Galatina: Barocco e pasticciotto

Al centro dell’entroterra salentino, Galatina è un gioiello del Barocco leccese. Gustiamone il fascino, e non scordiamoci di assaggiare anche il classico dolce locale.

Indice dell'itinerario

Non solo il mare: il Salento ha un ricco patrimonio architettonico che offre il meglio di sé nella bassa stagione. Dal XVII al XVIII secolo abili artisti come Giuseppe Zimbalo e Giuseppe Cino dettero vita a quello stile ormai universalmente conosciuto come barocco leccese, che non interessò solo il capoluogo ma si estese alle cittadine dell’intera provincia come a Galatina.

Iniziamo la nostra visita dalla centrale Piazza San Pietro, in un tessuto urbano nel quale sono presenti oltre cinquanta edifici di rilievo tra chiese e palazzi nobiliari. In questo spazio si erge la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, costruita nel 1633 su un preesistente complesso sacro. La facciata è impreziosita da tre portali con sette nicchie per i simulacri dei santi e lo stemma civico. All’interno si conservano una statua policroma di San Pietro, opera di Giuseppe Cino, e la pietra sulla quale secondo la tradizione il santo riposò durante il viaggio da Gerusalemme a Roma.

Da qui, risalendo Corso Vittorio Emanuele entriamo nel borgo antico: prima tappa l’ufficio turistico accanto alla torre dell’orologio, costruita dopo l’Unità d’Italia di fronte al Palazzo del Sedile. Addentrandoci sempre più tra i vicoli raggiungiamo Corte Vinella, adorna di una preziosa balconata in pietra leccese alla quale si accede da una scalinata con la ringhiera anch’essa in pietra. La particolarità di questa abitazione è legata alla presenza – sulla base della scalinata – della figura di un cavaliere senza testa che la storia locale vuole riferire al conte di Conversano, Giulio Antonio Acquaviva, caduto durante gli scontri contro i Turchi avvenuti nel 1481 nei pressi di Galatina

Basilica di Santa Caterina d’Alessandria

Basilica di Santa Caterina d’Alessandria, una veduta della facciata
Basilica di Santa Caterina d’Alessandria, una
veduta della facciata

Torniamo verso Via Umberto I per raggiungere Piazza Orsini e ritrovarci di fronte al gioiello della città: la basilica di Santa Caterina d’Alessandria, voluta tra il 1384 e il 1391 dal principe di Taranto Raimondo Orsini del Balzo per custodire una reliquia della santa da lui portata dalla Palestina. Questa chiesa francescana, al contrario delle imponenti cattedrali romaniche pugliesi, presenta un prospetto piuttosto scarno e disarmonico. Affiancato da due portali minori, quello maggiore è incorniciato da tre archi ornati da motivi vegetali incisi nella pietra leccese, mentre sull’architrave domina la raffigurazione di Gesù tra i dodici apostoli; la sezione superiore della facciata presenta il rosone, anch’esso contornato da ricami floreali, con una raggiera di dodici colonnine che racchiudono gli stemmi delle famiglie Angiò-Durazzo e Enghien- Brienne.

gli splendidi affreschi custoditi nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria
Gli splendidi affreschi
custoditi nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria

Ma è l’interno a lasciare senza fiato: ogni centimetro delle navate è decorato da affreschi che si estendono fino alle volte. Si tratta di ben 2.500 metri quadrati di dipinti commissionati alla metà del Quattrocento da Maria d’Enghien, consorte del principe, ad artisti di scuola napoletana, toscana e umbro-marchigiana: nove i cicli di affreschi presenti che raccontano vicende del Vecchio e Nuovo Testamento. Su facciate e controfacciate di ogni campata le raffigurazioni sono opera di autori ignoti e illustrano scene dell’Apocalisse, della Genesi, della vita di Gesù e di Santa Caterina.

L’unica firma, datata 1432, è quella di Franciscus de Arecio (Arezzo), posta nell’ambulacro di destra ai piedi dell’affresco di Sant’Antonio Abate. Elaborati ricami in pietra abbelliscono i capitelli raffiguranti immagini sacre e figure di popolani nei loro abiti quattrocenteschi, che ci conducono presso il coro dov’è posto il cenotafio di Raimondello Orsini. Rientriamo verso il punto di partenza toccando dapprima Via Zìmara dove ha sede la chiesa della Santissima Trinità, detta anche dei Battenti, il cui portale è contornato da decori floreali intagliati nella pietra. Sulla vicina Via Santo Stefano si trova Palazzo Congedo, chiamato dai galatinesi la bomboniera per le forme arrotondate dei balconi fittamente decorati in Rococò.

una finestra in stile rococò di Palazzo Congedo
una finestra in stile rococò di Palazzo
Congedo

E dopo aver girovagato per l’intera giornata, nell’ultima tappa cittadina ci troviamo immersi nella leggenda. Siamo al cospetto del Palazzo Tondi-Vignola su Corso Garibaldi in prossimità di Piazza San Pietro. Varchiamo il grande porticato bugnato per raggiungere il cortile nel quale è racchiuso il pozzo dei tarantolati, un luogo strettamente legato alla storia di Galatina. Si racconta che San Paolo – protettore dai morsi di serpenti – giunto qui in seguito a un naufragio ricompensò la famiglia che gli aveva prestato soccorso rendendo miracolosa l’acqua del pozzo della loro abitazione.

In questa commistione di sacro e profano la cappella dedicata al santo, posta accanto al Palazzo Tondi-Vignola, è stata sempre meta di pellegrini in cerca di grazia. Questi rituali ormai appartengono al passato, ma ancora oggi il 29 giugno, giorno della festa di San Paolo, dinanzi alla cappella si avvicenda una piccola folla di curiosi che sperano di poter ancora assistere alle contorsioni isteriche, esorcizzate dal ritmare di tamburelli e dal pizzicare cadenzato di chitarre. Il ricordo di queste manifestazioni oggi si può solo ritrovare in pizziche e tarante, balli che hanno ormai superato i confini dello stesso Salento. 

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