Un weekend ducale

Da Urbino a Fonte Avellana, da Urbania a Fossombrone: un itinerario che da Acqualagna s’irradia in ogni direzione dimostrando come le Marche, anche in un fazzoletto di territorio, offrano attrattive diversificate e adatte a ogni gusto... in particolare a quello del tartufo.

Indice dell'itinerario

Se è vero che ogni frutto ha la sua stagione, in autunno è la castagna a ricordare a tutti che l’estate è finita e l’inverno non tarderà ad arrivare. Eppure c’è un altro prodotto della natura che proprio in questo periodo sale alla ribalta di manifestazioni, fiere e, in certi casi, anche di convegni: il tartufo. Parlando di sagre dedicate a questo prezioso tubero, una delle più famose è senz’altro quella che si tiene ogni anno ad Acqualagna, dalla fine di ottobre ai primi di novembre. Appassionati di tutta Europa convergono nella cittadina marchigiana per gustare o portare a casa almeno un pezzetto del profumatissimo – anche per il prezzo – oggetto del desiderio.

Nei giorni dell’evento, oltre alle bancarelle e agli stand gastronomici dedicati al tartufo, anche i negozietti di prodotti tipici del paese mettono in vendita la loro merce: salumi, crescia (la focaccia locale), funghi, olio e vini. Sono numerosi i produttori della zona e dei dintorni che approfittano della grande affluenza di pubblico per far conoscere le loro specialità. Già questo sarebbe sufficiente per decidersi a partire, ma i comuni intorno ad Acqualagna hanno molto altro da offrire al visitatore – e in particolare al turista itinerante: tutte le località che visiteremo dispongono di aree attrezzate – così che raggiungere questa parte delle Marche diventa una scelta di cui essere a lungo soddisfatti.

Urbania
Urbania

A cominciare da Urbania, celebre per il cimitero delle mummie custodito nella Chiesa dei Morti: diciotto cadaveri imbalsamati che raccontano storie a volte terribili, a volte commoventi, come quella del giovane accoltellato dopo una festa, o della donna morta di parto. I corpi si sono conservati grazie a una particolare muffa presente nel luogo di sepoltura, che ha disidratato i cadaveri permettendo ai tessuti di essiccarsi senza decomporsi completamente. Un ben informato custode ragguaglia i visitatori su quanto c’è da sapere sulle mummie e sulla Confraternita della Buona Morte. Lasciata l’atmosfera un po’ lugubre della chiesa, si può andare alla scoperta di Casteldurante: è questo infatti il nome con il quale era conosciuta la cittadina dal 1284 al 1636, quando Papa Urbano VIII onorò il borgo con la qualifica di Comune, che da allora si chiamò Urbania. Il periodo rinascimentale fu di grande fermento artistico, come testimoniano le maioliche esposte nel museo civico e in quello diocesano, molte di fattura così raffinata da essere richieste per esposizioni in varie gallerie del mondo.

Fra il XVI e XVII secolo Casteldurante contava ben quaranta botteghe e quasi centocinquanta artisti; oggi sono rimasti soltanto sei laboratori a preservare la tradizione. Come quello di Ettore e Claurisia Benedetti, appassionati ceramisti che volentieri si intrattengono con i turisti per mostrare il loro lavoro. Fuori dalle mura di Urbania pochi conoscono il Ponte dei Cocci, che è invece strettamente legato alle maioliche durantine. Era sulle sue spallette che venivano messe le ceramiche ad asciugare; talvolta cadevano nelle acque del Metauro, spinte dal vento, insieme agli scarti gettati dagli artigiani: ecco spiegata l’origine del nome. L’altro ponte, detto del Riscatto, è altrettanto interessante per la bella vista sul Palazzo Ducale e sui resti ricostruiti non troppo bene del Tempio del Bramante, distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il nome si deve al fatto che i viaggiatori in transito potevano lasciare del denaro alla Madonna effigiata all’interno del tempio ottagonale per pagare il riscatto dei cristiani prigionieri in Terrasanta. Entrando nel centro storico colpiscono invece i numerosi portici che hanno spinto alcuni abitanti a chiamare la zona Piccola Bologna. La Via Bramante, pur senza l’imponenza dei loggiati felsinei, riporta ad atmosfere medioevali, in quanto mai modificata da allora. Visitiamo la chiesa di Santa Caterina: se la sua eleganza barocca è degna di apprezzamento, c’è un motivo di tutt’altra natura per entrare in quella che fu la sede della Confraternita degli Artisti. Si dice infatti che dopo esserne usciti capiti di sognare una serie di numeri; giocandoli al lotto, più di un visitatore ha raccontato di avere vinto.

