Via Francigena: le tappe da Pontremoli a Roma

Il viaggio lungo la Romea sulle orme dei pellegrini del secondo millennio prosegue ridiscendendo la Toscana, per poi entrare nel Lazio e concludersi a Piazza San Pietro, suo termine naturale. Una tappa in cui il Medioevo trionfa nelle architetture dei borghi e sembra riemergere dalle pieghe dei sereni paesaggi collinari dell'Italia centrale

Indice dell'itinerario

Abbiamo interrotto l’itinerario della Via Francigena all’ingresso in Toscana. Proseguiamo per la seconda tappa del viaggio, ma se ti sei perso la prima parte la puoi trovare qui.

In Toscana

Lasciati l’Appennino e la Cisa, la Via Francigena oltrepassa Pontremoli e si dirige verso il Tirreno. Certo, il primo tratto lungo la valle del Magra non è eccezionale per chi va a piedi, ma raggiunta Aulla le cose iniziano a cambiare. Nella chiesa di San Caprasio, voluta nell’884 da Adalberto di Tuscia e restaurata di recente, una sorpresa attende i viaggiatori: qui sono infatti custodite le reliquie di un personaggio molto particolare, che non a caso è divenuto patrono di questo tratto della Romea.

Vissuto in odor di santità sull’isola di Lérins al largo della Provenza, non lontano da un monastero retto dal suo discepolo Onorato, secondo i cronisti Caprasio era “uomo di perfetta fede e piena austerità che Onorato e Venanzio chiamarono sempre padre; egli ancora oggi conduce sull’isola vita angelica. Sebbene il vostro amore abbia sinora ignorato il suo nome e la sua vita, sappiate che Cristo lo enumera tra i suoi amici…”.

Dopo la sua morte, intorno all’anno 430, le spoglie vennero trasferite sulla terraferma, giacché dal mare iniziavano ad affacciarsi i pirati saraceni, e infine arrivarono chissà come ad Aulla. Per secoli si pensò che quella del santo franco fosse una leggenda, ma durante gli scavi archeologici degli ultimi anni è venuta alla luce nell’abside una tomba con un reliquiario di stucco in cui erano contenute le ossa incomplete di un uomo che è stato identificato appunto con San Caprasio: i resti appartengono infatti a un individuo morto in età avanzata nel V secolo, che negli ultimi anni della sua vita si era nutrito soprattutto di pesce, crostacei e verdure.

Insieme alle case di Aulla, l’escursionista si lascia alle spalle anche la trafficata valle del Magra per salire prima a Bibola, poi a Vecchietto e da qui attraversare per boschi e colli le ultime montagne prima di Sarzana. Il percorso (che i pellegrini motorizzati copriranno in una ventina di minuti seguendo la statale 62) è molto bello e selvaggio, completamente isolato, e porta di colpo ad affacciarsi su un panorama che si apre verso il mare, con Portovenere all’orizzonte e la Versilia a sud.

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Verso Lucca

Quasi inaspettata nella sua serenità, nel silenzio delle sue chiese, nell’imponenza della fortezza Firmafede, Sarzana è però l’inizio di un tratto abbastanza spiacevole del cammino verso Roma. La Versilia fino a Massa è infatti un dedalo di strade asfaltate, autostrade e ferrovie che lasciano ben poco spazio alla bellezza (a parte gli scavi della città marmifera romana di Luni) e all’immaginazione.

Per fortuna, dopo Massa, il tracciato lascia la pianura per salire da Capanne al castello Aghinolfi di Montignoso, oltre il quale una lunga strada asfaltata scende verso Pietrasanta. Annunciata da una paffuta statua di Botero, che ricorda come sia frequentata da una folta comunità di artisti, è una cittadina piacevole e a misura d’uomo: sulla piccola piazza brilla il marmo della facciata della cattedrale di San Martino e delle sculture sparse sulla via, mentre nell’ex convento di Sant’Agostino merita una visita il chiostro.

