Crete, miniere e castagne

Un weekend d’autunno sul versante senese del monte Amiata tra abbazie, terme e antiche rocche che dominano il paesaggio delle Crete

Indice dell'itinerario

Roberto ha ottant’anni e una stretta di mano che non si dimentica. Accoglie i visitatori del Museo Minerario di Abbadia San Salvatore e li accompagna nelle sale espositive ricche di strumenti, oggetti, fotografie e documenti, raccontando la storia della dura vita nelle miniere di mercurio dell’Amiata. E di questa storia lui conosce a fondo tutti i segreti, perché ha lavorato trent’anni sotto terra proprio qui, dove oggi fa la guida insieme ad altri ex minatori. Tutto ebbe inizio nella seconda metà dell’800, quando nel territorio del Monte Amiata furono scoperti enormi giacimenti di cinabro, il minerale rosso da cui si ricava il mercurio, noto anche come argento vivo, usato in vari strumenti di precisione oltre che nel settore elettrico ed elettronico. Ciò comportò un profondo cambiamento nel tessuto economico e sociale della zona, trasformando contadini, pastori e artigiani in minatori, garantendo loro un reddito migliore anche se al prezzo di un lavoro durissimo e nocivo per la salute. La prima miniera ad aprire fu quella del Siele nel 1866, cui seguirono gli impianti delle Solforate, del Cornacchino, del Morone e di Abbadia San Salvatore, che iniziò l’attività estrattiva nel 1899 e divenne ben presto un colosso del settore a livello internazionale, arrivando nel 1920 a una produzione di mercurio pari al 25 percento di quella mondiale.

Poi, dopo alterni periodi di crisi e di ripresa, nel 1972 la miniera di Abbadia chiuse i battenti e oggi, grazie a un intelligente lavoro di recupero delle strutture, è un bel museo frequentato ogni anno da migliaia di persone. Oltre alla visita delle sale espositive, ospitate nell’antico edificio della Torre dell’Orologio, molto interessante è l’escursione a bordo di un trenino all’interno di una delle gallerie di estrazione, dove sono stati riprodotti i vari ambienti di lavoro dei minatori. Attualmente il turismo è una voce importante per l’economia del territorio, caratterizzato da borghi pittoreschi dominati dalla vetta arrotondata dell’Amiata, antico vulcano ricoperto da foreste di faggi e castagni. Qui per secoli la gente è stata legata a doppio filo con il bosco, dal quale ricavava legna, carbone e soprattutto castagne, dalla cui farina otteneva la polenta o Pan di Legno – come veniva chiamata un tempo – che sino a pochi decenni fa ha rappresentato un alimento fondamentale per gli amiatini. Ancora oggi il legame fra i prodotti del bosco e la cucina tradizionale è più saldo che mai. Le castagne e i funghi dell’Amiata sono famosi per la loro qualità e ogni anno, in autunno, numerose sagre sparse nei vari paesi del territorio ne festeggiano la raccolta e offrono l’opportunità di gustarli nei piatti tipici locali.

Nei weekend di ottobre, quando il clima è fresco e la natura si tinge di nuovi colori, tranquilli borghi di montagna si trasformano in un gioioso tripudio di odori e sapori, con i centri storici pervasi dall’inconfondibile profumo di porcini e caldarroste cotte su enormi bracieri. Oltre agli stand gastronomici, dove acquistare prodotti tipici come i dolci a base di castagne, funghi, marmellate e miele della zona, non mancano mercatini dell’antiquariato, mostre micologiche, botteghe aperte con artigiani al lavoro, esposizioni di artisti locali e intrattenimenti musicali. Tutti questi eventi possono essere un motivo in più per visitare i paesi dell’Amiata proprio nella magica atmosfera autunnale, quando la bruma mattutina rende ancor più affascinante il paesaggio, e scoprire che quelle gastronomiche non sono certo le uniche attrattive di un ter- ritorio ricco di storia, arte e natura.

