L’ isola delle pedule

Una settimana fuori stagione a Capraia, dove le scarpe da trekking s’abbinano assai bene al costume da bagno

Indice dell'itinerario

La prima metà di giugno o l’ultima di settembre: sono questi a nostro avviso i due migliori periodi dell’anno per regalarsi una vacanza, sia al mare che in montagna, al riparo dagli effetti collaterali indesiderati dell’alta stagione: assembramenti, prezzi gonfiati, disservizi, malumori e così via.
Quanto al dove, rimanendo in Italia le mete possibili non si contano; si riducono però drasticamente se si cercano luoghi dove conciliare il piacere dei bagni di sole e di mare con quello delle escursioni a piedi. Tra questi resta secondo noi difficile trovare di meglio dell’isola di Capraia, nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

Il ritorno, vent’anni dopo

Ci si imbarca nel Porto Mediceo di Livorno, sul traghetto della Toremar che salpa tutto l’anno anche due volte al giorno (giovedì e venerdì), per arrivare a Capraia in due ore e mezzo. Se non ci sono impedimenti sono da preferire la corsa mattutina del martedì o quella pomeridiana del venerdì che impiegano circa un’ora in più. Prevedono infatti una deviazione con sosta al largo di Gorgona e consentono di gettare uno sguardo sull’isola penitenziario, sorella minore di Capraia, che ora è possibile visitare, ma solo con escursioni guidate di poche ore prenotate in largo anticipo.

20141006_capraia_faro_470x3

Arrivati poi a destinazione, anche di pomeriggio, c’è tutto l’agio per “prendere le misure” di Capraia Porto, per rifornirsi di mappe e informazioni nel nuovo ufficio del turismo, e per sistemarsi nell’unico campeggio dell’isola (aperto da maggio a fine settembre), situato a poche centinaia di metri dal molo d’attracco: la sosta e il pernottamento in libertà di fatto non sono consentiti dal regolamento del parco. Eravamo già stati sull’isola con il camper, ma sostando liberamente, in un mite inverno dei primi anni ‘90, quando tra notevoli polemiche il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano era stato appena istituito e la colonia penale dismessa. Poco è cambiato nel paesaggio, se si escludono le nuove costruzioni che hanno riguardato principalmente la sistemazione del porto, e il generale maquillage cui è stato sottoposto il costruito, compreso il Forte San Giorgio, l’imponente castello del borgo.

Non altrettanta cura hanno invece ricevuto gli edifici carcerari, un corposo patrimonio di immobili e opere di bonifica abbandonati a sé stessi. Lo denunciava già Fernando Mugnano, l’ultimo direttore del penitenziario che incontrammo per caso la volta scorsa. «Capraia era tutto un giardino e la stanno mandando in malora» lamentava con profondo rammarico ricordando il lavoro appassionato dei “suoi” carcerati e la convivenza fattiva con i residenti. Partendo dal campeggio un paio di buone scarpe da trekking è l’ideale per andare in giro. Se si esclu- dono i due chilometri circa di strada tra Capraia Porto e il borgo alto, percorsa quasi esclusivamente da un bus navetta e da altri mezzi di servizio, non resta che muoversi a piedi: per bighellonare lungo il molo, per recarsi in paese sulla vecchia mulattiera (15 minuti) o sull’antica strada ipotizzata di epoca romana che aggira lo stesso campeggio (20 minuti), per raggiungere l’unico stabilimento balneare attrezzato che sta nella rada del porto sotto la torre, o per andarsene a prendere il sole in una delle poche calette accessibili dall’alto.

Si cammina soprattutto per esplorare l’interno, calcando per lo più i sentieri tracciati e pavimentati proprio dai reclusi della colonia penale. Ma prima, se i venti lo consentono e se si riesce a formare un gruppo di visitatori, s’impone il giro dell’isola in barca che le agenzie autorizzate reclamizzano vi stosamente e che solitamente si compie in senso orario. È un’esperienza istruttiva, che in un paio d’ore svela i segreti geologici di Capraia: non solo forme e colorazioni delle rocce stratificate da diverse eruzioni vulcaniche, ma anche sorgenti di acqua perenni, preziosa risorsa per i pescatori, sciare laviche ossidate dalle piogge, grotte dai nomi fantasiosi dove gioca la risacca; e faraglioni, istmi, promontori che riconoscere poi da terra è tutta un’altra soddisfazione.