Sempre a un tiro di schioppo dal mare, la Francigena percorreva le colline dell’interno (da non perdere qui è la deviazione verso la pieve di Valdicastello, paese natale di Giosuè Carducci) fino a Camaiore, dove si trova la chiesa dell’antica abbazia benedettina di San Pietro. Ancora colline verso Montemagno e Valpromaro, poi si scavalca la cresta a Piazzano per iniziare la discesa verso la valle del Serchio, in un ambiente isolato e tranquillo che termina di colpo a Ponte San Pietro dove si attraversa il fiume su un ponte trafficato e si raggiunge Lucca; chi va a piedi potrà seguire la pista ciclabile sulla riva, ma attenzione perché ogni tanto passano auto a tutta velocità.

Lucca era uno dei cardini della Francigena, come si intuisce dal numero di splendide chiese romaniche che la ornano. Nell’epoca d’oro della strada – cioè nella seconda metà del ‘200, quando qui fiorirono anche le industrie della seta e delle concerie – a Lucca erano attive almeno tredici strutture dedicate all’accoglienza dei pellegrini. Se San Michele è spettacolare, con la facciata due-trecentesca ornata da quattro ordini di loggette, la chiesa più importante per i viandanti della Romea era però il duomo di San Martino, al quale era annesso un ospitale voluto da Beatrice, madre di Matilde di Canossa.

La chiesa custodiva, allora come oggi, il crocefisso del Volto Santo, realizzato fra il 1100 e il 1300, che raffigura il Cristo in vesti orientali: secondo la tradizione era stato scolpito in Terrasanta da Nicodemo, per poi giungere sulla costa di Luni nell’VIII secolo su una nave priva di nocchiero. All’esterno della chiesa, sotto il portico, si trova un labirinto scolpito, simbolo medioevale delle difficoltà e delle possibilità di smarrirsi proprie del pellegrinaggio verso la Terrasanta.

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Da Porcari a Galleno

Incontro all’Arno la via si snodava tra aree paludose e tratti di foresta. Dopo Capannori si raggiungono, vicino a un cimitero, le rovine della Badia di Pozzeveri, presso Porcari. Ancora qualche chilometro per Altopascio, paesino il cui centro storico è nato nelle strutture del più grande ospitale dedicato al pellegrinaggio in Toscana. Una tradizione di accoglienza che non si è persa: il Comune ha infatti attrezzato una costruzione a foresteria per i camminatori e la concede gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta.

Nel centro dell’abitato, che ricalca le forme dell’antico ospizio, si trova la chiesetta dedicata ovviamente a San Jacopo, sul cui campanile era la campana della Smarrita: in passato, tutte le sere dopo il tramonto veniva suonata per un’ora per indicare la via ai pellegrini sperduti tra le nebbie dei paduli e le colline delle Cerbaie. Se poi la notte era tetra e procellosa sul campanile si accendeva una luce che, come un faro, indicava ai viaggiatori il percorso.

Oltrepassata Galleno, dove sono stati sistemati alcuni tratti della via medioevale indicati da cartelli turistici, si scavalca il canale che esce dal Padule di Fucecchio su un ponte mediceo e poi si sale a Fucecchio, dove a giudicare dalle lapidi murate nelle vie del centro, la maggior parte degli uomini illustri degli ultimi due secoli è appartenuta alla famiglia di Indro Montanelli. Più avanti, anche se l’attraversamento su un ponte di cemento affollato di camion non è certo romantico, finalmente c’è l’Arno, l’ultimo grande fiume da attraversare sulla via per Roma.

Da San Miniato ad Abbadia Isola

La salita verso San Miniato è ripida, ma il panorama dal paese (e soprattutto dall’alto della torre del Barbarossa con i suoi lunghi gradini) è grandioso. Oltre a visitare il duomo e le vie del centro, c’è anche la possibilità di dormire nel magnifico convento di San Francesco, enorme e ormai quasi spopolato per il sempre minor numero di frati che lo abitano.

