Vola, Uccellina

Il Parco Regionale della Maremma sale in vetta alle aree protette meglio organizzate e più visitate d'Italia. Una miscela ben dosata di attività produttive, conservazione della natura e turismo sostenibile. In camper, soprattutto.

Indice dell'itinerario

Il sentiero che sale a San Rabano è uno dei più belli d’Italia. Inizia inerpicandosi per ripide rampe e prosegue in piano in una meravigliosa lecceta, da cui s’intravvedono il Monte Amiata e la spiaggia; e di colpo, al termine di una discesa, appare nel fitto bosco l’abbazia di San Rabano, l’antica Sancta Maria in Monte Alborensi fondata intorno al Mille dai Benedettini, passata ai Cistercensi e abbandonata nel 1474 a causa delle scorrerie barbaresche.
Un altro sentiero nel bosco – che qui, oltre ai lecci, comprende querce da sughero, corbezzoli e ginestre – porta a un uliveto e a una strada: percorrendola in discesa si sbuca sul più integro litorale sabbioso della Toscana. E’ la spiaggia dell’Uccellina, lunga 4 chilometri, sorvegliata da ripidi monti boscosi, da modeste falesie calcaree e dalle torri cinquecentesche di Castel Marino e Collelungo, mentre le grotte che si affacciano sull’arenile furono frequentate dall’uomo in epoca preistorica.
San Rabano, la spiaggia dell’Uccellina e le torri non sono mete nascoste. Ogni anno, per ammirarle, decine di migliaia di escursionisti raggiungono Alberese (un borgo agricolo poco a sud di Grosseto), fanno il biglietto, salgono sul bus navetta, raggiungono la radura dei Pratini, si mettono in cammino nella natura della Maremma. Oltre ai profumi della macchia, possono incontrare caprioli, daini, rapaci e cinghiali; da giugno a settembre (ma anche prima o dopo, se il tempo lo consente) le acque del Tirreno sono lì per ristorarsi con un tuffo. Insieme agli italiani arrivano inglesi, tedeschi, olandesi, svizzeri, e negli ultimi anni, in gran crescita, gli americani.
Il successo delle aree protette italiane viene spesso identificato con Cogne, al Gran Paradiso, e Civitella Alfedena, nel Parco d’Abruzzo, ma la storia di Alberese e del Parco Regionale della Maremma è altrettanto interessante. Saltuariamente frequentate dagli Etruschi, le alture che culminano nei 479 metri del Poggio Lecci e le paludi alla foce dell’Ombrone furono abbandonate – come San Rabano – a seguito delle invasioni dei barbari, bonificate nell’Ottocento dai Lorena, popolate tra il 1930 e il 1932 da centinaia di coloni provenienti dal Veneto devastato dalla Grande Guerra. Poi, quando il turismo ha scoperto la Maremma, la presenza di estesi latifondi (3.400 ettari di proprietà pubblica, altri 2.000 divisi tra i Vivarelli-Colonna, i Ponticelli e altri proprietari) ha bloccato l’edilizia selvaggia e le strade che negli anni Sessanta hanno sfigurato l’Argentario e Punta Ala. Nel 1975 l’istituzione del parco da parte della Regione Toscana ingenerò qualche perplessità fra i cacciatori maremmani e i contadini di Alberese: ma oggi i risultati sono al di là di ogni aspettativa. «Abbiamo 80.000 visitatori ogni anno, più altri 200.000 che raggiungono in auto la spiaggia. Diamo lavoro a una quindicina di guardaparco, a due cooperative di accompagnatori, a una cinquantina di famiglie che gestiscono altrettanti agriturismi. Poi ci sono i negozi di alimentari, i ristoranti, i chioschi di Marina di Alberese» spiega Enrico Giunta, direttore del parco.
A seguito di questo boom, gli amministratori dell’area protetta hanno scelto di renderla più accessibile. Dal 2001, i quattro classici sentieri che iniziano dalla radura dei Pratini possono essere percorsi tutti i giorni invece che tre volte a settimana, mentre la palude della Trappola e gli stagni delle Macchiozze, sulle rive dell’Ombrone, sono stati aperti ai birdwatcher. Al margine di Alberese sono stati realizzati un posteggio gratuito per i camper e l’edificio che ospita la direzione e il nuovo centro visitatori: da qui, una pista ciclabile porta a Marina di Alberese attraversando i pascoli frequentati da bovini maremmani e cavalli, e costeggiando il fiume nell’ultimo tratto; nel contempo, per ridurre l’impatto dei veicoli sulla costa la strada tra Alberese e la Marina è diventata a pagamento dalla primavera all’autunno. Altri due centri visitatori sono sorti nei pressi di Talamone e nella fattoria del Collecchio, accanto alla Via Aurelia: dal primo iniziano già tre sentieri, dal secondo partiranno nuovi itinerari anche per la mountain bike. Per concludere, ci sono le escursioni notturne accompagnate dai guardaparco e le gite in canoa sull’Ombrone, inaugurate quattro anni fa e subito premiate dal successo. L’affollamento dei sentieri, contrariamente a quello che si può pensare, non ha disturbato gli animali. «Oggi vivono nel parco da 700 a 800 caprioli, da 1.400 a 1.500 cinghiali e da 1.800 a 2.000 daini» racconta Luca Tonini, capo dei guardaparco. «Nel 2000 sono arrivati i fenicotteri che frequentano da decenni le lagune di Orbetello e di Burano, si sono moltiplicati le oche selvatiche e gli aironi guardabuoi. Il nuovo arrivo più importante è quello dell’aquila di mare». In più, sono state appena avviate la reintroduzione del falco pescatore (in collaborazione con il parco francese della Corsica) e iniziative per le tartarughe marine.
«In materia di itinerari l’ente parco ci ha sempre ascoltato» spiega Adriano Bertaggia, responsabile del WWF di Grosseto. «Anche per noi, d’altronde, il benessere della popolazione locale è tra gli obiettivi prioritari per le aree protette». Sulla stessa linea è Cecilia Luzzetti, che rappresenta le associazioni ambientaliste nel direttivo dell’area protetta. «E’ giusto aprire degli itinerari anche nell'”area contigua” al di là dell’Aurelia. Ma anche i monti dell’Uccellina possono sopportare qualche visitatore in più».

