Viva viva tarantella

Quella di Montemarano, nell'Avellinese, non è soltanto una tarantella, ma un patrimonio etnico con tanto di studiosi e interpreti internazionali. E il Carnevale è il suo palcoscenico.

Indice dell'itinerario

In quasi tutta Italia il Carnevale finisce il Martedì Grasso, ma a Montemarano, paese a 820 metri di quota non lontano da Avellino, la festa imperversa ancora la domenica successiva, in piena Quaresima. Antiche manie anticlericali o cos’altro? Sta di fatto che solo allora muore il Carnevale del posto, e si assiste al suo funerale. Lo scorso anno, per supplemento di ironia, c’era un funerale vero che s’accavallava con quello finto e, nell’ attesa, le maschere se ne stavano in rispettoso silenzio, mentre una strana atmosfera lievitava per le strade del paese… Solo dopo, in una bara di legno stile vecchio West, s’accomodò il Carnevale morente, un giovane in carne e ossa, semirasato, pantaloni larghi, bretelle e giacca, le mani incrociate sul petto e gli occhi vitrei fissi al cielo.
La bara venne portata a spalla da portantini con gli occhiali scuri, seguita da corone di fiori e da un corteo di “parenti” afflitti. L’inconsolabile moglie (un uomo travestito di una bruttezza sconvolgente) piangeva affranta sulla spalla del figlio, seguita dai caporaballo (Pulcinella locali) e da un finto prete che impartiva la sacra unzione intingendo un pennello da pittore in un secchio d’acqua molto poco santa.
Su tutto, la musica mesta di una marcia funebre, accompagnata dalle risate della folla e dallo scoppio di qualche mortaretto che faceva rizzare il pelo ai gatti.
Alla fine del corteo, la bara fu sistemata sotto l’entrata di un pub e qui, tra i lazzi e le risate dei presenti, qualcuno armato di microfono e amplificatore recitò in dialetto il grottesco testamento del morto. Poi, tutti giù in Piazza Mercato, per la simbolica cremazione: il rogo di un fantoccio di paglia e stracci con un petardo messo tra le gambe.
Così ogni anno, con il vecchio Carnevale ormai avvolto in una nuvola di fumo e di fracasso, subentra a Montemarano il nuovo. Per salutarlo, alle 11 della stessa sera c’è la rottura della pentolaccia, poi si distribuiscono biscotti innaffiati da buon vino locale e infine si fa baldoria suonando e ballando fino alle ore piccole.
E’ la musica del resto, quella dalle profonde radici, la vera protagonista del Carnevale montemaranese.
Nei giorni della bisboccia l’aria s’incendia di tanto in tanto al ritmo indiavolato della tammuriata, antico stemma musicale della Campania, che è insieme danza, canto e momento di aggregazione sociale.
Ed è una delle prime occasioni dell’anno, dopo la Candelora di Montevergine (sempre in provincia di Avellino), in cui è possibile assistere a questa incontaminata espressione d’arte popolare. Ma la specialità vera del paese è un’altra, la celebre e appassionante tarantella montemaranese, che ronza nelle orecchie tutto il tempo del Carnevale e molto dopo ancora.Questo antico ballo ha un ritmo sincopato travolgente e una fusione di strumenti, fisarmoniche, clarinetti e tamburelli (una volta, organetto e ciaramella), che contagia senza rimedio.
Non per nulla almeno due formazioni di interpreti locali se ne vanno in giro a diffondere la tradizione per l’Italia e il mondo, gli Zompa Cardillo e I Solisti di Montemarano che spessissimo si accompagnano con Eugenio Bennato.
Tra questi ultimi, Luigi D’Agnese ha però preferito restare nei confini di casa, conducendo una lunga e paziente ricerca musicale sul campo, intervistando e filmando gli ultimi grandi della tarantella montemaranese: Michele Mastromarino per esempio, che ha quasi 88 anni e suona con disinvoltura il doppio flauto di canna, raro strumento che si trova solo qui e in certi sperduti distretti di Sommavesuviana.
Il fratello di Luigi, Generoso, vive invece a New York, a Long Island, dove ha portato la tarantella che fa suonare ogni tanto nel quartiere e durante le feste, come il Columbus Day; salvo a tornarsene ogni anno a Montemarano proprio durante il Carnevale.
Dalla domenica al Martedì Grasso, in ogni caso, gruppi di musicisti d’ogni età percorrono le strade del paese suonando la tarantella, seguiti da piccole folle che aumentano di numero man mano che l’allegro corteo procede, come nella favola del pifferaio magico. E ballano tutti, maschere e non maschere, perché qui a Montemarano quel ritmo ipnotico miete vittime senza distinzioni (tarantella fino a che face iuorno, dice un detto locale). A guidare i vari gruppi musicali pensano i già ricordati caporaballo vestiti di bianco e rosso che, mentre ballano, cercano per quanto possibile di mantenere anche l’ordine.
Quanto alle origini del ballo, le prime note sarebbero arrivate più di mille anni fa con i bulgari, poi sapientemente adattate al luogo e gelosamente tramandate di padre in figlio.
Cosicché Montemarano è diventata una preziosa isola etnica, con una tradizione musicale tale da farvi convergere studiosi, ricercatori e musicisti da ogni parte d’Italia. Una sorta di eccezionale laboratorio, ha scritto qualcuno, “di contaminazione controllata, di evoluzione intrinseca della musica e del ballo”.

PleinAir 366 – gennaio 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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