Veneto, cime primitive

Nelle valli dei Monti Lessini, che si affacciano sulla pianura veneta e preludono alle Alpi: un palcoscenico di pascoli punteggiati da malghe di pietra, faggete e boschi dove si trova il giacimento di pesci fossili del Terziario più importante al mondo. E con la sorpresa delle Piccole Dolomiti, che offrono una grande varietà di itinerari di ogni tipo e difficoltà

Indice dell'itinerario

C’è un paese, sulle Prealpi alle porte di Verona, dove la geologia e la paleontologia offrono uno spettacolo straordinario. Nel piccolo museo di Bolca, a 800 metri di quota, pesci e piante fossili in molti casi simili a quelli odierni accolgono il visitatore. Ma gli squali e le razze, i rombi e i piccoli coccodrilli, le tartarughe marine, le grandi alghe e i palmizi che tornano alla luce da secoli all’interno delle lastre rocciose della zona sono vissuti cinquanta milioni di anni fa: una distanza temporale che lascia il visitatore a bocca aperta. La storia dei fossili di Bolca si spiega con una radicale trasformazione del paesaggio.

All’inizio del Terziario, al posto delle attuali Prealpi si estendevano mari poco profondi e lagune, circondati da una vegetazione tropicale. I pesci e le piante depositati sul fondo di questi bacini sono stati ricoperti dalla sabbia e si sono trasformati in fossili. In epoche più recenti, l’innalzamento delle Alpi e delle catene minori che si affiancano loro da sud ha spinto i sedimenti e i fossili fin verso i 1.000 metri di quota. A Bolca nel corso degli anni sono state riportate alla luce circa 250 specie di animali, in prevalenza pesci, e altrettante di piante. La prima descrizione particolareggiata di questi fossili si deve a Serafino Volta che, nel 1796, illustrò in 76 tavole ben 123 specie di pesci provenienti dal giacimento veronese. Oltre alla Pesciara (o Pessàra, in dialetto), i siti più importanti sono quelli del Monte Postale, del Monte Purga e dello Spilecco. Oltre che nella vicina Verona, pesci fossili provenienti dai Monti Lessini sono oggi esposti nei musei di scienze naturali di Parigi, Londra, Vienna, Monaco di Baviera, Budapest, Edimburgo, Dublino, New York, Washington e Mosca, e in innumerevoli collezioni private. Ma la storia dei fossili di Bolca è anche quella di una famiglia e del suo rapporto con queste rocce speciali.

Gianni Bisson
Gianni Bisson

Già nel 1777 Domenico Cerato, insieme al figlio Giuseppe, acquistò i diritti di sfruttamento delle miniere di lignite della zona. Anche se i fossili vennero descritti già nel Cinquecento, la loro ricerca sistematica fu avviata nei primi anni del Novecento dai fratelli Massimiliano e Giuseppe Cerato. Oggi, sette generazioni dopo Domenico, sono i fratelli Massimo, Achille ed Erminio a gestire il museo e la visita della Pesciara.

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Museo dei Fossili

A Bolca un edificio moderno ospita il Museo dei Fossili, dedicato agli animali (comprende anche un acquario che mostra l’ambiente dove si sono formati i fossili) e alle piante; di fronte, le raccolte del Museo Famiglia Cerato con la storia dell’esplorazione dei giacimenti, e della dinastia che ne è da sempre la protagonista. Completa la visita del sito una passeggiata verso la Pesciara, dove si possono vedere le zone di scavo in superficie e in galleria, e dove è possibile noleggiare un martello per cercare piccoli fossili (e se ne trovano spesso) negli scarti degli scavi veri e propri. L’escursione, lungo una strada sterrata, richiede una ventina di minuti e qualcosa di più per il ritorno in salita. Una rete di sentieri segnati consente camminate fino a un paio d’ore.