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Il monastero di Fonte Avellana
Il monastero di Fonte Avellana

Lasciata Urbania ci mettiamo in marcia verso la non lontana Piobbico, effettuando una doverosa sosta a Peglio. Il borgo medioevale, arroccato sulla collina, è dominato da una torre campanaria che di sera, in occasione di manifestazioni culturali, è illuminata con luci led di colore diverso a seconda del tipo di evento. Per visitare il paese vale la pena seguire il Percorso fra Cielo e Terra, un itinerario che coinvolge i cinque sensi del visitatore in un arredo urbano ricco di opere d’arte e vari tipi di piante. Interessante l’iniziativa denominata Università delle Arti, grazie alla quale alcuni esperti insegnano i rudimenti delle forme di artigianato locale, prima fra tutte la lavorazione del vetro.

La tappa successiva ci porta a Piobbico, noto principalmente per il suggestivo Castello Brancaleoni, che consigliamo di raggiungere non dall’ingresso principale, ovvero seguendo le indicazioni turistiche, ma partendo dal paese nei pressi del ponte sul Candigliano. Salendo verso il maniero si entra lentamente nell’atmosfera medioevale, fra viottoli lastricati e case di pietra. La famiglia Brancaleoni dominò il territorio con alterne vicende fin dal XII secolo, raggiungendo il massimo potere fra il 1400 e il 1500. Il castello fu costruito nel XIV secolo sui resti di una rocca del ‘200 e rimaneggiato alla metà del ‘500. Dall’esterno si presenta come un elegante edificio su più livelli e già all’entrata si coglie la prima curiosità: l’orologio, visto dall’interno, ha i numeri rovesciati. L’una è a sinistra delle dodici, e via dicendo: ciò dipende dal fatto che il meccanismo è unico e la parte che si affaccia sul paese è quella che richiedeva la maggiore leggibilità. Stranezze a parte, è opportuno seguire la visita guidata per apprezzare nel dettaglio le collezioni custodite all’interno di queste mura.

A cominciare dal piano terra, con il museo degli antichi mestieri, per poi salire al piano nobile e scoprire la preziosa esposizione di abiti e gioielli di varie epoche, testimonianza di un mondo di ricchezza ed eleganza riservato a pochi fortunati. Non mancano stanze riservate alle ceramiche e ai reperti archeologici, oltre a una collezione di monete; nei sotterranei, dedicati alla speleologia e ai fossili, si trovano i resti dell’Ursus spelæus, il gigantesco orso delle caverne, qui ricostruito con le ossa trovate nella Grotta del Nerone. Se il castello Brancaleoni ci riporta alle vicende di tempi che furono il maniero medioevale di Naro, che svetta sulla vallata del Candigliano, racconta invece una storia di oggi: abbandonato fino a pochi anni fa, il castello di Naro è stato restaurato con attenzione.

L’interno, arredato con stile ed eleganza, è ideale per ospitare convegni e ricevimenti; ogni martedì, dalle 10 alle 13, è visitabile gratuitamente. La storia di Naro è legata a quella di Cagli, che se ne impossessò con la forza nonostante la fiera opposizione di Filippa Siccardi, l’unica della famiglia di feudatari a non volersi piegare allo strapotere del Comune. Cagli è una tranquilla cittadina fiera delle sue bellezze e della sua storia. «Il patrimonio artistico – spiega il vicesindaco Alberto Mazzacchera – segue una continuità che va dalle grandi opere del passato all’arte contemporanea», il che – aggiungiamo noi – non è davvero cosa di poco conto per un borgo collinare della provincia marchigiana. La nostra visita comincia dal duecentesco Palazzo Comunale, un bell’edificio che nonostante vari restauri conserva un’austera bellezza.

