Parco delle Gravine: paesaggi di pietra

È una Puglia tutta da scoprire quella proposta in questo itinerario nell’entroterra tarantino: da Mottola a Laterza ci si addentra nel Parco delle Gravine, con i caratteristici canyon di origine carsica dove si ammirano santuari rupestri affrescati. E non manca un presepe vivente per rivivere le emozioni della Natività.

Indice dell'itinerario

Larea della Murgia tarantina è caratterizzata da un singolare fenomeno carsico operato dallo scivolamento delle acque meteoriche verso il mare che ha eroso la duttile roccia calcarea superficiale creando ampi canyon, chiamati gravine. La presenza di acqua, di un clima mite, di vegetazione spontanea e di superfici coltivabili rendevano queste aree un habitat idoneo all’insediamento umano che qui trovò anche riparo dalle invasioni turche.

Questi luoghi divennero inoltre centri di culto quando vi si rifugiarono i monaci basiliani dopo l’editto bizantino contro l’iconoclastia. Costoro scavarono piccole chiese ampliando le grotte esistenti e le abbellirono con colonnati, absidi, altari e affreschi devozionali tipici della religiosità orientale e latina. La cosiddetta civiltà rupestre sviluppatasi nei territori si adattò all’ambiente conducendo comunque gli uomini a una vita di stenti, in ambienti illuminati solo da lampade a olio e candele, spesso a contatto con pecore, capre e asini con i quali condividevano le caverne.

Solo dalla metà del secolo scorso i nuclei familiari iniziarono a trasferirsi nella parte alta della gravina, dando vita alle cittadine che oggi contornano i profondi canaloni. Ripercorriamo le tracce di questo pezzo di storia visitando Mottola, Castellaneta e Laterza, alcune comunità che costituiscono il Parco Naturale Regionale Terra delle Gravine.

La gravina di Natale

Mottola: un affresco nel santuario di Santa Maria Mater Domini
Mottola: un affresco nel santuario di Santa Maria Mater Domini

Ai piedi della collina sulla quale è insediato l’abitato di Mottola – dove è consigliabile parcheggiare per mancanza di specifiche aree sosta – si trova l’Info Point dove prenotare una visita guidata per raggiungere alcuni siti di difficile individuazione. Il centro storico, la Schiavonia, è posta attorno alla sommità del colle: dall’alto lo sguardo abbraccia l’intero arco del Golfo di Taranto, una posizione strategica già sfruttata in età ellenistica come testimonia il tratto di poderose mura greche ancora visibili in un sottoscala di Via Piave, inglobato nell’abitazione che lo sovrasta.

Al periodo medioevale appartiene Piazza Grande (oggi Plebiscito), sede dei principali edifici pubblici, ornata dalla seicentesca Torre dell’Orologio. Poco distante è Largo Chies, una piazzetta su cui spicca l’originaria facciata della cattedrale in romanico pugliese sulla quale si intravvede il rosone con la figura centrale dell’Agnus Dei. L’ingresso sottostante fu murato in seguito all’ampliamento del duomo, voluto agli inizi del XVI secolo e spostato sull’altro lato, al centro della nuova facciata che ricorda quella della cattedrale di Ostuni. L’intero prospetto è sovrastato dal campanile rettangolare del XIV secolo che nel 1890 è stato dichiarato monumento nazionale. Tra le opere che adornano le cappelle ai due lati della navata centrale troviamo una grande icona lignea con l’immagine della Madonna Nera, donata dai soldati polacchi durante la Seconda Guerra Mondiale, e nell’abside la grande tela della Vergine Assunta realizzata nel ‘700 da Nicola Malinconico, a cui piedi è raffigurato San Tommaso da Canterbury, protettore della città.

Ci addentriamo in un susseguirsi d’interessanti scorci incorniciati da antichi passaggi come l’Arco Fanelli e strutture abitative quasi affiancate l’una all’altra, sulle quali non è difficile individuare iscrizioni o scoprire resti di colonne in stile jonico, capitelli, torri medioevali e absidi ormai inglobati. In Via Mazzini visitiamo la chiesa di Maria Santissima del Carmelo e la sottostante sede della Confraternita, dove sono esposte le statue in cartapesta portate in processione il Sabato Santo. Da qui raggiungiamo Piazza XX Settembre su cui affaccia l’ottocentesco palazzo municipale.

