Vitamine e minerali

In camper da Budapest alle grandi pianure del sud dell'Ungheria seguendo il filo rosso della paprika e quello azzurro delle terme, con divagazioni monumentali e soste sicure.

Indice dell'itinerario

A settembre il paesaggio agricolo dell’Ungheria si tinge di rosso: ma non è quello di alberi e arbusti accesi da un autunno precoce, bensì il colore dei campi dove iniziano a maturare i peperoncini che serviranno per la produzione della paprika, indiscussa regina della gastronomia magiara.
Le grandi vie di comunicazione mitteleuropee ci hanno portato rapidamente alle porte di Budapest, nella quale ci soffermeremo al rientro. Ora invece proseguiamo verso le grandi pianure meridionali scegliendo come prima sosta una struttura alle porte di Lajosmizse. Siamo a una settantina di chilometri dalla capitale, ma qui l’atmosfera è dominata dalla tradizione contadina: presso l’Öreg Tanyacsárda è possibile pernottare con il proprio v.r. in un campeggio provvisto di tutti i servizi e soprattutto apprezzare un folklore ancora genuino con passeggiate in carrozza, spettacoli musicali e dimostrazioni degli csikós, i mandriani che indossano cappello in feltro nero e pantalone-gonna azzurro. Per il pranzo, accompagnato dal sottofondo di musica tzigana, vengono offerti prodotti tipici della cucina ungherese come gulasch e carni arrosto; nel pomeriggio si possono visitare il grande parco e le stalle, o più semplicemente oziare nei prati e attendere l’inizio delle rappresentazioni serali con danze e balli in costume illuminati da grandi falò.
La barack pálinka, ovvero la grappa alle albicocche, è il vanto della vicina cittadina di Kecskemét, altrimenti nota per aver dato i natali nel 1882 al compositore Zoltán Kodály. A questo pioniere dell’etnomusicologia, che inventò anche un metodo d’insegnamento della musica e fu linguista, filosofo, educatore, è dedicato il carillon del municipio che segna le ore sulla piazza Kossuth Tér suonando appunto motivi di Kodály. All’interno dell’edificio con la sua rosea facciata, ampie scalinate portano alla sala consiliare che conserva la forma originaria risalente alla fine dell’800 (è necessario prenotare la visita presso il locale ufficio turistico). Lungo il perimetro della piazza sorgono luoghi di culto ognuno destinato a una diversa fede: troviamo così una chiesa calvinista, una ortodossa e una sinagoga in stile moresco-romantico, attuale sede della Casa della Scienza e della Tecnica, posta all’angolo della vicina via Rákóczi; sul lato opposto si eleva la bellissima Cifrapalota, attuale pinacoteca liberty progettata dall’architetto Márkus ed elegantemente decorata con motivi floreali in maiolica. Raccolti in uno spazio circoscritto, gli altri monumenti possono essere visitati tranquillamente a piedi dopo aver lasciato il v.r. nei parcheggi alle spalle del teatro Katona. Da qui è facile raggiungere due interessanti musei, entrambi al civico 11 della via Gáspár: quello degli artisti naïf ungheresi e il museo del giocattolo dove, oltre all’esposizione dei pezzi, si organizzano corsi di restauro e laboratori di costruzione per bambini. Un’ultima tappa alle distillerie Zwack, dal nome del medico che con un miscuglio segreto di 37 erbe riuscì a curare il mal di stomaco di re Giuseppe il quale, per riconoscenza, concesse la possibilità di etichettare con una croce rossa quell’amaro che sarebbe poi divenuto famoso con il nome di Unicum.
Meno di 100 chilometri ci separano da Kalocsa, dove il periodo della raccolta del peperoncino si celebra per ben due settimane, a cavallo della metà di settembre, con un festival che prevede esposizioni a tema, mostre d’arte, spettacoli popolari e competizioni culinarie. Chiude la manifestazione il corteo della paprika: al mattino le vie principali della città sono percorse da cavalieri e da carrozze con uomini e donne in costume che sfilano sino al duomo, per dare inizio a danze vorticose in cui le signore fanno ruotare con coreografica perizia le gonne corte e colorate. Nel frattempo, ai margini dell’abitato, con l’avvicinarsi dell’ora di pranzo la folla si assiepa sempre più numerosa intorno a un’ottantina di postazioni davanti alle quali fumano grandi pentole di rame in cui cuociono manzo, selvaggina, maialino, gulasch, zuppe e stufati (2 euro e mezzo il costo medio di un piatto); insieme a semplici appassionati, sono presenti i più importanti cuochi della zona che, oltre a dar soddisfazione agli avventori, partecipano con la loro migliore pietanza al concorso per aggiudicarsi l’ambito paiolo d’oro.I monumenti cittadini sono tutti concentrati sulla Szentháromság Tér, la piazza della Trinità, dalla quale parte il corso dedicato a Santo Stefano: sulla sinistra il monumento ai caduti della Grande Guerra, sulla destra l’imponente facciata del duomo, al centro l’ampio prospetto del settecentesco palazzo vescovile dove è conservata la seconda biblioteca religiosa d’Ungheria, arredata con mobili e scaffali d’epoca in cui sono conservati 140.000 volumi ancora consultabili, tra i quali 508 incunaboli e una Bibbia con la firma di Martin Lutero. Sul corso principale si affaccia anche il museo della paprika il cui biglietto d’ingresso comprende la visita alla Casa del Folklore in Tompa Mihaly 7, con esempi di abitazioni contadine magiare caratterizzate da muri e da mobili dipinti a mano; una tradizione, quest’ultima, che si esprime con un fascino tutto particolare nella locale stazione ferroviaria ora in disuso, dove i decori floreali adornano le porte d’ingresso e le pareti di corridoi e sale d’attesa.