Tra colli e strade secondarie, con qualche serio problema di orientamento dovuto anche a segnaletiche differenti, la Francigena raggiunge prima la pieve di Coiano, poi la seconda pieve di Corazzano: il paesaggio è quello più classico delle cartoline toscane e in questo tratto aumentano anche gli stranieri che viaggiano a piedi. Gambassi Terme è una tappa sulla via di San Gimignano, che appare e scompare sull’orizzonte con la sua selva di torri.

A San Gimignano sostò Sigerico, che chiama il paese Sancte Gemine e vi fece la sua diciannovesima tappa nel viaggio da Roma a Canterbury; il centro crebbe con la fondazione di una serie di monasteri e ospedali per i pellegrini. Anche qui non manca una traccia del più celebre degli ordini militari del Medioevo: l’isolata chiesetta di San Jacopo, a due passi dalla cinta di mura più esterne, fu fondata secondo la tradizione dai Templari nel XIII secolo e mostra un portale e un rosone in stile romanico pisano.

La confusione turistica di San Gimignano lascia il campo alle colline di Santa Lucia e Bibbiano. Dopo un breve tratto sulla provinciale si raggiunge Colle Val d’Elsa, con il paese basso e l’antico borgo arroccato collegati da un avveniristico ascensore pubblico scavato nella roccia. Oltre al paese, e al suo eccezionale museo che celebra il grande archeologo Bianchi Bandinelli, tutta la zona di Colle Val d’Elsa era ricca di chiese e pievi come la bella e isolata Badia a Coneo, dove sono la pieve dei santi Ippolito e Cassiano all’interno di una serie di costruzioni agricole, e l’isolata chiesa dell’Abbazia di Santa Maria, eretta dai Vallombrosani, che fu ricca e potente nell’XI secolo.

Verso Siena

Verso Siena s’incontra Abbadia Isola (Burgenove XVI nella cronaca scritta da Sigerico) dove sorgeva l’abbazia cistercense di San Salvatore, fondata nel 1001: al centro delle vecchie costruzioni la chiesa abbaziale, semplice e severa, si può visitare chiedendo le chiavi alla gentile custode oppure al bar della frazione.

La storia medioevale, in questa zona, è la parte principale del paesaggio, come ci mostra la breve deviazione per Monteriggioni la cui sagoma impressionante di torri e muraglie appare all’improvviso. La cinta è rafforzata da quattordici torri quadrate che in passato dovevano essere più alte di oggi, anche per giustificare il paragone di Dante: “Però che come sulla cerchia tonda | Monteriggion di torri si corona, | così ‘n la proda che il pozzo circonda | torregiavan di mezza la persona | li orribili giganti…“. Il camminatore, intanto, dopo aver salito le pendici di Monte Maggio, procede fra boschetti e campi coltivati fino al castello della Chiocciola, per poi scendere e perdere i propri passi attraverso un grande pianoro utilizzato in precedenza come aeroporto e oggi fitto di erba altissima, oltre il quale la Cassia conduce alle porte di Siena.

Le bellezze della città non sono un mistero per nessuno anche se, per chi percorre la Francigena, il luogo chiave è lo Spedale di Santa Maria della Scala. Sorto tra il IX e il X secolo su iniziativa dei canonici del Duomo per assistere pellegrini e ammalati bisognosi, divenne ben presto ricchissimo grazie a lasciti e donazioni e, oltre che espandersi in città, promosse la costruzione di fattorie (le grance) e succursali come la Cuna, dove la Romea transitava a sud di Siena.

Nel Medioevo esistevano più di trentacinque strutture destinate all’accoglienza di pellegrini, viaggiatori e viandanti, ma tutte queste case ecclesiastiche non erano evidentemente sufficienti: nei registri relativi al 1288 si scrive che a Siena erano in attività ben novanta albergatori, per la maggior parte stanziati lungo l’asse della Francigena che traversava i terzieri di Camollia e San Martino.