Bolca interno della Pesciara
Bolca interno della Pesciara

Le valli dei fossili

Le alture della Lessinia, a portata di mano da Verona, offrono paesaggi molto diversi tra loro. Tutelate dal primo parco regionale del Veneto, istituito nel 1984 su una superficie di poco più di 10.000 ettari, digradano verso la pianura con crinali boscosi separati da profonde vallate e spesso incisi da forre, grotte e doline. Vaste distese di pascoli ospitano nella parte centrale le piste di discesa di Bosco Chiesanuova, la più nota località di sport invernali del Veronese. Contrastano con questi dolci paesaggi i salti di roccia che precipitano a ovest verso la Valle dell’Adige, e le pareti più modeste che scendono a nord in direzione delle valli del Trentino. Offre ambienti rocciosi e selvaggi anche il massiccio del Carega, la montagna più amata dagli escursionisti locali, che tocca i 2.259 metri e scende a est con rocce e pareti verticali. Questa zona, ormai in provincia di Vicenza, è nota ad alpinisti ed escursionisti con il nome di Piccole Dolomiti.

Foresta di Giazza
Foresta di Giazza

Accanto alle verdi dorsali di pascoli degli Alti Lessini e ai boschi formati in prevalenza da carpino, faggio e abete rosso (magnifica la foresta demaniale di Giazza, ai piedi del versante sud-orientale del Carega) si aprono le profonde incisioni, chiamate vaj, della Marciora, dei Falconi, dell’Anguilla, di Squaranto, di Revolto e della Val Fraselle che formano a tratti dei veri e propri canyon. Fra le grotte, che qui sono decine e decine, spicca per importanza la Spluga della Preta, una cavità con andamento prevalentemente verticale che raggiunge gli 877 metri di profondità. Esplorata a partire dal 1925, si affaccia sull’altopiano erboso ai piedi del Corno d’Aquilio con un pozzo profondo 131 metri. La passeggiata che conduce all’imbocco, recintato e inaccessibile all’escursionista, permette di toccare anche la suggestiva Grotta del Ciabattino e la croce di vetta del Corno d’Aquilio, straordinario belvedere sulla Valle dell’Adige e il Monte Baldo.

Racconta una storia diversa il Ponte di Veja, un gigantesco arco di roccia alto una trentina di metri e spesso dieci che scavalca uno dei tanti valloni rocciosi dei Monti Lessini. Se a renderlo famoso è stato Andrea Mantegna, che tra il 1465 e il 1474 lo ha raffigurato nella Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale di Mantova, già un secolo e mezzo prima Dante Alighieri, esiliato a Verona, vi si era ispirato per concepire le Malebolge, le rocce dell’Inferno dove aveva relegato adulatori e ruffiani. Un albero della zona viene ancora indicato come il castagno di Dante. E’ stata l’acqua, erodendo le rocce dei Monti Lessini, a creare il ponte e il vallone (vajo, nel dialetto locale) ai suoi piedi.

L’arco, formato da un calcare particolarmente solido, ha costituito per lungo tempo l’ingresso di una gigantesca caverna. Poi, l’erosione delle tenere rocce sottostanti ha provocato il crollo che ha conferito alla zona l’aspetto attuale. Sui fianchi del vajo, ai piedi dell’arco, si aprono due grotte già esistenti prima del cedimento. La più stretta si addentra nella montagna per 180 metri e nel tratto finale si biforca; l’altra, che ha un imbocco molto più largo, è profonda 35 metri. A partire dal 1932 i ricercatori vi hanno rinvenuto ossa di orso delle caverne (Ursus spaeleus e di altri animali del Pleistocene e manufatti di pietra risalenti al Paleolitico. Non a caso i valloni dei Monti Lessini sono un territorio di straordinaria importanza per lo studio della preistoria italiana e sono stati abitati dall’uomo in un arco di tempo lunghissimo.

Il piccolo borgo omonimo è tra i più suggestivi della Lessinia.
Il piccolo borgo omonimo è tra i più suggestivi della Lessinia.