In vino veritas
A pochi chilometri dalla città, proseguendo sulla statale 51 in direzione di Baja, incontriamo la residenza estiva dei vescovi di Kalocsa con grandi finestre in ferro battuto. Poco più avanti una deviazione ci porta ad Hajós, dove non possiamo fare meno di notare i numerosi grappoli di paprika appesi sotto le grondaie delle case: lasciati liberi o ordinatamente raccolti in reti di nylon, sfoggiano i loro vivaci colori alternati al bianco brillante delle trecce d’aglio.
Entrati ad Hajós bisogna seguire le indicazioni per Pincepalu, una vicinissima frazione caratterizzata da piccoli caseggiati con i tetti spioventi accostati l’uno all’altro. Rappresentano la parte emergente delle profonde cantine scavate nella roccia in cui si conservano i preziosi vini della zona come gli Chardonnay, i Cabernet o i robusti Kadarka rossi. Il borgo di appena un chilometro quadrato, fondato agli inizi del ‘700 da profughi sassoni (si parla ancora l’antico dialetto tedesco), conta ben 1.400 cantine, la maggior parte con le case sul fronte; oltre alla degustazione di vini, in molte di esse è possibile anche effettuare spuntini solitamente a base di carne, patate e cetrioli.

La patria dei salame
Discesi a Baja, deviamo nettamente verso est per portarci a Szeged, grande città universitaria sviluppatasi lungo il corso del Tisza; percorrendo la Tisza Lajos Körút è possibile sostare sulla Huszár Mátryás Rakpart, con gli ampi parcheggi ricavati lungo gli argini. Siamo a ridosso del museo ubicato nei giardini Stefánia, superati i quali si passa davanti al teatro e da qui nella via Vörösmarty: alla fine della strada sorgono gli stabilimenti Anna, uno dei primi centri termali ungheresi, costruito nel 1896 e recentemente restaurato. Di fronte, i giardini della Széchenyi addolciscono le linee dell’austero palazzo comunale sul quale si leva l’alta torre destinata all’avvistamento degli incendi.
Al termine della via Kárász, che attraversa tutta la zona pedonale, svoltando a destra troviamo al civico 56 della Tisza Lajos Körút l’elegante palazzo Reök, dai sinuosi motivi floreali in stile liberty che si ripetono lungo la bellissima ringhiera della scala interna. Sulla vicina via Gutenberg è situata invece la sinagoga (terza nel mondo per grandezza dopo quelle di New York e Budapest) risalente ai primi del ‘900: i vetri colorati delle finestre, l’altare costruito con marmi di Gerusalemme e la porta dell’Arco dell’Alleanza in legno d’acacia proveniente dalla regione del Nilo caratterizzano questa costruzione Art Nouveau.
Tornando sui nostri passi, all’incrocio della circonvallazione con la via Zrínyi, sulla piazza Aradi Vertanúk il monumento di una grande farfalla in attesa di spiccare il volo sorretta da un gruppo di giovani ricorda il sacrificio dei ragazzi caduti nella rivoluzione del 1956. Al di là si attraversa la porta degli Eroi, un tunnel protetto su entrambi i lati da imponenti statue di soldati; tutta la volta è coperta da un ciclo di affreschi sulla Prima Guerra Mondiale tornati alla luce dopo essere stati volutamente nascosti dal passato regime. Il sottopassaggio conduce inoltre alla gotica chiesa francescana dedicata alla Madonna della Neve, da cui si ritorna al parcheggio attraverso il monumentale quartiere universitario. In questa stessa area sorge la maestosa cattedrale che, con le sue due alte guglie, domina l’immensa piazza omonima, che è anche palcoscenico di concerti internazionali.Dopo tanta arte e storia, non manca neanche qui un dettaglio a tutto sapore. Szeged è infatti la patria del salame ungherese Pick, da oltre un secolo esportato in tutto il mondo. Al numero 10 della Felsö Tiszapart troviamo il relativo museo che ospita anche quello della paprika; sui due piani sono illustrati i rispettivi processi di lavorazione con l’esposizione di diorami e attrezzi d’epoca.
Tornando sulla Tisza Lajos Körút e girando intorno alla vicina piazza Gyula, si imbocca la via Sóhordó fino a István Tér per trovare le indicazioni della prossima tappa: il paese di Ópusztaszer, a 25 chilometri.