L’abbazia di re Rachis

Cominciamo questo piccolo viaggio proprio da Abbadia San Salvatore, che oltre a ospitare il Museo Minerario offre un centro storico medioevale cinto da antiche mura che conservano ancora un paio di torri e cinque porte. All’interno si apre un dedalo di viuzze con alcune piazzette fra cui quella di Santa Croce, dove si affacciano l’imponente chiesa omonima – edificata nel 1221 e ristrutturata a inizio Ottocento dopo un incendio – e il Palazzo del Potestà con torre annessa (visitabile solo su richiesta al parroco). Ma il vero gioiello storico-architettonico del luogo è l’abbazia di San Salvatore, distaccata dal vecchio borgo, che risale forse all’anno 762 e divenne ben presto il centro religioso più importante della Toscana meridionale, anche per la sua vicinanza alla Via Francigena che da Canterbury conduceva i pellegrini a Roma. Il complesso troneggia sul grande Piazzale Michelangelo, dove nei weekend della Festa d’Autunno trovano posto i grandi bracieri per le castagne e i vari stand con prodotti tipici. L’attuale chiesa, in stile romanico e con pianta a croce latina, fu consacrata nel 1035 ed è fiancheggiata da due torri campanarie, una merlata alta 24 metri e l’altra incompiuta.

Gli splendidi affreschi della cappella del Santissimo Salvatore, opera del pittore amiatino Francesco Nasini, raffigurano la Leggenda di Rachis, il re longobardo che secondo la tradizione avrebbe fondato l’abbazia. Quest’ultima, che nel corso dei secoli passò dai monaci benedettini ai cistercensi e venne più volte rimaneggiata, è stata in anni recenti completamente restaurata e comprende una bellissima cripta sostenuta da trentacinque colonne di svariate forme e resa ancor più affascinante da una suggestiva illuminazione. È presente anche un piccolo museo che custodisce vari oggetti sacri, fra cui una copia anastatica della gigantesca Bibbia Amiatina (pesa circa 50 chili), scritta fra il VII e l’VIII secolo, la cui versione originale si trova presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.

Piancastagnaio
Piancastagnaio

S eguendo le indicazioni per la vetta dell’Amiata, che s’innalza fra la Maremma, la Val d’Orcia e la Val di Chiana, da Abbadia si sale per una manciata di chilometri lungo la bella strada che si snoda nella foresta, con gli alberi talvolta seminascosti dalla nebbia che rende il paesaggio quasi surreale. Arrivati al parcheggio, una breve camminata conduce a una grande croce metallica e, poco oltre, alla statua della Madonna degli Scouts, eretta nel 1961 proprio in cima alla montagna (1.738 m). Vi si può giungere anche con il sentiero detto della Scalettaia, che dalla provinciale più in basso (da dove partono diverse belle passeggiate nella foresta) sale fin quassù per un chilometro, coprendo un dislivello di 154 metri e risultando piuttosto impegnativo nell’ultimo tratto.

Enormi massi trachitici ricoperti di muschio e sparsi nel bosco testimoniano il movimentato passato vulcanico della montagna, dalla cui sommità nelle giornate limpide si apre un panorama che spazia dal massiccio del Gran Sasso al Terminillo, dai Monti Sibillini al Lago Trasimeno e a quello di Bolsena, fino alla costa tirrenica e all’Argentario. Situato a 800 metri di altitudine e giusto a un tiro di schioppo dal confine laziale, Piancastagnaio è un altro bel borgo medioevale del Senese, dominato da una possente Rocca Aldobrandesca del XII secolo, di pietra lavica locale, dal cui mastio si gode una splendida vista a tutto tondo sul territorio circostante. La fortezza, che nel 1400 passò nelle mani dei Senesi e in seguito venne utilizzata come prigione dai marchesi Bourbon dal Monte, è visitabile tutto l’anno e ospita spesso mostre temporanee.

