Benvenuti in Paradiso

Ai piedi dell’unica vetta sopra i 4.000 metri interamente inclusa in territorio italiano, la Valsavarenche offre la possibilità di dedicarsi a ogni tipo di attività outdoor invernale, unendo allo sport la scoperta di una straordinaria varietà faunistica.

Indice dell'itinerario

La valle ammantata di neve è immersa nella quiete più totale, nell’assoluta mancanza di rumori generati da esseri umani. Si avvertono solo gli echi rimbombanti delle cornate degli stambecchi, che in queste giornate più fredde combattono per amore. La Valsavarenche è famosa tra gli appassionati di wilderness soprattutto per questo. Per la sua coltre ovattata che da novembre ad aprile regala un incredibile periodo di calma a un luogo non disturbato da impianti di risalita, folle da circo bianco e discese attrezzate. Durante il lungo inverno, solo sessanta coraggiosi abitanti riescono a sopravvivere nel territorio comunale: anche messi tutti insieme, non possono certo essere troppo rumorosi. Questa è la valle con l’angolo più stretto della regione, dove il sole batte per poche ore durante il giorno e l’anno è scandito, secondo il detto popolare, da nove mesi di freddo e tre di gelo.

Ma è anche l’unica valle che può vantare di essere del tutto compresa nel Parco Nazionale del Gran Paradiso e dove si possono toccare con mano gli effetti benefici di novant’anni di protezione ambientale dello Stato e prima ancora di altri sessantacinque in cui, come riserva privata del re, vigeva il divieto di caccia. Grazie a tanta tutela, nell’area transitano linci e lupi solitari. Ma il vero successo, un vero must per i wildwatcher di tutta Europa, sono gli ungulati alpini. Gli stambecchi – arrivati al limite dell’estinzione all’inizio del XIX secolo e praticamente scomparsi sul resto delle Alpi – si sono riprodotti e hanno riconquistato il territorio, raggiungendo una popolazione di circa 2.700 esemplari. All’arrivo della neve, dopo che si sono accapigliati sulle cime per il corteggiamento, scendono in paese, per nulla intimoriti dalla presenza umana non avendo più memoria di attacchi.

Non è raro poterli osservare direttamente dai finestrini del camper, parcheggiato lungo la via di un borgo. Anche i camosci, che non hanno mai udito uno sparo da generazioni, si fermano a brucare in mezzo alla strada e talvolta si fatica a farli spostare. Uscendo in escursione con le guide del parco si scoprono notizie interessanti sulla biologia e sulla storia di questi preziosi animali. Si impara ad esempio che restano digiuni tutto l’inverno, ingerendo solo muschi e licheni per far sopravvivere la loro flora intestinale, e che grazie ai grassi accumulati affrontano le fatiche del corteggiamento e dell’accoppiamento.

O che le piccole macchie tra il rosso e l’arancione che appaiono sulla neve non sono le prove sanguinarie di una predazione, ma schizzi di urina degli esemplari in calore. E ancora, si viene a sapere che lo stambecco non è si è affatto evoluto per i climi freddi e nevosi. Studiando le impronte con i consigli degli esperti, si vede bene che non ha lo zoccolo ampio e palmato del camoscio, ma sprofonda nel manto bianco sino alla pancia, avanzando a gran fatica se non è abbarbicato su una parete. È infatti originario dei deserti rocciosi dell’Asia, ed è riuscito ad adattarsi alle vette pietrose delle Alpi non grazie all’abitudine alle fredde temperature, ma per la capacità di resistere alla siccità. Anche se non sembra affatto, soprattutto in pieno inverno, la Valsavarenche ha un clima piuttosto secco: ruscelli e torrenti sgorgano ovunque, ma il suolo è abbastanza arido per il dilavamento sulla roccia e quindi le piante di cui si nutrono gli erbivori sono estremamente povere di liquidi.

Centro visite parco Degioz
Centro visite parco Degioz

Il massiccio del Gran Paradiso, la cui vetta è visibile solo dal punto più alto della conca, protegge la Valsavarenche dai venti più gelidi. I malgari potevano quindi rimanervi tutto l’anno, chiudendosi nelle case di pietra e legno dai tetti di lose, tegoloni di roccia che venivano estratti proprio nella cava di Bois de Clin, all’ingresso della valle. L’intera copertura era pensata per reggere il peso della neve che, gelando, fungeva da strato isolante. I pastori portavano con sé una stufa, un letto e una vacca, che dormiva giusto affianco, con la coda legata e il vitellino vicino a lei. Passavano i mesi bui a intagliare legno e per riscaldarsi bevevano il Génépy, il liquore che si ottiene dall’omonima artemisia, ormai quasi in via di estinzione. Un idillio pastorale che ancora sopravvive nell’allevamento di “capre felici” di Annina, che cresce le sue bianche valdostane rigorosamente brade, tanto libere da non essere legate neppure in stalla e nemmeno per la mungitura. Le femmine della Chevrerie non sono separate né dai capretti, che cercano coccole e carezze dei visitatori come gattini di casa, né dai caproni che scorrazzano indisturbati nel recinto.