Le radici della storia
Più di mille anni fa, dopo aver sottomesso la popolazione indigena slava, nel territorio dell’odierna Ópusztaszer si stabilirono le tribù magiare capeggiate dal re Árpád. L’evento segnò la fine del nomadismo dei conquistatori venuti dall’est, che in questa parte pianeggiante del bacino dei Carpazi trovarono la patria tanto cercata e tennero la prima assemblea per organizzare il paese appena conquistato.
Queste e altre storie dell’Ungheria fino ai nostri giorni si apprendono nel parco commemorativo fondato nel 1970, una vastissima esposizione articolata in più tappe monumentali ed espositive. Superata la grande cupola di vetro dell’ingresso, che vuole ricordare le tende degli antichi accampamenti, si percorre il viale principale fino al monumento dedicato al re. Alla sinistra del mausoleo una grande costruzione circolare, la Rotunda, accoglie al piano terra una mostra di reperti venuti alla luce durante gli scavi di preparazione del sito; al primo piano si trova la Promenade 1896, una ricostruzione a figure fisse che ricrea l’atmosfera della fine del XIX secolo con momenti di vita nei quartieri borghesi e popolari, mentre al secondo piano (pagando un ingresso supplementare) si accede alla sala in cui sono allineate le figure in cera a grandezza naturale dei regnanti d’Ungheria, da Árpád a Francesco Giuseppe e Sissi.
La visita più interessante, però, si rivela quella al Panorama Feszty, un diorama alto 15 metri, lungo 120 e con un raggio di 38 che illustra i momenti salienti dell’arrivo degli ungheresi: il pubblico, disposto al centro di una grande arena, osserva le scene dell’enorme ciclo pittorico seguendo un fascio di luce che scandisce l’arrivo del principe Árpád su un cavallo bianco attorniato dai capi delle sette tribù, l’esercito vittorioso che si avvicina al galoppo, il carro della principessa trainato dai buoi, le fumanti rovine di una torre di guardia, lo stregone che a braccia spiegate interpreta favorevolmente il fumo che si innalza dall’altare davanti al quale, secondo l’usanza, si sacrificava un cavallo. L’intero dipinto è circondato da una scenografia nella quale entrano elementi naturali quali rocce, sabbia e alberi che ne aumentano la prospettiva tridimensionale, sottolineata da effetti sonori di cavalli e uomini in battaglia, del vento, del fuoco e del cinguettio degli uccelli.
Ritornati all’esterno, si costeggia un piccolo specchio d’acqua sulle cui rive sono adagiate ricostruzioni di antiche zattere, per giungere al museo della foresta con alte strutture che nella forma alludono alle yurte, le tende dei magiari. Interamente costruite in legno su un progetto del caposcuola dell’architettura organica György Csete, tutte le dieci costruzioni mostrano la relazione dell’uomo con la natura e in ognuna di esse, con documenti, mappe, foto e strumenti meccanici, è testimoniata l’attività degli ungheresi nel mondo. Sul lato opposto si trova il Giardino delle Rovine con le tracce dei muri perimetrali del monastero benedettino, più volte distrutto.