Qui troviamo Mangiobuono, una vetrina sui migliori prodotti della gastronomia pugliese, acquistabili anche presso la vicina masseria didattica Sant’Angelo di Piccoli. In pieno centro storico c’è inoltre la possibilità di alloggiare presso una delle quindici residenze del Villaggio Vecchia Mottola, inserito nella tipologia degli alberghi diffusi. Nei due appuntamenti del 22 dicembre e 5 gennaio le grotte delle Sette Lampade, poste ai piedi dell’abitato, accolgono un centinaio di personaggi che animano le scenografie all’aperto dedicate alla Natività. Tra gli ampi terrazzi digradanti abilmente illuminati, contornati dalla ricca vegetazione mediterranea e dalla musica in sottofondo, si snoda il percorso illuminato da fuochi lungo il quale si snodano le botteghe di artigiani intenti a lavorare l’argilla. Non mancano, per sopperire al freddo intenso, bancarelle dove assaggiare i classici taralli accompagnati da un bicchiere di vino. Imbocchiamo la strada per Martina Franca per fermarci, dopo pochi chilometri, in una delle tre aree verdi che circondano l’abitato: il bosco di Sant’Antuono.

Il bosco di Sant’Antuono è percorso da un sentiero che si addentra nella tipica vegetazione murgiana
Il bosco di Sant’Antuono è percorso da un sentiero che si addentra nella tipica vegetazione murgiana

Ci è stato raccomandato di seguire esclusivamente il sentiero per evitare di perderci o d’imbatterci nei cinghiali. Seguiamo il consiglio e percorriamo il lungo tracciato punteggiato da piste di jogging e aree picnic. Gli alti fragni che emergono dal fitto della boscaglia ci accompagnano mentre osserviamo la tipica vegetazione murgiana di roverelle, lecci e pini d’Aleppo contornata da rosmarino, pungitopo e ginepro. Torniamo verso la città per visitare i santuari rupestri affrescati, nella cui ricerca si sono rivelate indispensabili le guide dell’ufficio turistico. Tra i quattro che si trovano nel circondario, Santa Margherita, Sant’Angelo, San Gregorio e San Nicola, scegliamo quest’ultimo perché più facilmente accessibile e interessante.

Non a caso la cripta è chiamata la Cappella Sistina della civiltà rupestre poiché rappresenta la più completa pinacoteca della religiosità popolare realizzata dal IX al XIV secolo, quando il luogo era frequentato dai Crociati e dai pellegrini che si recavano in Terrasanta. Vi si accede da una breve scalinata intagliata nella roccia e superato l’ingresso, segnalato da una croce affrescata in una nicchia e dalla figura del santo nella lunetta dell’architrave, ci si ritrova nella navata centrale affiancata da due laterali più piccole. Appena ci adattiamo alla tenue luce dell’interno, ai nostri sguardi si apre un affascinante mondo iconografico. Due colonne fanno da quinta all’altare alle cui spalle emerge la figura del Pantocratore in Deesis, un affresco che occupa l’intera parete. Su quelle laterali e sulle nicchie in esse scavate è un susseguirsi di figure di santi tra le quali ne risaltano alcune che rappresentano la Madonna col Bambino, sapientemente restaurate nel 1989.

Da Petruscio a Santo Stefano

Gli antichi insediamenti scavati nella roccia della gravina di Petruscio, seminascosti da una fitta boscaglia
Gli antichi insediamenti scavati nella roccia della gravina di Petruscio, seminascosti da una fitta boscaglia

A 5 chilometri dalla città, sull’ex statale 100 per Taranto si apre l’accesso alla gravina di Petruscio. Si può liberamente parcheggiare nello spazio oltre una cancellata in ferro sempre aperta e passeggiare lungo il ciglio della profonda fenditura carsica, da dove si ha una panoramica sugli antichi insediamenti scavati nelle rocce e circondati da una folta vegetazione. Per quanti volessero raggiungere il fondo del canalone, è possibile utilizzare una scalinata protetta da una recinzione in legno. Chi invece preferisce evitare la faticosa risalita può ammirare dall’alto l’imponente spettacolo di una lunga serie di antri che si aprono su più livelli del costone roccioso.