Dal loro latte Anna produce formaggi aromatizzati alle noci, alle mandorle, allo zafferano, alle erbe di montagna, ai semi di papavero e ancora al sesamo, al curry e al finocchio selvatico. La qualità è tale da aver fatto vincere numerosi riconoscimenti all’azienda, inclusa nella lista di quelle consigliate a chi segue il metodo Kousmine. Ma un pericolo si profila all’orizzonte: i cambiamenti climatici stanno anticipando le fioriture delle erbe più nutrienti – pare addirittura di un mese – tanto che i piccoli ungulati che nascono a giugno rischiano di essere svezzati quando il cibo più adatto a loro è quasi finito. I guardaparco dicono che la popolazione di stambecchi è stabile, ma che non c’è crescita delle nuove generazioni. Il più bell’esemplare delle Alpi, che ha saputo adattarsi dal caldo deserto al clima più freddo d’Italia, saprà modificare di nuovo il suo comportamento? Riuscirà a ripetere il miracolo che lo ha portato dall’orlo dell’estinzione all’espansione in tutta Europa?

Sulle tracce degli stambecchi

Scuola sci di fondo le Pont
Scuola sci di fondo le Pont

La Valsavarenche deve il suo nome al piccolo torrente Savára, che nel corso dei millenni ha scavato una stretta gola partendo dalle cime glaciali del massiccio del Gran Paradiso, dal Lago Nivolet verso la Dora Baltea di Aosta. Le strette pareti si allargano appena a metà strada, a 1.540 metri di altitudine, nel minuscolo altopiano dove oggi sorge Dégioz, il piccolo capoluogo, che appare sempre deserto anche se è abitato tutto l’anno. La valle è stata per più di un secolo l’ingresso della riserva di caccia del re e ora costituisce una grande risorsa per gli studiosi dell’ambiente. È il caso dei documentaristi francesi Eric e Anne Lapied che, alla ricerca di immagini di stambecchi e camosci in amore, nel 2008 hanno affittato una casetta a Tignet, piccola frazione appena sulla dorsale del monte che con l’adiacente Le Nex (quasi non si capisce che sono due paesi) è uno degli abitati che meglio conserva l’architettura tradizionale valdostana. Dal villaggio partivano armati di cinepresa per immortalare i preziosi ungulati, non sulle lontane e inaccessibili vette, ma proprio dietro casa, dove pascolavano tranquilli.

Il 15 dicembre, insieme agli altri cinquanta residenti della valle, rimasero bloccati dalla più grande valanga che si ricordi: la loro storia di sopravvivenza Viaggio all’inizio dell’inverno diventò un successo e si aggiudicò alcuni tra i più prestigiosi premi cinematografici internazionali. Ma non bisogna essere grandi esperti di animali per scorgere le corna inconfondibili o il muso simpatico delle star della pellicola, che gironzolano indisturbate per le viuzze dei due borghi. Occorre invece fare attenzione agli avvisi di valanga, perché il rischio è spesso elevato a causa delle pareti ripide e della grande quantità di neve. Anche l’area di sosta attrezzata a Dégioz può essere sbarrata per questo motivo e, in tal caso, si può comodamente parcheggiare davanti al Comune o al centro visite del parco.

Escursione all’alpeggio di Pessey.
Escursione all’alpeggio di Pessey

Qui un’esposizione sui predatori permette di reperire informazioni sui grandi carnivori, linci e lupi, che sono ritornati da poco nell’area protetta. Presso la struttura si può prenotare la partecipazione a una delle numerose gite con le guide autorizzate. Proprio dalla frazione L’Eau Rousse di Dégioz parte una delle più belle escursioni con le racchette di tutto il parco, al casotto di Orvieille, molto amato dal re (l’itinerario è descitto con dovizia di particolari nel sito Internet ufficiale del parco, www.pngp.it); poco fuori dal paese, in località Payel, ci sono tre piste – con un piccolo impianto di risalita – dove si può provare la novità dello snowx, la discesa con una sorta di bicicletta a slitta. Il primo tratto della valle, invece, da Chevrère sino al capoluogo, è famoso per le possibilità di arrampicata sulle cascate di ghiaccio, che spaziano da quelle adatte ai neofiti accompagnati da un istruttore a quelle per i climber più esperti (300 metri di salita con elevati gradi di difficoltà alpinistica).