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In Val d’Orcia

Tra Siena e il confine laziale il percorso escursionistico segue abbastanza fedelmente la Cassia, il che rende facile l’orientamento ma, per chi va a piedi, spesso significa dover affrontare lunghe deviazioni per evitare camion e traffico sulla statale. Oltre Isola d’Arbia, a un tratto appare sulla destra la Grancia di Cuna, grande fattoria divenuta proprietà dello Spedale di Santa Maria della Scala nel 1224, che è un esempio raro di complesso agricolo fortificato rimasto integro fino ai giorni nostri, anche se all’interno gli spazi sono stati trasformati in abitazioni.

Dopo Monteroni d’Arbia la via pedonale segue alcune strade secondarie sulla destra della Cassia, compreso un tratto di fianco ai binari tra Quinciano e Ponte d’Arbia. Più avanti si cerca su sterrato la pieve dei Santi Innocenti o Santa Innocenza a Piana, costruita nel XII secolo in mattoni rossi sulla cima di una piccola altura fitta di cipressi, a margine della Francigena. Finalmente le mura senesi di Buonconvento appaiono sul corso dell’Ombrone (che genera spesso con la sua umidità grandi nebbie mattutine).

Una deviazione di una decina di chilometri, dunque impegnativa per chi va a piedi, porta all’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore fondata nel 1313 da Bernardo Tolomei, professore senese che decise di ritirarsi in solitudine all’età di quarant’anni in questo luogo appartato, noto all’epoca come Deserto d’Accona. Dopo l’approvazione ufficiale del 1320 si diede inizio alla costruzione di un monastero benedettino che, nel corso dei decenni e dei secoli successivi, avrebbe avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo agricolo della zona.

La Cassia in questo tratto corre incassata creando qualche problema ai camminatori, che possono però evitare problemi prendendo un bus di linea da Buonconvento a Torrenieri. Con il veicolo si può continuare sulla statale, mentre a piedi è preferibile continuare sulla bella stradina provinciale che passa per Bellaria prima di arrivare a San Quirico d’Orcia, altra tappa del nostro vescovo britannico. Il borgo, costruito sul costone che separa la valle dell’Orcia dal corso dell’Asso, era sede di un vicario imperiale nel XII secolo: il paese, poi entrato nell’orbita di Siena, accoglie i visitatori con i leoni consunti ma spettacolari della Collegiata

Verso il Lazio

La chiesetta di Santa Maria di Vitaleta si trova proprio di fronte a un palazzo ornato dal simbolo di Santa Maria della Scala, un tempo sede di un ospitale, a due passi dalle mura e dall’inizio della salita che conduce a Vignoni Alta. Da qui la vista è eccezionale: di fronte appare la massiccia mole del Monte Amiata, sulla sinistra la sagoma lontana e sfumata di Radicofani.

Nella discesa verso Roma si incontrano la deviazione per lo Spedaletto, fattoria fortificata con una storia simile alla Grancia di Cuna, e la celebre vasca termale di Bagno Vignoni, amata da Caterina da Siena e da Lorenzo il Magnifico, poi non c’è alternativa alla Cassia fino alle case di Gallina, dove il turista attento scoprirà di trovarsi esattamente sul 43° parallelo.

Un tratto solitario dell’antica via consolare si snoda sulla destra della moderna statale, che attraversiamo per affrontare la salita (lunga se si è a piedi) verso la rocca di Radicofani, resa celebre dal bandito medioevale Ghino di Tacco. In quel dimostrando – scrisse Boccaccio – chiunque per le circostanti parti passava, rubare faceva a’ suoi masnadieri . Masnadieri a parte, il panorama da Radicofani è sensazionale, con l’Amiata ormai alle spalle e le colline che si allungano verso il Lazio sempre più vicino.

Nel Lazio

La discesa dalla fortezza di Ghino di Tacco si svolge per gli escursionisti sul tracciato sterrato della vecchia Cassia, tornata al silenzio e alla tranquillità dopo il suo ormai lontano declassamento. A fondovalle, tra brandelli di strade laterali e pezzetti di superstrada, si raggiunge finalmente il ponte sul Paglia, che segna il confine con il Lazio e l’inizio della salita tra le case di Acquapendente, nona tappa di Sigerico.