A pochi passi dal castello ci sono la chiesa e l’oratorio di San Filippo Neri, che conserva una tela settecentesca con l’Apparizione della Madonna col Bambino a San Filippo Neri attribuita al pittore amiatino Giuseppe Nicola Nasini. All’interno del paese spiccano il Palazzo del Potestà, l’antico Palazzo del Comune e la pieve di Santa Maria Assunta, che risale al 1188 e custodisce un fonte battesimale del XVI secolo, un altare ligneo barocco, un pulpito in pietra del 1607 e un affresco del 1693 raffigurante la Pietà con i Santi Francesco e Rocco di Francesco Nasini. Notevole il Palazzo Bourbon del Monte, imponente edificio di architettura tardorinascimentale costruito nel ‘600 dal marchese Giovan Battista e attualmente non in buone condizioni. Ogni anno, tra la fine di ottobre e i primi di novembre, la tranquillità del borgo viene scossa dalla gioiosa atmosfera del Crastatone, una delle più antiche manifestazioni dedicate alla castagna. La festa, il cui nome deriva da crastata che nel gergo locale vuol dire caldarrosta, celebra la fine del raccolto del prezioso frutto e l’approssimarsi dell’inverno.

Tra i borghi della Val d’Orcia

Restando in tema di eventi gastronomici, il piccolo centro di Vivod’Orcia, frazione di Castiglione d’Orcia, non ha nulla da invidiare ai paesi più grandi del territorio amiatino: la sua Sagra del Fungo e della Castagna è famosa in tutto il circondario per i piatti preparati per l’occasione dalle massaie del paese, che hanno fama di essere cuoche eccellenti.

Alle tante attrazioni culinarie si unisce la musica eseguita con strumenti tradizionali e il cosiddetto Palio del Boscaiolo, una simpatica gara fra i rappresentanti dei due rioni di Caselle e Pian delle Mura (sei concorrenti ciascuno) che hanno a disposizione un tronco e due grandi seghe. La sfida consiste nell’ottenere, nel minor tempo possibile, sei ceppi dove sedersi e sei rondelle di legno dove mangiare la polenta preparata nel frattempo dagli stessi partecipanti. Viene inoltre allestita una mostra micologica lungo un bel percorso storico-naturalistico, che scende in mezzo al bosco e seguendo il torrente Vivo porta all’anti- co borgo, detto anche Contea. Nato intorno all’anno Mille come sede dell’Eremo Camaldolese del Vivo, il villaggio subì profonde trasformazioni nel ‘500 quando la famiglia dei conti Cervini di Montepulciano realizzò varie opere che sfruttando le acque del torrente diedero un nuovo impulso all’economia locale: mulini e strutture per la lavorazione del rame, del ferro, delle olive e del legname, ora ridotte a ruderi tra la vegetazione.

In ottimo stato di conservazione appare invece il monastero di San Marcello, dell’ordine camaldolese, che venne acquistato nel 1538 dai Cervini e ha oggi un aspetto che differisce dall’orientamento originario. La chiesa, anticamente detta di San Pietro, venne consacrata nel 1726 ed è dedicata al pontefice Marcello II (Marcello Cervini), eletto il 9 aprile 1555 e morto nemmeno un mese dopo. Anche la vicina Campiglia d’Orcia, graziosa località medioevale che nel XII secolo fu dominio dei Visconti (una delle più note famiglie aristocratiche di Siena), ospita in autunno la sua sagra dei sapori. Si chiama Festa del Marrone, ha luogo l’ultima domenica di ottobre ed è chiaramente legata a uno dei più pregiati tipi di castagna dell’Amiata. Oltre all’aspetto gastronomico, la manifestazione prevede la gara fra i tre rioni del paese (Agitati, Borgassero e Dentro) che allestiscono coreografie a tema e organizzano sfilate in costume, con i visitatori chiamati poi a votare il rione preferito.

Una località che invece è famosa per altri motivi è Bagni San Filippo, poco distante dalla Via Cassia, conosciuta fin dall’antichità per le sue calde acque termali, ricche di zolfo e carbonato di calcio, che scorrono nel bosco fra cascatelle e bianche formazioni calcaree. Oltre agli stabilimenti a pagamento si può accedere liberamente a tutta l’area del Fosso Bianco seguendo un facile sentiero ben segnalato che si stacca sulla destra dalla strada principale del paese, di fronte a un bar. La breve passeggiata, superate le prime pozze dove già ci si può immergere, segue il corso del torrente e conduce alla cosiddetta Cascata della Balena Bianca, un enorme e spettacolare blocco di calcare che si staglia nel verde cupo del bosco.

