte Vioz, una delle poche escursioni sulle Alpi italiane che consente di raggiungere, senza attrezzatura né guida, una vetta di oltre 3.500 metri: un’occasione per tutti gli appassionati della montagna di ammirare luoghi spesso riservati esclusivamente agli alpinisti. Per arrivare alla meta è sufficiente trovarsi in buone condizioni fisiche, partendo di primo mattino se non si ha intenzione di pernottare in quota.
Da Peio Fonti si prende la telecabina sino al Rifugio Scoiattolo (1.998 m). Si tratta di un’ottima base di partenza per numerosi percorsi di scarso impegno, che si dirigono verso il Lago Covel, le cascate Cadini e il lago di Pian Palù a ovest, la Valle Zampil a est. Noi prenderemo invece la seggiovia che raggiunge in breve il Doss dei Cembri (2.315 m), una larga conca erbosa sotto la Punta Taviela. Da qui si può scegliere se affrontare l’ascesa al Vioz o accontentarsi del meno impegnativo Sentiero dei Tedeschi, siglato 139, che segue verso est la pista militare costruita dalle truppe austro-tedesche durante la Grande Guerra, tra resti di baraccamenti e ripari bellici, fino ai ruderi dell’ospedale militare austro-ungarico in vista del lago di Pian Palù.
Il collegamento al sentiero 105 sale invece verso il Vioz dalla parte opposta, guadagnando rapidamente quota lungo il versante orientale della Val della Mite. Non appena il segnavia raggiunge la Valle Zampil il paesaggio muta radicalmente: ai declivi erbosi subentra un ambiente aspro, in prevalenza roccioso, dove la vegetazione si fa sempre più rada fino a scomparire del tutto. Il sentiero si inerpica offrendo panorami suggestivi in tutte le direzioni, a sud verso la Presanella, ad est sulla Val de la Mare e sul Lago Careser, mentre a nord la cima, coperta dai bastioni rocciosi della montagna, resta nascosta quasi fino alla fine. Durante il tragitto, anche nei giorni estivi più assolati capita di essere avviluppati dall’umida e spessa cortina di nuvole di passaggio, mentre la pendenza del sentiero e la rarefazione dell’ossigeno impongono un passo lento e cadenzato. Dopo un paio d’ore di cammino, quando la stanchezza inizia a farsi sentire, si intravvede il Rifugio Mantova, il più alto delle Alpi centro-orientali (3.535 m): raccolte le ultime energie, ci si arriva dopo aver superato brevi passaggi innevati.
Per raggiungere la vetta del Monte Vioz (3.645 m) serve un’altra mezz’ora di salita, o poco meno, su tracce di sentiero roccioso. Una volta in cima, un panorama sublime è il premio che ripaga qualunque fatica: il vasto ghiacciaio dei Forni, attraversato da qualche raro alpinista; il Cevedale, ampio e maestoso con i suoi 3.769 metri d’altezza, da cui ci separano i dorsi candidi e piatti della Vedretta de la Mare e della Rossa; le altre dodici cime innevate del gruppo e più in là, piccola fascia verde in lontananza, la Valtellina. Da una cima all’altra si snoda un affascinante percorso di quattro giorni tra i ghiacci, che richiede però attrezzatura specifica e guida alpina.
Proprio in questi scenari si combatté la cosiddetta Guerra Bianca, cioè quella parte del conflitto che vide contrapposti l’Austria-Ungheria e l’Italia, in cui le valanghe fecero più vittime delle pallottole. Ricordano quei drammatici eventi le tracce di filo spinato che affiorano qua e là dalla neve sulla cresta del Vioz o, di ben altro impatto, il ritrovamento di armi e corpi di soldati avvenuto a più riprese negli ultimi anni. Nell’estate 2004, non lontano da qui, sul Piz Giumella il ghiacciaio ha restituito i corpi mummificati di tre Kaisershützen, gli Alpini austriaci, e un cannone da montagna prodotto in Boemia dalle officine Skôda: oggi tutti questi reperti sono conservati dietro la chiesetta di San Rocco, nel bosco che circonda Peio Paese. Noi intanto, seduti su una striscia di roccia lasciata libera dal ghiaccio, cerchiamo di immaginare il terribile inverno del 1917 con 16 metri di neve, le continue slavine, la vita dei soldati appesa a un filo. E pensare a quegli uomini costretti a trascorrere quassù giorni e notti a difendersi dal gelo più che dal nemico rende ancora più acuta la vertigine di sapersi tanto in alto, sospesi tra il cielo e la montagna.

Testo e foto di Sara Branca e Matteo Cucchiani

PleinAir 444 / 445 – Luglio / Agosto 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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