Nel Riparo Solinas, presso Molina, sono tornati alla luce resti di uomini di Neanderthal vissuti circa 60.000 anni fa, mentre i castellieri costruiti dai Reti risalgono al X secolo a.C., fra le Età del Bronzo e del Ferro. Altri ritrovamenti hanno avuto luogo nel Castelliere delle Guaite, nel Riparo Soman e nel Riparo Tagliente. Con l’eccezione degli uomini di Neanderthal, quelli preistorici hanno trovato in Lessinia (che è nota anche oggi per le sue cave di pietra) una risorsa preziosa come la selce, che affiora nella stessa quantità solo nel Gargano. Nel Neolitico, la selce scavata e lavorata su queste montagne, attraverso la valle dell’Adige e la Pianura Padana, arrivava in gran parte dell’Italia settentrionale. Aveva con sé scaglie di selce della Lessinia anche Ötzi, il viandante morto cinquemila anni fa e rinvenuto sull’odierno confine tra l’Alto Adige e il Tirolo.

Molti reperti del Ponte di Veja sono oggi esposti nel museo di Sant’Anna d’Alfaedo, dove si ammirano anche il fossile di uno squalo lungo cinque metri, analogo a quelli di Bolca, trovato nel 1975 da due cavatori locali, e quello di una tartaruga lunga due. Di grande fascino inoltre due disegni in ocra rossa provenienti dal Riparo Solinas: il primo raffigura uno sciamano, il secondo un animale che potrebbe essere un leone o un mustelide. Nel Riparo, oggi adibito a museo, si vedono schegge di pietra, altri disegni in ocra, utensili d’osso e ornamenti realizzati con conchiglie e denti di cervo. Accanto al Ponte di Veja, un laboratorio e una capanna preistorica ricostruita permettono di avvicinarsi alla vita quotidiana di migliaia di anni fa.

La pietra e l’acqua

La roccia della Lessinia, lavorata per millenni dall’acqua, offre un paesaggio ancora diverso nel Parco delle Cascate di Molina, caratterizzato da una decina di salti che raggiungono i 20 metri di altezza. Situato a sud-est del paese, il parco comprende l’ultimo tratto della Valle di Molina e la confluenza con la Val Cesara e il Vaio delle Scalucce. L’acqua che alimenta le cascate scaturisce da sorgenti perenni poste a nord di Molina, che ha preso il nome dalla presenza in passato di numerosi mulini (negli anni Trenta ne erano ancora in funzione 17). Visitarlo significa tornare indietro nel tempo: conserva intatte le caratteristiche di un antico borgo medioevale e offre molti esempi della tipica architettura della Lessinia occidentale.

I livelli argillosi impermeabili dei calcari impediscono alla pioggia di filtrare nel sottosuolo, permettendo l’esistenza di copiose sorgenti. Il parco, gestito dal Comune di Molina, è visitabile tutti i giorni da aprile a settembre ma è chiuso da novembre a febbraio, quando l’acqua è bloccata dal gelo e la presenza di neve e ghiaccio sui sentieri potrebbe renderli a tratti pericolosi. All’ingresso, accanto alla biglietteria, c’è una malga che offre servizio di ristoro e dispone di una bella terrazza panoramica. All’interno dell’area protetta è possibile seguire itinerari di diversa lunghezza, indicati da frecce e tabelle colorate. Il sentiero più breve, segnalato in verde, richiede una mezz’ora di cammino e permette di scoprire le cascate Nera, Verde, Spolverona e del Marmittone. Lungo il percorso s’incontrano inoltre due aree picnic.

Chi vuole camminare più a lungo può seguire il sentiero segnalato in rosso (circa un’ora), o quello in nero (circa due ore). Il primo prosegue in discesa verso la confluenza della Val Cesara e del Vaio delle Scalucce, toccando anche le cascate del Tombolo, del Tombolino e del Pozzo dell’Orso e risalendo poi tra fitti boschi fino alla cascata del Doppio Covolo. Il secondo sale in un valloncello fino alla Grotta delle Tette More, al Pozzo Tondo (una magnifica marmitta dei giganti) e a un terrazzo che offre uno splendido panorama.