È consigliabile comunque effettuare la visita nelle ore pomeridiane, quando il sole illumina questo fronte altrimenti in ombra. I reperti trovati in loco fanno risalire all’Età del Ferro la frequentazione del sito, proseguita fino al XII secolo, che ha trasformato il paesaggio nell’alveare costituito da circa duecento grotte. Castanìa pare essere il primo toponimo di Castellaneta, fondata sul colle Archinto dalle popolazioni in cerca di rifugio dalle incursioni saracene. È circondata su due lati da una profonda gravina, un impervio ambiente naturale dalle ripide pareti verticali alte fino a 150 metri. Si rende necessario l’ausilio di una guida per individuare i dieci siti in cui sono presenti testimonianze di civiltà rupestre, spesso di difficile accesso anche per mancanza di manutenzione.

Dapprima scegliamo di visitare il più semplice da raggiungere: l’insediamento di Santa Maria del Pesco, così chiamato a ricordo di un evento miracoloso che vide la fioritura invernale di questa pianta. Raggiungiamo pertanto Piazza dell’Assunta – adatta anche per la sosta – sulla quale affaccia la chiesa omonima eretta nel ‘300. La facciata è ornata da un rosone privo della raggiera di colonnine e dal portale incorniciato da intagli su pietra, uniche opere salvate dalla depredazione. All’interno (per l’accesso rivolgersi al vicino ristorante Peucezia) sono presenti diverse tracce di affreschi lungo le pareti dell’unica navata. Da una porticina laterale si accede alle grotte che affacciano direttamente sulla cosiddetta Gravina Grande, purtroppo quasi del tutto nascoste dall’invadente vegetazione spontanea. A 3 chilometri dal centro e per strade inadatte ai v.r., con la guida raggiungiamo il villaggio di Santo Stefano.

Troviamo la scala scavata nella roccia completamente franata, per cui siamo costretti a scendere non senza difficoltà. Ci affacciamo in un lungo e ampio pianoro invaso dalla vegetazione in cui sono presenti diverse cripte disposte su due livelli, con affreschi del XIV secolo dedicati a Santo Stefano e a San Nicola in evidente stato di abbandono. Le difficoltà incontrate ci fanno desistere dal visitare gli altri insediamenti per cui rientriamo nell’abitato per esplorare la cittadina dove, oltre ad alcuni palazzi d’epoca, il patrimonio architettonico è racchiuso nella cattedrale dedicata alla Vergine Assunta. La sua costruzione si fa risalire alla seconda metà dell’XI secolo, quando nel comune fu istituita la sede vescovile. Oggi, dopo numerosi rimaneggiamenti, presenta su un primo livello la facciata ornata dalle statue di San Gennaro e San Nicola, e da quelle delle quattro virtù cardinali sul livello superiore. L’interno presenta un interessante soffitto con medaglioni in legno dorato che incorniciano tele del ‘700, le cinquecentesche statue dei santi Pietro e Paolo, opere di Stefano da Putignano, alcuni dipinti dell’artista Domenico Carella e il busto argenteo di San Nicola.

Nel territorio laertino

Laterza
Laterza

Arriviamo a Laterza e seguendo le indicazioni giungiamo dinanzi al Palazzo Marchesale in Piazza Plebiscito, in pieno centro storico. La magione fu degli Angiò, quindi nel ‘600 passò in mano ai Navarrete che detennero la proprietà fino all’abolizione del feudalesimo. Poco distante è la chiesa madre di San Lorenzo, risalente agli inizi del ‘400 e in stile tardogotico, nella quale sono conservate pregevoli tele del Giannico e del De Matteis, pittore di scuola napoletana. Qui ammiriamo inoltre la Spezieria, un‘antica farmacia del ‘600 perfettamente conservata.

Dopo una passeggiata nelle viuzze dell’abitato il nostro cammino prosegue verso le terrazze delle Conche, da cui si gode del panorama sul centro storico e sulla prospiciente gravina. Da lì si nota l’abside della Chiesa del Purgatorio, oggi adibita ad auditorium, i cui ambienti sconsacrati accolgono la sede dell’associazione culturale Arthemisia, costituita da un gruppo di giovani che operano come guide turistiche nell’area laertina. Ci spostiamo verso il santuario di Santa Maria Mater Domini, edificato nel ‘700 intorno alla grotta omonima, dove nel 1650 fu scoperto un affresco rappresentante la Vergine Odegitria. Oggi l’edificio sacro è liberamente visitabile, ma la vera sorpresa risiede nella sottostante chiesa rupestre. La cripta è stata restaurata negli anni ‘20 del secolo scorso distruggendo molte delle evenienze pittoriche preesistenti, ma sono stati salvati alcuni affreschi bizantini e cinquecenteschi. Ancora in centro è la Fontana Sorgiva, completata nel 1544 e oggi tra le cento più belle d’Italia.