Bagni San Filippo - Balena Bianca
Bagni San Filippo – Balena Bianca

Non molto distante, la rupe vulcanica di Radicofani s’innalza come un’antica sentinella sulle terre della Val d’Orcia (dal 2004 patrimonio mondiale dell’Unesco) dominando un territorio di colline argillose e calanchi compreso tra i fiumi Paglia e Orcia. La sua importanza, fin dal Medioevo, era legata all’invidiabile posizione strategica, proprio a ridosso dell’antica Via Francigena e del confine tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio. Il toponimo del borgo, probabilmente sorto sulle rovine di un antico insediamento etrusco, pare derivi da Rachishofen, che in lingua germanica vuol dire territorio del re Rachis, il monarca longobardo presunto fondatore dell’Abbazia di San Salvatore.

Il villaggio, su cui troneggia dall’alto una possente fortezza risalente probabilmente al 973, fu sotto il controllo dei monaci amiatini fino alla metà del XII secolo, quando entrò nei possedimenti di Papa Eugenio III. Poi, dopo alterne vicende, Radicofani passò sotto il Granducato di Toscana e vi rimase fino all’Unità d’Italia. La rocca, sovrastata da un imponente torrione ricostruito nel Novecento, si può raggiungere a piedi in due modi: con il sentiero delle scalette, più breve ma un po’ ripido, che parte dal centro storico e sale in mezzo al bosco, oppure con una più facile sterrata (asfaltata all’inizio) che inizia di fronte al Palazzo Pretorio, attuale sede del Comune.

Il castello è visitabile e all’interno della torre, dalla cui cima il panorama è assolutamente grandioso, il Museo del Cassero custodisce reperti dall’epoca etrusca al ‘500, nonché documenti, fotografie e plastici sulla storia e sul restauro della fortezza. Alla fine del ‘200 queste mura ospitarono Ghino di Tacco, leggendario bandito che occupò la rocca per farne la base delle sue imprese di brigante gentiluomo, menzionate perfino da Dante nella Divina Commedia e da Boccaccio nel Decamerone; immortalato in una statua che si erge nei giardini panoramici del paese.

Tra le viuzze dell’abitato sottostante spiccano le chiese di San Pietro – uno dei più interessanti esempi di architettura romanico-gotica della Val d’Orcia – e di Sant’Agata, risalenti rispettivamente al XIII e al XVI secolo, che conservano importanti opere di Andrea della Robbia. E a proposito di arte, a fine Ottocento qui a Radico- fani soggiornò per un paio d’anni Gino Severini, famoso pittore e firmatario del Manifesto Futurista. Un po’ fuori dal borgo, lungo l’antico percorso della Via Francigena si trova l’imponente struttura della Posta Medicea – oggi in stato di abbandono – sorta nel ‘500 come casino di caccia di Ferdinando de’ Medici e poi divenuta locanda e stazione di posta. Giusto di fronte si può ammirare la bella fontana fatta costruire nel 1603 per dissetare cavalli e viaggiatori.

Nella villa sostarono personaggi illustri come il filosofo francese Michel de Montaigne, i papi Pio VI e Pio VII, l’imperatore Giuseppe II d’Austria, nonché lo scritto- re inglese Charles Dickens. Prima di ripartire, un ultimo sguardo va al morbido e rassicurante profilo dell’Amiata, da sempre guardiano di questa terra attraver- sata da santi, pellegrini e briganti. Oltre la vetta, il ver- sante nascosto della montagna si allunga a ovest verso Grosseto e la Maremma, impreziosito da borghi come Castel del Piano, Santa Fiora e Arcidosso, paese nata- le del mistico David Lazzaretti che dette vita alla comunità religiosa del Monte Labbro. Altri tesori da scoprire con calma nel nostro prossimo, immancabile viaggio in quest’angolo incantato di Toscana. 

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