Pinne e scarponi

Per cominciare viene voglia di imitare quei rari bagnanti che ci salutano distesi sugli scogli di Cala San Francesco appena superata la Punta del Faro, del Bagno Torre proprio alla base del castello o, più oltre, di Cala Zurletto e Cala del Ceppo. Più facile da terra arrivare alle prime due insenature, ma occorre un po’ di allenamento per riuscire in un solo giorno a mettere i piedi in acqua nelle altre due. Le raggiungono sentieri ben tenuti e protetti da staccionate, che s’innestano alla strada vicinale del Semaforo, appena superato il pianoro dell’eliporto a monte del paese. Lo stesso pianoro, proteso in lieve pendenza fino al terrazzo panoramico di Punta Bellavista, è anche lo snodo di tutte le escursioni verso il centro e il sud dell’isola. Uscendo dal campeggio si può tuttavia evitarlo e guadagnare tempo se si prende a sinistra il sentiero coincidente con l’antica traccia romana fino al ponte di pietra, da dove si defila per tagliare in diagonale il Vallone del Porto e immettersi sulla suddetta strada vicinale più o meno a metà tra l’attacco del sentiero Reganico (che si collega alla discesa dello Zurleto) e il bivio per Cala del Ceppo.

Proprio da questo bivio, nella direzione opposta al mare, il sentiero acciottolato Le Mandrie contornato e a volte sommerso dalla macchia mediterranea s’avvia sulle alture occidentali verso due delle mete clou di Capraia: il Semaforo di Punta del Trattoio e lo Stagnone (o Laghetto) di Monte delle Penne. Data la lunghezza complessiva e le asperità di alcuni passaggi, che tra andata e ritorno impegnano per ciascuna meta da tre a quattro ore, è consigliabile programmare due diverse uscite anche a costo di ripercorrere il tratto iniziale: lo splendore del paesaggio, l’allegria dei corbezzoli e le eccezionali vedute all’infinito non vengono mai a noia. Tornati al campo e rinfrancati da una doccia calda, si è pronti anche per affrontare escursioni gastronomiche nei non rari ristoranti del porto e del paese che restano aperti tutto l’anno.

Delle due escursioni, la più faticosa salita al Semaforo ripaga con eccezionali panorami a picco sulla costa e sullo scoglio della Peraiola. Ma non è da meno il belvedere lambito dal sentiero dello Stagnone, una piccola e sognante radura che affaccia su Cala del Fondo e da dove quasi si tocca la costa settentrionale della Corsica. Può invece deludere, dopo un commovente tuffo nelle praterie di erica e rosmarino, l’arrivo allo Stagnone, unico lago naturale di tutto l’Arcipelago Toscano, che in particolari condizioni climatiche si prosciuga e s’ammanta di asfodeli. Dal lago, anziché tornare sui propri passi si può proseguire verso Monte delle Penne e quindi Monte Castello fino a incrociare gli sterrati dell’ex penitenziario che chiudono l’anello in discesa a pochi metri dal campeggio. Una terza uscita in gran parte sul tragitto comune delle precedenti, ma più impegnativa (da 5 a 6 ore a/r), conduce per due diverse vie alla Piana dello Zenobito e all’omonima torre genovese del XVI secolo, sulla punta più meridionale dell’isola. Ma il giro in barca ci ha già regalato tali immagini della torre dietro il sipario infuocato di Cala Rossa che non ci turba rimandare la scarpinata a un’altra occasione.

Non rinunciamo invece a esplorare le alture settentrionali che sovrastano il porto, dove la colonia penale aveva impiantato le sue strutture (oltre ai laboratori artigiani ricavati in paese nell’ex convento francescano) e aveva intrapreso una colossale opera di terrazzamenti per le attività agricole. La carta dei sentieri segnala due ore e mezzo tra andata e ritorno, occorre preventivarne almeno quattro includendo il pranzo al sacco in uno dei punti panoramici assolati che si intuiscono dal basso. Complice il bel tempo, l’escursione si rivela anche un viaggio nella memoria. Tra le costruzioni fatiscenti, gli attrezzi abbandonati e divorati dalla ruggine, i muretti a secco – monumento alla pazienza e alla speranza – ora sopraffatti dalla macchia, vaga inquieto il passato prossimo di vite perdute e in qualche modo ritrovate.

L’escursione non pone difficoltà, a parte la lunghezza e qualche strappo in salita. Si snoda quasi interamente lungo le strade ancora carrabili del penitenziario con varie diramazioni verso il carcere dell’Aghiale, la casa del sovrintendente, gli alloggi delle guardie, le stalle parzialmente riattivate dall’azienda agrituristica Valle in località Porto Vecchio. Da qui si raggiungono i belvedere di Monte Capo e della più lontana Punta della Teglia (3 ore a/r). Ma il nostro itinerario si conclude poco più in alto all’ovile e al casale della Mortola, da dove un altro sentiero si spinge tra le falesie di Punta Dattero (1.30 ore a/r). Poi si ripercorre in discesa la strada dell’andata, avendo per fondale l’immagine dei terrazzamenti incolti che rende più mesto il rientro; come mesto è il tramonto che pian piano s’immerge nella foschia e mesto è il pensiero della partenza che s’avvicina. 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio