Viaggi di parole

Sui mari di Bretagna e di Normandia, sui colli dell'Indre: proposte a misura di camper in una Francia tutta da riscoprire, sulle orme di tre grandi scrittori e delle loro opere.

Indice dell'itinerario

Nel mondo che cambia molto più in fretta di quanto le nostre ruote possano stargli dietro, è sempre una rara e gradita sorpresa ritrovare intatto o quasi un luogo che già avevamo conosciuto, e dove siamo tornati con il timore di vederlo irrimediabilmente trasformato in peggio dalla moda, dalle speculazioni, dal cemento. Altrettanto succede quando, ispirati da letture, pellicole o brani musicali che ci hanno fatto immaginare sin nei più piccoli dettagli l’aspetto e l’atmosfera di una città, di un paese, di una regione, una volta giunti sul posto scopriamo che è proprio così.
A volte, beninteso, la delusione è inevitabile, magari per semplici ragioni storiche perché il ritratto del luogo risale a uno o due secoli prima (o anche solo a una trentina d’anni, che oggi possono valere per cento). Ma può invece accadere che l’idea maturata fra le righe, le note o i fotogrammi trovi riscontro – forse ancora per poco – nella realtà del paesaggio naturale e urbano. L’una e l’altra situazione si sono presentate decine di volte nelle nostre esplorazioni in libertà, comunque non facendoci mai desistere dal cercare ancora: come in alcune delle più recenti esperienze in Francia, dove ci è capitato più volte di seguire sul territorio il filo dell’una o dell’altra arte.

Il mondo di George Sand
Nel caso della celeberrima scrittrice siamo in pieno ‘800: la vita di colei che si chiamava in realtà Aurore Dupin ha incrociato quelle di Chopin, Victor Hugo, Honoré de Balzac, Liszt, Delacroix, Flaubert e diversi altri. Ce ne sarebbe abbastanza per andare a ricercare un intero mondo partendo dai libri, ma in più di un secolo sul suolo francese è passato di tutto, dalle guerre alle autostrade, sì da rendere inutile la nostra ricerca.
E invece, a sorpresa, il Berry – regione cerniera fra il bacino di Parigi e il Massiccio Centrale, nel dipartimento dell’Indre – sembra essere stato dimenticato dalla storia, tra villaggi silenziosi e natura a volontà. A La Châtre, cittadina da cui si diparte il nostro itinerario, in un qualsiasi giorno lavorativo di primo autunno il traffico era talmente scarso che si poteva spostare (e parcheggiare il camper) a volontà: sembrava di essere tornati indietro di trenta o quarant’anni, e dire che da queste parti circolazione e sosta dei veicoli abitativi non sono certo un problema.
Quasi lo spirito di George Sand aleggi ancora sui luoghi, tutto sembra essere conservato a ricordare l’artista e le sue opere; le strade tranquille e le distanze ridotte permettono una visita senza fretta, scandita dai tempi di un veicolo lento, oggi la bicicletta come ieri il calesse. Si visita dunque per prima cosa a La Châtre il Musée George Sand et de la Vallée Noire, allestito su tra piani di una formidabile torre quadrata annerita dai secoli e piantata sulla roccia , come viene descritta nel romanzo Mauprat; quanto alla Vallée Noire, è così che fu ribattezzato il Berry dalla scrittrice. L’edificio, che fu anche prigione, dal 1937 ospita un’esposizione permanente di manoscritti, lettere, edizioni originali ma anche interessanti foto d’epoca; nelle altre sale si conservano una collezione di ben 3.000 uccelli imbalsamati provenienti da tutto il mondo, arredi e ricostruzioni di ambienti e soprattutto una curiosa serie di modellini in legno di carrozze, carri, case e persino gente del tempo di George Sand.
Fatto il dovuto pieno di opuscoli all’ufficio turistico, sulla comoda superstrada D943 ci si trasferisce alla vicina Nohant. Qui troviamo, in un minuscolo borgo con una bella chiesetta e una vecchia casa con rose antiche nel giardino, la dimora in cui George Sand visse e operò. L’edificio, risalente al XVIII secolo, è stato arredato con mobili e oggetti originali; nel bel parco si possono ammirare due cedri piantati dalla scrittrice in occasione della nascita dei figli (Maurice nel 1823 e Solange nel 1828) nonché, in un padiglione, una raccolta di marionette.A questo punto si lascia il camper e si prosegue in bicicletta per stradine sempre in piano, spesso nel verde, rientrando al capolinea in una trentina di chilometri. Per prima cosa si va a cercare il bivio sulla destra per la D918, verso Saint Chartier, e in 2 chilometri si incontra il bellissimo castello del XV secolo (rimaneggiato nel XIX) che George Sand cita nel romanzo Les maîtres sonneurs. Prendendo ora per Montipouret, e incrociando la D943 poco a nord di Nohant, giunti a un incrocio a T si svolta a destra e poi a sinistra: in poco più di un chilometro, in località Mers-sur-Indre, si raggiunge e si scavalca il fiume per veder apparire poco più avanti sulla sinistra, con aspetto assolutamente innocuo, quello che era lo Stagno del Diavolo, anch’esso citato in una delle opere della scrittrice (vedi riquadro “Misteri del Berry”). Retrocessi a Montipouret si prosegue sulla D49 fino a trovare l’indicazione, a destra, per il Moulin d’Angibault sulla Vauvre, affluente dell’Indre ( angolo di paradiso selvaggio che io e i miei figli abbiamo scoperto nel 1844 dichiara George Sand che al sito dedicherà il romanzo Le meunier d’Angibault). Malgrado l’immancabile negozietto di souvenir e gli evidenti restauri – la ruota gira e all’interno si possono visitare i macchinari – quest’oasi di verde non ha perso il suo fascino. Tornati sulla D49, si prosegue verso sud finché, dopo circa 8 chilometri, apparirà all’orizzonte con le sue torri cilindriche lo spettacolare castello di Sarzay, già fortezza feudale del XIV e XV secolo (il romanzo sopracitato si svolge anche qui). Non resta ora che prendere la D51, una bella stradina alberata che in meno di 5 chilometri ci riporterà al capolinea di Nohant.
Risaliti in camper, la visita ai luoghi di George Sand si può completare andando a cercare, nuovamente a Mers-sur-Indre, la D69 sulla quale raggiungere in breve Lys-Saint Georges, un graziosissimo paese con un articolato maniero e una file di belle casette tra cui spicca la Maison du Jardinier, antica dimora del giardiniere del castello, oggi trasformata in un piccolissimo museo con la ricostruzione di un tipico interno del Berry. Proseguendo brevemente sulla stessa strada si va a cercare il bivio per la D74: confortati dalla segnaletica del Circuit George Sand, su per dolci colline si sfiora Neuvy-Saint Sépulchre e continuando sulla D38 si va a scoprire un castello in rovina a Cluis. Attraversata Pommiers, ci si porta infine sulla valle della Creuse a Gargilesse-Dampierre per visitare un’altra dimora in cui George Sand si rifugiava quando la vita mondana e le troppe visite a Nohant le impedivano di lavorare: fra arredi spartani, incuriosisce la camera da letto in cui lei si sentiva come nella cabina di una nave . Girando per le stradine del paese vi renderete conto perché è stato classificato tra i più bei villaggi di Francia. A meno di non essere alla guida di un mezzo troppo ingombrante, si salirà agevolmente al castello (ricostruito nel XVIII secolo) guadagnando, nel piazzale antistante, il premio di una notte in libertà e sicurezza, degna conclusione di questo giro in terre rimaste, come si vorrebbe ovunque, alle atmosfere dei tempi migliori.