A pochi passi dalla biglietteria e dalla malga vi sono anche una grotta che ha restituito delle testimonianze preistoriche e i resti di un mulino in muratura. In paese vale la pena di visitare il Mulin de Lorenzo, recentemente ristrutturato e aperto al pubblico. In origine l’edificio era dotato di due ruote (ne è stata recuperata solo una) e permetteva quindi di effettuare contemporaneamente la macinazione dei cereali e la follatura della lana. All’esterno del mulino si può ancora vedere un rudimentale blocco di pietra scavato, che un tempo serviva per sgranare il mais, mentre all’interno sono visibili una grande macina in pietra e un piccolo tornio per la lavorazione della ceramica.

Da vedere anche il Museo Botanico di Molina, parte del sistema museale della Lessinia, che è stato inaugurato nel 1993 e documenta la flora della zona con l’esposizione di circa 300 specie, tra le quali vari esemplari di orchidee. E’ dedicato a Giovanni Zantedeschi, medico e botanico nato a Molina nel 1773, che ha pubblicato una decina di opere sulla flora di queste montagne. Lo ricorda la Zantedeschia, la pianta della famiglia delle Aracee conosciuta dai fioristi con il nome di calla.

Bosco Chiesanuova case nel centro
Bosco Chiesanuova case nel centro

Di fronte alle attrattive offerte dalla geologia, dalla paleontologia e dai sentieri, che permettono brevi e comode passeggiate ma anche lunghe traversate di più giorni, i borghi della Lessinia destano minor interesse. A Bosco Chiesanuova, il cuore amministrativo e turistico della zona, meritano però una sosta la piazza centrale con le sue belle case dalle facciate colorate, l’imponente parrocchiale completata nel 1501 e la chiesa di Santa Margherita, al margine dell’abitato, che risale probabilmente alla fine del XIV secolo e ospita al suo interno un altare formato da un blocco unico di pietra scolpita in bassorilievo.

Il Museo Etnografico della Lessinia ha curato negli ultimi anni il recupero di alcuni edifici storici della zona a iniziare dalla Giazzara del Griez (conserva di ghiaccio), con il suo pozzo profondo una quindicina di metri. Nel settore occidentale meritano una sosta Sant’Anna di Alfaedo, sorvegliata dalle rocce del Corno d’Aquilio, ed Erbezzo, e verso est, all’inizio della strada che sale verso i rifugi del Carega, Giazza, il borgo più suggestivo della Lessinia. Frazione di Selva di Progno, alla testata della Val d’Illasi, conserva degli edifici interessanti ma è soprattutto la roccaforte della cultura e della tradizione dei Cimbri, coloni di origine germanica giunti da queste parti a metà del Trecento.

Nota in cimbro con il nome di Ljetzan e indicata come Glietzen in tedesco moderno, è sede del Museo dei Cimbri. Dal paese si sale in auto, in bici o a piedi (a chi viaggia con un mezzo ingombrante consigliamo le ultime due soluzioni) a visitare la Foresta Demaniale di Giazza, creata poco più di un secolo fa attraverso una grande opera di rimboschimento in una zona che era stata progressivamente disboscata nei secoli. Formata da carpini e faggi nella parte bassa e da abete bianco e rosso più in alto, si estende su 1904 ettari e interessa anche le province di Vicenza e Trento.

Il Rifugio Fraccaroli è il più alto delle montagne veronesi e sorge a cinque minuti di marcia dalla sommità del Carega.
Il Rifugio Fraccaroli è il più alto delle montagne veronesi e sorge a cinque minuti di marcia dalla sommità del Carega.

Al termine della strada asfaltata (attenzione, lo spazio per posteggiare e fare inversione è ridotto) il Rifugio Revolto è il punto di partenza del sentiero più comodo per salire verso i rifugi Passo Pertica, Scalorbi e Fraccaroli, quest’ultimo il più alto delle montagne veronesi che sorge a cinque minuti di marcia dall’aguzza sommità del Monte Carega.