Una breve passeggiata conduce al museo etnografico con la ricostruzione dell’abitato rurale e della vita quotidiana in Ungheria meridionale nei secoli scorsi; sul corso principale si affacciano attività commerciali che offrono dai souvenir al pane appena sfornato, alla paprika, ai dolciumi. Un’ulteriore possibilità di svago è offerta dal Nomád Park, dove si rievocano la cultura ippica e la vita in tenda dei popoli della steppa: in orari prefissati si può assistere a uno spettacolo equestre con dimostrazione delle tecniche di combattimento e dell’uso di arco e frecce.
L’intensa giornata di visita nel parco trova una meritata pausa gastronomica presso la contigua Szeri Csárda, dove si degustano i piatti tipici della zona: tacchino in panna acida, foglie di cavolo farcite con carne e un’ottima palacinta con ricotta, rum e crema di vaniglia. Per la notte è possibile usufruire dell’omonimo, accogliente campeggio.

Ai confini della pianura
Tornati a Szeged, ancora poche decine di chilometri verso oriente per giungere a Makó, conosciuta in tutta l’Ungheria come la capitale della cipolla: la sua coltivazione intensiva, nelle varietà autoctone rossa o rosata, rappresenta la principale risorsa della zona. Annesso al museo civico József Attila, il museo della cipolla ospita anche la ricostruzione di alcune case contadine all’interno delle quali, tra stanze arredate con mobili d’epoca, quella da letto presenta un grande camino circolare sul quale, con apposite griglie, si ponevano ad asciugare i bulbi. Alla cipolla è dedicato persino il grande teatro cittadino, opera di Imre Makovecz i cui straordinari lavori architettonici si incontrano a più riprese in tutta l’Ungheria.
Una pioggia insistente, primo annuncio della stagione fredda, batte sulla puszta avvolgendola di grigio mentre procediamo verso Gyula, altrimenti chiamata la porta della Transilvania per la sua brevissima distanza dal confine rumeno. Un fitto tessuto di parchi e giardini induce a vivere questa meta come una base di relax, e lo conferma una moderna struttura termale con ben nove piscine scoperte e undici coperte, il tutto a 700 metri da un comodo campeggio. Proprio di fronte alle terme si erge il castello del XV secolo, unico esempio nell’Europa centrale di edificio fortificato costruito in mattoni: la massiccia sagoma quadrangolare, dominata da un’alta torre merlata, è circondata da un fossato e da un parco. Il monumento equestre all’ingresso accoglie gli ospiti che, dopo i lavori di restauro terminati nel 2005, possono visitare il patrimonio museale nelle 24 sale arredate con mobili originali e copie.
Risalendo verso Budapest, la statale 44 ci permette un veloce passaggio a Szarvas, centro geografico della vecchia Ungheria. Nelle vicinanze si trova l’Arboretum, un giardino botanico costruito nel 1830 ad imitazione del parco austriaco di Schönbrunn: su una superficie di 82 ettari sono presenti più di 1.600 varietà di alberi e piante provenienti da ogni parte del mondo. Al civico 1 della via Ady Endre è possibile invece visitare un interessante mulino a secco del 1863 ancora funzionante, pur se in disuso, nel quale un ampio tetto a scandole protegge una ruota di legno del diametro di 13 metri, alla quale erano aggiogati tre cavalli per macinare i cereali.