Le storie di Pierre Loti
La tavola massiccia occupava tutto il locale, adattandosi esattamente alla sua forma, e vi rimaneva all’ingiro soltanto lo spazio necessario per girarvi intorno e sedersi sugli stretti cassapanchi, fissati nelle pareti… e dietro le loro spalle dei giacigli che sembravano scavati nello spessore dell’armatura si aprivano come le nicchie di un colombaio, per mettervi i morti . La descrizione è tratta da Pescatori d’Islanda di Pierre Loti, pseudonimo del capitano di marina bretone Louis Marie Julien Viaud che fu uno dei più raffinati scrittori di viaggio della sua epoca, dalla seconda metà dell’800 al 1923.Per una volta l’itinerario letterario l’abbiamo percorso a rovescio andando a cercare il libro, l’autore, la storia dopo aver visitato i luoghi. Siamo a Paimpol e sulla vicina “punta del paese di Ploubazlanec che si frastaglia a corna di renna sulla Manica grigia , e la storia è una storia di pescatori che sfidano l’oceano e delle loro donne che ne attendono il ritorno, a volte invano, scrutando l’orizzonte all’ombra di una di quelle croci di granito che si rizzano sulle spiagge avanzate… come per chiedere grazia, come per calmare quell’immensa cosa mobile, misteriosa, che attira gli uomini e non li restituisce più . Che c’entra a questo punto l’Islanda? La risposta è su un muro del cimitero di Ploubazlanec dove sono state allineate le lapidi di chi non tornava dalla stagione di pesca al Circolo Polare Artico: per tutti, il nome dell’imbarcazione e il numero degli scomparsi in mare. Non erano solo le tempeste a causare il naufragio, ma spesso anche le persistenti nebbie (ci sono nel libro belle pagine al riguardo, da consigliare ai colleghi camperisti delusi per essere stati a Capo Nord senza aver potuto ammirare il sole di mezzanotte!) che mandavano le navi a sbattere contro gli scogli d’Islanda, per l’appunto, e così i sopravvissuti delle spedizioni erano chiamati in paese gli Islandesi.
Cosa si ritrova di tutto ciò a distanza di più di cent’anni a Paimpol, o comunque in Bretagna? Oltre al camposanto di cui sopra, si rintraccia la croce di Pors Even, detta delle vedove , sull’estrema punta di Ploubazlanec. I costumi descritti nel libro – le donne con cuffie, nastri e merletti, gli uomini tutti in nero con il cappello duro a larghe falde – vengono indossati normalmente alle feste; quanto al mondo della pesca, basta trasferirsi sulla costa meridionale della penisola bretone a Concarneau dove c’è il museo più completo del genere fra quanti ne abbiamo incontrati nei nostri viaggi. Negli spazi ricavati all’interno della fortezza protesa nella baia è descritta in maniera esauriente la storia di quella che, assieme alla caccia e alla raccolta, fu la più antica attività dell’uomo: la prima sala, su planisferi stilizzati in una serie di vetrine divise per epoche, illustra le varie tecniche mediante modellini di uomini, reti, barche, barchette, zattere, sbarramenti e trappole varie, bilancieri, lenze chilometriche e persino un cavallo (con cui pescavano nel Mare del Nord i progenitori dei belgi), scoprendo che alcuni procedimenti inventati nella preistoria sono tuttora in uso nelle civiltà più avanzate. A seguire, altri modelli di pescherecci in tutte le scale, strumenti, reperti storici come la più antica ancora mai rinvenuta (un pietrone triangolare con dei fori in cui erano infilati corde e legni, proveniente da Creta), ancora ricostruzioni in dettaglio di tecniche di pesca (dalla caccia alla balena alle reti calate sui fondali all’inscatolamento delle sardine), fino alle più moderne tecnologie tra cui la ricostruzione di una cabina di pilotaggio con comandi computerizzati. La visita si completa sull’Hemerica, un peschereccio d’altura in disarmo saldamente fissato a un vicino molo: si sale e si scende dal ponte alla sala motori per tutti i vani possibili, ma a coinvolgere il camperista dall’occhio esperto sono i posti ricavati negli angoli più impensati per far dormire l’equipaggio, nonché le dimensioni e le soluzioni della dinette e della cucina (e qui siamo tornati in pieno nelle descrizioni e nelle atmosfere di Pierre Loti). All’uscita, nel bookshop, infinite proposte di acquisto di oggettini ricordo a carattere marinaro fra cui spiccano le scatole di sardine, vuote da collezione ma anche piene, con il bel logo del museo sul coperchio.