Una giornata in sella
Oltre agli escursionisti, ai bagnanti, ai guardaparco e ai birdwatcher, frequentano l’area i butteri, che escono ogni giorno a cavallo per sorvegliare e spostare da un pascolo all’altro il bestiame. Due quinti della superficie (3.800 ettari su 9.800) sono proprietà dell’Azienda Regionale Agricola di Alberese, che gestisce la ex Tenuta Granducale bonificata dai Lorena nei primi anni dell’Ottocento: anche questa struttura attraversa un periodo magico. «Viviamo in simbiosi con il parco, e gli affari vanno a gonfie vele» dice Alessandro Zampieri, capo dei butteri dell’Azienda. «Alleviamo 120 cavalli e dai 500 ai 600 bovini di razza maremmana, produciamo olio, miele, grano, verdure e pinoli. Tutta la produzione è biologica, e quando è esplosa la paura della ‘mucca pazza’ il nostro spaccio è stato preso d’assalto».
Oltre che sull’agricoltura, l’Azienda punta sul turismo con dieci casali trasformati per l’ospitalità rurale, uscite a cavallo e, prossimamente, escursioni con i carri; inoltre, si occupa della Fattoria Granducale che la Regione Toscana utilizza come foresteria.
Ma il lavoro dei butteri è ancora quello di un tempo. Lo scopro accompagnando, in una splendida mattina di sole, Stefano Pavin ed Emiliano Romagnoli impegnati nelle loro attività quotidiane. Le cinque ore che trascorriamo in sella sono un catalogo delle mansioni che questi uomini – pagati con uno stipendio da operai, innamorati del loro lavoro come raffinati artigiani – devono svolgere nel corso dell’anno. Dopo aver contato vacche e cavalli nei diversi appezzamenti dell’Azienda, Emiliano e Stefano marchiano i vitelli nati nelle ultime ore schivando gli attacchi delle madri, che non apprezzano la loro presenza; una mucca ha nascosto il neonato tra i cespugli, e scovarlo richiede una lunga ricerca. Poi controlliamo una mandria di cavalle sorvegliate da un irruento stallone, e osserviamo da lontano il toro Giasio (1.200 chili, cinque anni, un’aggressività smisurata) che qualche mese fa ha sbudellato un cavallo mancando per qualche centimetro il buttero.
Prima di tornare alla fattoria, una vacca scivolata in un canale di bonifica richiede un intervento di emergenza: annaspa nell’acqua limacciosa, prova a risalire, si dimena, ma il fondo fangoso e le sponde ripide le impediscono di tornare sul prato. I butteri cercano di farla nuotare verso una zona meno profonda, alternano le bastonate alle carezze, temono che si lasci andare e che anneghi. A rendere più drammatica la scena, i due vitelli partoriti da poco osservano preoccupati la madre. Poi l’animale ha un sussulto, prende la rincorsa, riesce a uscire. Stefano Pavin sorride: «Solo le maremmane hanno tanto orgoglio».

PleinAir 382 – maggio 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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