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Nel Viterbese

Ai margini dell’abitato si trova una delle chiese più affascinanti della Romea, dedicata al Santo Sepolcro, che faceva parte di un monastero i cui frati sembra dipendessero direttamente dall’omonima basilica di Gerusalemme. L’esterno dell’edificio medioevale è decisamente cambiato nel corso del ‘700, ma la cripta costruita poco dopo il fatidico Mille è uno dei luoghi romanici più importanti d’Italia: le colonne formano nove corte navate e fanno da palcoscenico per la scalinata che scende verso il sacello, copia di come doveva essere il Santo Sepolcro in Terrasanta all’epoca della costruzione della chiesa.

Strade secondarie e sterrate portano alla piazza ottagonale di San Lorenzo Nuovo, con vista sullo specchio del Lago di Bolsena. Poi, per sterrati laterali che si mantengono a mezza costa, tra campi coltivati e cave di pietra vulcanica si entra a Bolsena dall’alto. La basilica di Santa Cristina, anche grazie al miracolo del 1236 che avrebbe portato alla nascita della festa del Corpus Domini, era per i pellegrini una meta di grande importanza e lo è tuttora: dopo qualche anno di abbandono, il convento di Santa Maria del Giglio è infatti divenuto un ostello d’eccezione, spartano ma incantevole sia per il giardino che per il panorama sul lago.

Nel tratto successivo a dominare il paesaggio è sempre il lago, anche se sta per fare la sua comparsa una traccia fondamentale del passato della via per Roma. Si cammina in salita verso il Bosco di Turona (dove le carte topografiche indicano un certo Podere Omicidio), poi un percorso zigzagante tra gli alberi porta a un piccolo guado in mezzo a frasche e rovi, e quindi ad affacciarsi sui piatti sassoni di basalto della Cassia romana. Da qui in avanti le gobbe scure dei basoli divengono una compagnia frequente, ed è facile supporre che i pellegrini medioevali abbiano posato i loro sandali sulle stesse pietre.

Verso Roma

Si sale dolcemente verso Montefiascone, dove si trova uno dei gioielli dell’intera Francigena. La chiesa inferiore della basilica di San Flaviano risale all’XI secolo ed è rivolta verso il tracciato dell’antica strada, su cui affaccia la loggia rinascimentale dalla quale i papi benedivano la folla. All’interno sono conservati notevoli capitelli e affreschi del XIV-XVI secolo, oltre a una lapide moderna che ricorda la morte di Giovanni Defugger, il canonico nordeuropeo passato alla storia per aver esagerato con il celebre vino locale Est! Est!! Est!!!. Da San Flaviano una via ripidissima conduce alla Rocca, da dove il fantastico panorama schiera da una parte il Lago di Bolsena con Radicofani all’orizzonte, dall’altra l’immensa cupola di Santa Margherita e in basso la piana viterbese.

Discese e ancora strade romane (a Case Paoletti), prima di arrivare alla periferia di Viterbo, non lontano dalle Terme del Bagnaccio. Anche se la Cassia medioevale non transitava in città i viaggiatori celebri furono decine, da Carlo Magno a Carlo VIII. Molti e lunghi furono inoltre i soggiorni viterbesi dei pontefici: famoso il conclave del 1271, che dopo ben trentatré mesi elesse papa Gregorio X e durante il quale il capitano del popolo viterbese Raniero Gatti fece rinchiudere gli indecisi cardinali cum clave, dopo aver saggiamente tagliato loro i viveri.

La fama di Viterbo crebbe e nel 1300, anno del primo giubileo, il passaggio di migliaia di pellegrini diretti a Roma fece nascere l’usanza di esporre le reliquie di alcuni santi con lo scopo di attrarre l’attenzione e le elemosine dei viandanti.