Alle spalle una zona di giardini pensili, mentre lungo Via delle Concerie si trova uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi di Laterza, la Cantina Spagnola. Si tratta di un ipogeo la cui destinazione d’uso è ancora dubbia: le pareti di roccia sono completamente ricoperte di affreschi cinquecenteschi con scene di diversa ispirazione. La Natività, i simboli dell’amor cortese, alcune caricature di notabili del luogo, le croci dell’Ordine di Alcantara, santi ed esseri mostruosi occhieggiano dai muri di questo luogo probabilmente usato per l’investitura dei cavalieri e per altri offici a metà fra sacro e profano. La parete di sinistra è inoltre occupata da un grande mascherone in altorilievo,  difficilmente collocabile in un contesto religioso. La città è nota pure per le maioliche colorate, un’antica tradizione visibile sui muri del centro storico o all’interno delle chiese.

I manufatti della produzione moderna si trovano presso gli artigiani locali; nel laboratorio delle Ceramiche Marilli la gentile proprietaria ci mostra le fasi di lavorazione e le realizzazioni smaltate. Un’altra particolarità sono le macellerie che allestiscono sale interne, dette fornelle, dove gustare l’eccellente carne alla brace. Infine, da sottolineare la bontà del pane di Laterza, tra i prodotti agroalimentari tradizionali, alla cui lavorazione abbiamo assistito presso il panificio Di Fonzo. Facciamo tappa nell’area di sosta della vicina oasi Lipu di Laterza. Da qui seguiamo il sentiero 3 e in breve giungiamo a un balcone naturale protetto da una staccionata, dal quale lo sguardo abbraccia il suggestivo scenario della profonda fenditura della gravina. Dal vicino sentiero ricavato tra le rocce scendiamo qualche decina di metri e arriviamo all’ampio antro, frequentato da capovaccai, poiane e falchi pellegrini. E qui, tra chiese rupestri, antiche civiltà dimenticate, sapori semplici di una terra forte e caparbia salutiamo a malincuore il Parco delle Gravine e le sue bellezze.

La città di Valentino

Castellaneta deve buona parte della sua notorietà per aver dato i natali a Rodolfo Valentino, il mitico attore dallo sguardo magnetico degli anni Venti del secolo scorso. Nacque qui nel 1895, come ricorda la targa sulla casa natale in Via Roma, mentre il monumento in ceramica all’ingresso in paese ne commemora, nelle vesti de Lo sceicco, la sua fama nell’era del cinema muto a Hollywood. Un mondo nel quale era entrato come comparsa finché nel 1921 non interpretò I quattro cavalieri dell’Apocalisse, dove ballava il famoso tango con l’attrice Alice Terry, che lo consacrò definitivamente come il divo più amato dalle donne di tutto il mondo.

Un fanatismo che esplose nel momento della sua morte prematura, avvenuta il 23 agosto 1926 all’età di 31 anni, con una folla di centomila persone che si accalcava nelle strade di New York per dare l’estremo saluto al mito. La Fondazione Rodolfo Valentino vuole perpetuarne il ricordo con iniziative culturali e la creazione di un museo che raccoglie testimonianze della sua vita. All’interno, tra locandine cinematografiche, foto d’epoca e bigiotteria di scena sono esposti il letto in ottone nel quale l’attore dormiva da ragazzino, riutilizzato durante l’unica sua visita a Castellaneta nel 1923, e la ricostruzione della tenda, in parte originale, impiegata nelle scene del film Il figlio dello sceicco.

E vieni in una grotta…

La quindicesima edizione del presepe vivente di Mottola avrà luogo il 21 dicembre e il 5 gennaio alle 18 nella grotta delle Sette Lampade: l’ingresso è libero, ma è richiesta una consumazione obbligatoria. Nei giorni indicati si possono inoltre visitare su prenotazione i siti rupestri. Per maggiori informazioni contattare il gruppo folkloristico Motl la Fnodd (Via Catucci 88, tel. 099 8862160 o 338 6320367, www.motllafnodd.it). 

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