Al piano terra si trova un museo archeologico con reperti del II e del IV secolo d.C.; l’ingresso del palazzo si affaccia sulla piazza abbellita da un’elegante fontana che è talvolta occultata dalle troppe auto in sosta. Dirigendosi verso il Torrione s’incontra la chiesa di San Giuseppe, interessante per gli stucchi e per il settecentesco dipinto dell’altare maggiore raffigurante l’arcangelo Michele, opera di Gaetano Lapis. Poco più avanti appare il teatro comunale, che grazie a un’ottima acustica ospita concerti di musicisti di grande valore: per visitarlo nel periodo autunnale e invernale è necessario fare richiesta all’assessorato alle attività culturali. Dalla parte opposta del teatro si trova il Torrione, opera di Francesco Giorgio Martini, architetto senese che nel ‘400 progettò diverse rocche fortificate marchigiane. Oltre alle belle vedute che si godono dai camminamenti, la struttura offre la possibilità di visitare il Centro di Scultura Contemporanea.

Tornando verso il municipio si passa il monumentale Palazzo Berardi Mori-Zampeschi, sede della biblioteca e del Polo Culturale d’Eccellenza, e si arriva alla chiesa di San Francesco, risalente alla fine del XIII secolo: molto interessanti sono gli affreschi absidali e i dipinti degli altari laterali. Nei pressi della Porta Lombarda s’incontra la cattedrale, una delle più grandi dell’intera regione, con opere di Lapis e di Sebastiano Conca; fu costruita nel ‘600 sui resti di un precedente edificio medioevale, ma la conformazione definitiva è datata alla fine del secolo successivo. L’ultima tappa è la chiesa di San Domenico, risalente agli inizi del ‘300 ma con aggiunte d’epoca più tarda (la facciata è del 1483, l’abside e il campanile del XVI secolo). All’interno si trova la Cappella Tiranni, fatta erigere da Pietro Tiranni in onore della moglie: l’affresco è opera di Giovanni Santi, padre di Raffaello Sanzio: nel dipinto si riconoscono il celebre pittore – raffigurato come un angelo – e l’illustre genitore, che dette il suo volto a Giovanni Battista.

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Riserva Naturale Statale della Gola del Furlo
Riserva Naturale Statale della Gola del Furlo

Dopo Cagli è consigliabile scendere un poco verso sud, quasi ai confini con l’Umbria, per una visita al monastero camaldolese di Fonte Avellana: situato in una conca tra fitti boschi, è vegliato dall’imponente mole del Monte Catria. Il nucleo primario risale al 980; nel 1100 San Pier Damiani fondò la comunità monastica avellanita, e dal 1570, con l’estinzione dell’ordine, il luogo passò ai monaci camaldolesi. Entrare nel monastero è un’esperienza in cui farsi coinvolgere dalla sua sacralità: la visita guidata diventa un percorso nella storia e nel cammino spirituale dei camaldolesi, di cui ogni angolo racconta momenti specifici. Se Fonte Avellana è uno dei più noti e rilevanti, l’intero territorio marchigiano è costellato di edifici religiosi, al punto che diventa difficile visitarli tutti in un solo viaggio; non è possibile tuttavia tralasciare l’abbazia di San Vincenzo al Furlo.

La parte più vecchia della chiesa è del VI secolo e si sviluppò grazie alle offerte dei viandanti; l’attuale struttura, splendida nella sua nuda semplicità, è fatta risalire alla metà del XV secolo; di particolare fascino il presbiterio sopraelevato e la cripta. A pochi metri dalla chiesa, purtroppo mal segnalati, si trovano i resti di Ponte Mallio, costruito dai Romani nel II secolo a.C.: vi passava l’antica Via Flaminia, la stessa che, qualche chilometro più a valle, incontrava la Gola del Furlo, pressoché inaccessibile fino all’epoca imperiale. Sfruttando probabilmente una cavità naturale, il più antico traforo consentiva il passaggio solamente agli uomini e agli animali. La necessità che carri di grandi dimensioni e macchine da guerra potessero transitarvi indusse Vespasiano a ordinare una delle più ardite operazioni di ingegneria stradale della storia: in soli cinque anni, fra il 73 e il 77 d.C., fu scavata a colpi di scalpello (i segni sono ben visibili) la galleria che ancora oggi si percorre, 38 metri di lunghezza per 5,5 di larghezza e 6 di altezza.