Un altro percorso conduce alla vetta della montagna dal Passo di Campogrosso, la porta delle Piccole Dolomiti, che si apre sul confine tra le province di Vicenza e di Trento e si raggiunge per un ripido e tortuoso tratto asfaltato che sale da Recoaro Terme e dalle sue frazioni. Sono chiuse al traffico, invece, entrambe le strade che arrivano fin qui dal Pian delle Fugazze e dalla via che collega Rovereto con Schio, che offrono notevoli panorami sul Baffelan, la Sisilla e le altre torri rocciose della zona, e che permettono delle piacevoli passeggiate a piedi o in bici. L’ascensione al Carega invece, facile ma riservata a escursionisti allenati, richiede circa tre ore da entrambe le basi di partenza. Il percorso che sale da Campogrosso costeggia le spettacolari pareti rocciose dell’Obante, percorse da decine di vie di arrampicata.

Tutto sommato secondaria per chi guarda alle Prealpi venete da lontano, la zona è invece amatissima dagli escursionisti e dagli alpinisti locali, che la prendono letteralmente d’assalto nei fine settimana d’estate. C’è un motivo geografico, certo, dato che da Vicenza e da altre città della pianura si arriva quassù rapidamente e che bastano cinque minuti dal Passo di Campogrosso per raggiungere le rocce della Sisilla, del Baffelan, del Dito di Dio e degli Apostoli.

Il rapporto fra gli appassionati di montagna vicentini e non solo e queste piccole ma spettacolari montagne, però, è fatto anche di storia. Gino Soldà, Raffaele Carlesso, Severino Casara, Renato Casarotto e i loro emuli di oggi come Franco Perlotto, Pietro Dal Prà e Gianni Bisson hanno tracciato su queste rocce itinerari di estrema difficoltà. Bisson, oggi guida alpina, ha aperto un centinaio di vie nuove. Franco Perlotto, invece, diventato famoso alla fine degli anni Settanta come uno dei protagonisti della neonata arrampicata sportiva, si è impegnato per molti anni nella cooperazione al Terzo Mondo (Amazzonia, Sudan, Gerusalemme, Sri Lanka). E’ stato lui a battersi per far nascere a Recoaro un piccolo museo dedicato alla Grande Guerra e per il restauro delle postazioni e delle trincee italiane nei pressi del Rifugio Battisti.

Il personaggio simbolo della storia dell’alpinismo su queste cime è però Gino Soldà, nato nel 1907 a Valdagno e scomparso nel 1989. Autore di decine d’itinerari d’arrampicata di sesto grado sulle Dolomiti, tra i protagonisti della spedizione italiana del 1954 al K2, Soldà è ricordato da monumenti, lapidi e da un centro per congressi e convegni che gli è stato dedicato nella località di Campogrosso. Chi ama la storia dell’alpinismo, però, deve tentare di vedere il piccolo museo privato (la visita è concessa dai proprietari, non si tratta di una struttura aperta ufficialmente al pubblico) a Valdagno.

Corde, chiodi, cunei di legno, scarponi, la giubba di velluto che il grande alpinista usa- va sulle Dolomiti e il vestiario termico che ha indossato sul K2 sono nella fabbrica delle scioline Soldà, avviata da Gino, condotta per trent’anni da Manlio e oggi gestita dalle sue figlie Michela e Giorgia. Su un muro di fronte spiccano i diplomi da maestro di sci e guida alpina, e quello che ricorda la spedizione al K2, nonché la pergamena che accompagnava la medaglia d’oro al valore atletico attribuita da Mussolini a Soldà nel 1936 dopo aver aperto la sua via sulla Marmolada. Un premio che ha scandalizzato qualcuno, ma che non ha intaccato l’anima antifascista di Gino. Ecco allora che ci troviamo a lasciare queste cime consapevoli del fatto che le Piccole Dolomiti non rappresentano solo una meta di grande interesse alpinistico ma anche un luogo della memoria.

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