In carrozza con Victor Hugo
Anche nel Cotentin e dintorni abbiamo scovato angoli suggestivi e incontaminati che ben ci fanno immaginare come si vivesse qui nell’800, tanto da attrarre, affascinare e addirittura generare più di un artista: se nel villaggio di Gruchy si può visitare la casa natale di Jean-François Millet, a Omonville-la-Petite c’è quella in cui visse gli ultimi anni Jacques Prévert e che oggi è un museo a lui dedicato. Ma soprattutto abbiamo trovato, in una bacheca della stazione marittima di Cherbourg, l’itinerario che il celebre autore de I miserabili compì in diligenza assieme a una sua amica, Juliette Drouet, e al pittore Célestin Nanteuil. Non abbiamo avuto modo di seguirlo per intero, ma lo riportiamo ad uso dei lettori affinché vadano ad aggiornare le immagini che lo scrittore annota nei suoi diari o nelle lettere alla moglie.
Tanto per cominciare Victor Hugo si muove con una logica da viaggiatore che ci coinvolge, e cioè su itinerari improvvisati dalla fantasia, secondo la chiesa o la torre che si scorge all’orizzonte . Ne viene fuori un singolare anello facilmente rintracciabile sulla carta, che da Saint Malo porta a Mont Saint Michel e poi a Coutances seguendo più o meno la costa occidentale della penisola, devia verso l’interno per Saint-Lô e Saint-Jean-de-Daye per tornare sulla costa a Port-Bail, raggiunge la testa del Cotentin tra Cherbourg e Barfleur, ridiscende fino a Carentan, ritrova il mare a Isigny-sur-Mer e si conclude a Bayeux.
Davvero preziosi alcuni stralci riportati dai suoi scritti. Mont Saint Michel è descritto come un enorme triangolo nero, con la sua tiara di cattedrale e la sua corazza di fortezze, con le sue due grosse torri di levante, una rotonda, l’altra quadrata, che aiutano la montagna a portare il peso della chiesa e del villaggio, il Mont Saint Michel che è per l’oceano quello che Cheope è per il deserto , ma anche una cosa sublime, una piramide meravigliosa di cui ciascuno strato è una roccia enorme modellata dall’oceano o un’alta dimora scolpita dal Medioevo, e questo blocco mostruoso ha per base sia un deserto di sabbia come Cheope, sia il mare come Tenerife .
Hugo si indigna peraltro che questo monumento venga usato come prigione, alla stessa maniera in cui ad Avranches denuncia i pali del telegrafo che sfigurano il paesaggio, ma si consola altrove con un tramonto ( Guardavamo tutti e tre il cielo, i campi, il mare, e l’estasi del momento rese le nostre bocche mute ). Da autentico appassionato d’arte – ma non si sa quanto autorevole esperto – nota come le chiese di questa parte di Normandia, Saint-Lô, Périers… derivano da quelle di Coutances. Le ammirevoli guglie di Coutances, severe come il grosso campanile di Chârtres, leggere come la guglia di Saint-Denis, sembrano avere germogliato con qualche variante, in diversi punti di questo paese . Si incuriosisce poi del fatto che nella chiesa di Carentan ci sia un capitello a forma di alghe intrecciate ( Gli artisti di questo tempo grande e naïf non andavano a cercare né l’acanto né il loto. Essi prendevano per modello ciò che avevano sottomano, il cavolo e il cardo nell’entroterra, le alghe ai bordi del mare ). A Saint-Lô, per dirne un’altra, si stupisce per un dettaglio unico, credo di non averlo ancora visto che là; si tratta di un pulpito esterno sulla porta della chiesa, da cui il prete arringava la folla, tutto scolpito come si scolpiva nel quindicesimo secolo , mentre a Port-Bail è affascinato dal campanile merlato… che si sfumava dentro un vapore grigio .
A cercare ancora, magari sui testi originali, potrebbe venir fuori una guida completa della regione della Manche. Basti ancora citare Barfleur dove Victor Hugo, guardando dall’alto della torre il porto, ricorda che da qui partì Guglielmo il Conquistatore per impadronirsi dell’Inghilterra; ma soprattutto scopre nelle campagne deliziosi piccoli cottages pieni di fiori… e mucchi di foglie di cui i contadini credono di fare un tetto, la natura un giardino .
Lo scrittore tornerà da queste parti nel 1872 con ben altro spirito allorché, da tempo avverso al regime, andrà a rifugiarsi sull’isola di Guernesey: dal soggiorno trarrà gli appunti Exilium vita est che, a metterli insieme con quelli che descrivono Jersey (dove era stato nel 1855), formerebbero un’altra originale guida per le isole della Manica.

PleinAir 414 – gennaio 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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