Oggi tutta l’area è riserva naturale e permette di inoltrarsi lungo itinerari escursionistici dove si può osservare l’aquila reale nel periodo della nidificazione. Dopo le gole, in direzione della costa, la Via Flaminia conduce a Fossombrone; l’antica cittadina è disposta su tre piani distinti, corrispondenti a diverse epoche di sviluppo. La più alta, detta la Cittadella, è il primo nucleo di epoca medioevale; a metà ci sono gli edifici rinascimentali e più giù, verso il fiume, l’abitato settecentesco. Il porticato Corso Garibaldi è la via principale; percorrendolo s’incontrano edifici importanti come la chiesa di San Filippo, la cui facciata anonima non lascia intuire la bellezza dell’interno. Costruita fra il 1608 e il 1613 per voto pubblico in onore della nascita di Federico Ubaldo Della Rovere, si presenta in uno stile barocco molto gradevole e riccamente decorata sia nell’abside sia nelle cappelle laterali. Sul corso s’affacciano anche la bella chiesa trecentesca di Sant’Agostino e il palazzo comunale, del 1571, che mostra uno dei prospetti più interessanti della cittadina. Verso la fine della strada si trova la cattedrale, costruita alla fine del ‘700 dove sorgeva una vecchia abbazia benedettina.

L’interno custodisce numerose opere d’arte e una storica linea meridiana marmorea che dà particolare importanza alla pavimentazione. Uscendo dal centro storico si arriva sul fiume Metauro, attraversato da un bel ponte in pietra detto della Concordia: nei pressi si trova la cinquecentesca casa museo Cesarini, le cui stanze sono arredate con suppellettili che testimoniano lo stile di vita di una famiglia dell’alta borghesia nei primi anni dello scorso secolo. La notevole quantità dei quadri di valore in esposizione richiede una visita non affrettata.

A casa di Raffaello

Duomo di Urbino
Duomo di Urbino

Il nostro viaggio si conclude infine a Urbino, che appare nella lista dei patrimoni dell’umanità redatta dall’Unesco. La città natale di Raffaello Sanzio vanta uno dei centri storici più spettacolari d’Italia e non è soltanto il celebre Palazzo Ducale a lasciare stupiti chi la visita per la prima volta. Le spettacolari mura che la circondano furono più volte abbattute e ricostruite, modificando nel tempo l’aspetto urbano. Le quattro porte d’accesso – Santa Lucia, San Bartolo, Valbona e Lavagine – offrono scorci diversi della cittadina medioevale: entrando dalla prima, quella settentrionale, si percorre la Via Bramante su cui affacciano la chiesetta di Santo Spirito e l’orto botanico, il cui monumentale ingresso e la successiva scalinata conducono all’esposizione delle piante provenienti da tutto il mondo.

Quando Via Bramante incrocia Via Raffaello si è giunti in prossimità della casa natale del pittore, oggi adibita a museo: in quella che si ritiene essere la stanza dove egli venne alla luce trovano alloggio un disegno del Bramante e una bellissima Madonna col Bambino dipinta da Giovanni Santi, le cui spoglie sono collocate nella non lontana chiesa di San Francesco. Da Piazza della Repubblica si entra nella stretta Via Vittorio Veneto e, oltrepassato il palazzo comunale, si arriva nel cuore della città a cui i Montefeltro, e in modo particolare Federico, diedero lustro. Visitiamo il duomo, il cui aspetto odierno risale alla fine del ‘700 (ma il primo edificio fu consacrato nell’XI secolo) e infine giungiamo a una delle più importanti realizzazioni architettoniche del Rinascimento, il Palazzo Ducale. Il cortile porticato e l’aspetto della facciata, con i balconi sovrapposti e i “torricini” sui lati, sono noti in tutto il mondo.

Il suo interno richiede l’uso di una buona guida, utile anche per la visita alle sale in cui è ospitata la Galleria Nazionale delle Marche con il Museo Archeologico Urbinate. Vale la pena spingersi fino al Palazzo Bonaventura Odasi, in Via Valerio, a pochi passi dall’ingresso del duomo. Qui ha sede il Museo della Città, dove si raccontano non solo le vicende storiche ma anche i legami culturali e ideali che nel tempo l’hanno caratterizzata e modificata, nell’arte non meno che nella tecnologia. E prima di lasciare Urbino non ci facciamo mancare una passeggiata fino alla Fortezza Albornoz, all’interno del Parco della Resistenza. Fu costruita nel XIV secolo; oggi è un bell’esempio di ingegneria militare da dove si gode una veduta superba della città e del panorama circostante. 

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