La capitale delle terme
L’intera Ungheria sembra galleggi su un mare di acqua termale, ma la sola capitale possiede il 10% di tutti gli stabilimenti del paese: un motivo in più per fermarsi a Budapest, che già conosciamo e che ora intendiamo scoprire appunto in questa chiave. A Buda, di fronte al Ponte della Libertà, si trova uno degli stabilimenti più famosi d’Europa, il Gellért, in uno splendido palazzo liberty: anche a non voler usufruire dei benefici bagni, vale la pena entrare e soffermarsi sulle terrazze per ammirare le grandi piscine all’aperto o, in quella coperta, il colonnato finemente scolpito che sostiene la balconata superiore.
A Pest, invece, visitando lo stabilimento Széchenyi in stile neobarocco sembra di entrare in una cattedrale per via delle alte cupole impreziosite da mosaici che, insieme a statue e decorazioni, sono opera dei più noti artisti ungheresi. La grande corte interna di questo splendido edificio affaccia su vasche d’acqua calda con terrazzi colonnati digradanti: una cornice superba che invita a trascorrere ore di relax all’ombra delle raffinate architetture, magari giocando su scacchiere galleggianti.
Oltre alle usuali tappe monumentali, tra i mille spunti di visita offerti dalla città il più nuovo è il centro di Pest, che si dimostra particolarmente vitale e alla moda. Fra gli antichi palazzi riccamente ornati, la vita nei vecchi quartieri sta oggi rifiorendo con bar, pub, ristoranti e librerie divenuti luoghi d’incontro in voga tra i giovani; e mentre alcuni di questi locali sono caratterizzati da arredi anni ’70, in altri, come il Bambi Eszpresszó, si ripropongono stile, bibite (e prezzi!) degli anni ’50.
A chiudere il giro, una puntata al grande mercato coperto: sui banchi, in un trionfo di colori e di profumi, regna il peperoncino ormai maturo e pronto a finire sulle tavole di tutto il paese. E noi faremo debita scorta di paprika dolce e piccante per riportare a casa tutto il sapore della terra magiara.

Una rossa vivace
Di provenienza latino-americana, la paprika giunse in Europa con Colombo. In Ungheria se ne attesta l’arrivo all’inizio del ‘600; fu coltivata per la prima volta nel 1679 dalla contessa Maria Szechy (veniva impiegata a scopo decorativo ma anche contro le febbri e i reumatismi), finì col sostituire il pepe e continuò ad essere utilizzata dai contadini come spezia.
Dalle prime aree nei dintorni di Szeged, la coltivazione si diffuse successivamente anche alla vicina Kalocsa e, a tutt’oggi, le due città rappresentano i maggiori centri produttivi grazie al clima e alla natura del terreno. La lavorazione industriale ebbe inizio solo a metà dell’800 e l’iniziale produzione di paprika piccante durò fino al 1930 quando, mediante incroci, si ottenne quella dolce.
La raccolta manuale si effettua quattro volte l’anno, e i frutti vengono fatti seccare per essere successivamente polverizzati o conservati interi sott’aceto. In Ungheria a primavera fiorisce quella verde piccante, d’estate quella dolce e bianca, a settembre, la rossa piccante e quella dolce. La notorietà della paprika ungherese, diffusissima in cucina e conosciuta anche per le sue proprietà antiossidanti, è inoltre legata al premio Nobel Albert Szentgyorgyi che da essa sintetizzò la vitamina C all’Università di Szeged.

PleinAir Market 410 – settembre 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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