Le colate, le grotte e le stalattiti di ghiaccio accompagnano il corso d’acqua per tutta la sua lunghezza e si possono godere anche dalla bella pista di fondo, omologata per le gare nazionali, che da Dégioz corre lungo i due lati del Savára per 7 chilometri e mezzo (su richiesta può essere illuminata per un paio di chilometri per escursioni notturne). Nel campo sportivo del capoluogo è allestita anche una bella pista di pattinaggio all’aperto, che certo non soffre il rischio di disgelo. Un’altra pista di fondo di circa 6 chilometri (sommando i tre livelli di difficoltà) si snoda nella piana assolata di Le Pont, ultimo centro abitato risalendo la valle verso il Gran Paradiso, a 2.000 metri di altitudine, dove ha sede la Scuola di Fondo.

Valsavarenche, trekking
Valsavarenche, trekking

Da qui partono anche alcune belle escursioni per le ciaspole, come quella all’alpeggio Pessey e inizia la strada – interamente coperta di neve, non accessibile con auto o camper – per l’alpeggio delle Meyes. Data la ripidità del versante della montagna, la pista forestale è considerata a rischio di valanghe: è necessario prendere informazioni sulla percorribilità dai guardaparco o al Comune. Il tracciato offre ottimi punti d’osservazione per camosci e stambecchi ed è assai pittoresco – rigorosamente muniti di torcia elettrica – addentrarsi nelle buie gallerie ricoperte di ghiaccio.

Il regno di ghiaccio

scalata d’imponenti cascate di ghiaccio
scalata d’imponenti cascate di ghiaccio

Ramponi, piccozze e corda. Un colpo con il braccio, un bel calcio con il piede e si procede verso l’alto. Per i neofiti, la prima volta su una cascata di ghiaccio può essere un’esperienza davvero elettrizzante. Non bisogna essere alpinisti provetti per vivere l’emozione di salire sulle colate gelate: sono sufficienti buoni scarponi da neve (non doposci), guanti impermeabili, cappello e abbigliamento invernale. In Valsavarenche, grazie al freddo e all’abbondanza di affluenti del Savára, c’è l’imbarazzo della scelta per le stalattiti create dalle temperature polari: verticali, strapiombanti, a grotta, a tetto. Cinquanta cascate censite e graduate per lunghezza e difficoltà, con un avvicinamento veloce, comprese quelle a cavolfiore o a forma di piccoli scalini tondeggianti, che sono alla portata dei principianti accompagnati da una guida.

Sarà l’istruttore che si occuperà di rendere sicura l’arrampicata, valutando lo stato della colata, assicurando i chiodi nel ghiaccio, rinviando la corda, noleggiando e preparando tutta l’attrezzatura. Agli altri non resterà che picchiare e scalciare, nemmeno troppo forte, per conquistare le cime più effimere della natura. Per informazioni sulle guide riconosciute si possono contattare il Comune (tel. 0165 905703, info@comune.valsavarenche.ao.it) o il centro visite del parco (Fondation Grand Paradis, tel. 0165 75301), entrambi situati in località Dégioz. 

Con le ciaspole all’alpeggio

un momento di relax in camper prima di uscire per una lunga passeggiata con le ciaspole
un momento di relax in camper prima di uscire per una lunga passeggiata con le ciaspole

Dal parcheggio di Le Pont, all’inizio delle case, si torna per pochi chilometri verso la valle camminando lungo la strada. In prossimità di una casetta di legno a sinistra (indicazione per l’hotel Genzianella), si entra nella valletta a destra dopo aver attraversato su asfalto la piccola forra. Si scende quindi seguendo sulla sinistra orografica il corso del torrente, procedendo verso valle sino a quando si arriva in vista dell’alpeggio di mezza montagna Pessey, villaggio ormai abbandonato che conserva esempi assai rappresentativi dell’architettura valdostana.

Qui si può iniziare a cercare un ponte naturale di ghiaccio per superare – aiutati anche dalle tracce degli animali selvatici, che sfruttano gli stessi passi gelati – il torrente Côte Savolère e le sue cascatelle. Le guide consigliano di tralasciare il ponte di legno che si avvista alla partenza: il sentiero estivo passa troppo a ridosso del monte, a rischio valanga. Superate le baite si prosegue verso valle nella neve fresca sino a un secondo ponte e all’Alpe Pravieux (stalla estiva), dove si trovano le indicazioni per il Rifugio Chabod – non raggiungibile d’inverno senza spiccate capacità alpinistiche – e per le Gordtzes du Terré, spettacolari forre che nella bella stagione sono attrezzate come percorso avventura. Sfruttando questo ponte per passaresull’altro versante si può risalire il torrente – dove è facile osservare il merlo acquaiolo – nel rado bosco sino al punto di partenza. 

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