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Dal Lago di Vico a Campagnano di Roma

Dal capoluogo del Lazio etrusco una variante collinare della Francigena saliva verso San Martino al Cimino e poi costeggiava il Lago di Vico, ma la via più battuta rimase probabilmente la Cassia. Il tracciato segnato sulle cartine dell’Associazione Europea delle Vie Francigene a questo punto esce dalla città e si inoltra per stradine tagliate nel tufo, dove a tratti riaffiorano le pietre romane.

Dopo un tratto sulla statale si torna sulle secondarie e si raggiunge Santa Maria in Forcassi, stazione di posta il cui nome deriva da un antico Forum Cassii, ma della chiesa non rimangono che pochi resti malridotti in attesa di restauro. Siamo già in territorio di Vetralla dove una sosta interessante è la chiesa romanica di San Francesco, eretta nell’XI secolo: notevole la cripta, pur se meno importante di quella di Acquapendente, con numerosi resti romani riutilizzati dagli architetti medioevali.

In corrispondenza di Vetralla si univa alla Cassia la strada che proveniva da Tuscania, già potente in età longobarda e che per secoli fu una tappa cruciale. Continuando invece per Roma i camminatori raggiungono Querce d’Orlando e poi le case di Capranica, dove vale soffermarsi davanti al bel portale romanico dell’ospedale. Un tratto non troppo terribile su asfalto e viottoli sterrati conduce ora a Sutri, il cui parco archeologico merita una sosta: vi si trovano l’anfiteatro e un mitreo trasformato in chiesa e ornato da delicati affreschi con piccoli pellegrini in marcia.

Ma poco più avanti la vicinanza della metropoli inizia a farsi sentire, la Cassia diventa una sorta di autostrada a quattro corsie e, oltre Monterosi con i resti del suo piccolo lago, è giocoforza imbarcarsi su un autobus del Cotral per raggiungere senza troppi rischi Campagnano di Roma.

Dal Parco di Veio a San Pietro

Il primo tratto dell’ultima tappa verso Roma è incredibilmente solitario e silenzioso, attraverso i boschi della Madonna del Sorbo e i pascoli delle propaggini del Parco di Veio. Purtroppo, una volta raggiunta Formello, si entra in un chilometrico scenario di villette, mura e cancelli che conduce senza attrattive fino al quartiere residenziale dell’Olgiata: chi va a piedi inizia decisamente a soffrire, e se c’è traffico anche chi guida.

Banchine e semafori conducono fino a La Storta, cioè esattamente nel luogo in cui Sant’Ignazio di Loyola ebbe l’illuminazione di fondare la Compagnia di Gesù. Agli escursionisti consigliamo fortemente, giunti a questo punto, di salire per dieci minuti su un trenino suburbano della linea FM3 sino alla stazione di Monte Mario, evitando così il brutto e rischioso attraversamento della periferia su un tratto della Via Trionfale stretto, trafficato e per lunghi tratti privo di marciapiedi. A piedi, ormai in città, dalla stazione si esce sulla Trionfale e la si segue (districandosi negli attraversamenti pedonali di alcuni nuovi svincoli) in direzione del centro.

Dopo un’ampia cunetta, quando inizia la discesa ci si può finalmente affacciare – oggi come nei secoli passati – sul panorama della Città Eterna. Molti secoli prima di Sigerico il poeta latino Marziale aveva scritto, probabilmente seduto da queste parti, che “…i sette colli sovrani puoi vedere di là e farti un’idea di tutta Roma, e i colli d’Alba e di Tuscolo, e tutt’intorno all’Urbe la frescura e i borghi antichi di Fidene e Grottarossa.

Tra lo strombazzare del traffico non resta che seguire la discesa fino a raggiungere il quartiere Prati, poi Piazza Risorgimento: solo poche centinaia di metri mancano al viandante per superare il colonnato che circonda Piazza San Pietro, perdendosi nel fiume di turisti e nell’indifferenza che oggi, a Roma, accoglie l’arrivo alla meta di un pellegrino del terzo millennio.

Testo e foto di Fabrizio Ardito

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