Verde imperiale

Nell'immediato entroterra di Ravenna, ambiente e cultura si danno la mano in due itinerari di breve sviluppo ma di grande interesse artistico e naturalistico, serviti da un'invidiabile rete di strutture ricettive per il turista itinerante.

Indice dell'itinerario

Lo spettacolo è da parco africano: un tramonto di fuoco solcato da stormi di uccelli esotici. Sono gli ultimi giorni d’estate e migliaia di alati abitanti della Valle della Canna e di Punte Alberete – aironi rossi e sgarze dal ciuffo, nitticore e spatole, mignattai e garzette – si preparano a migrare con i loro piccoli, intenti alle prove di volo per il grande viaggio che li porterà a trascorrere l’inverno nel sud del mondo, in Africa. Fino a metà settembre, dalla torre d’osservazione che si leva su un angolo della Valle della Canna, a sera lo spettacolo è di quelli da mozzare il fiato.

I resti di una villa romana
I resti di una villa romana

Millecinquecento anni fa, quando Ravenna era la capitale dell’Impero Romano d’Occidente, la fisionomia della regione era completamente diversa. La città stessa, in una straordinaria posizione strategica, sorgeva su un gruppo di dossi sabbiosi, lambita dal mare e circondata dalle paludi (all’epoca assai più diffuse); ma già i Romani, in tempi precedenti, con la costruzione della Fossa Augusta avevano iniziato a modellare il paesaggio e ad asservirlo ai loro scopi. La Fossa era un canale che collegava Ravenna a un braccio meridionale del Po e, nei pressi dell’abitato, era stata divisa in due rami: uno girava intorno alle mura, l’altro attraversava il centro con le case poggiate nientemeno che su palafitte. Anche i magnifici pini domestici della riviera, pur appartenendo a un paesaggio naturale che sembra esistere da sempre, furono portati qui dai Romani.

Ben più cospicua è però la portata dei cambiamenti avvenuti negli ultimi secoli. La Piallassa Baiona, ad esempio, solo fino all’inizio del 1700 era un seno marino aperto, e dove corre oggi il confine con la Pineta di San Vitale c’era la linea di costa. Al naturale processo d’interramento, dovuto al costante apporto di detriti da parte del Po e dei tanti altri fiumi che sfociano nella regione (Ravenna dista attualmente circa 7 chilometri in linea d’aria dal mare), si aggiunsero le opere di regimazione idrica e di prosciugamento dei terreni paludosi. Le bonifiche più imponenti, terminate solo qualche decennio fa, cominciarono verso la metà dell’Ottocento ad opera dello Stato Pontificio: all’inizio del secolo, infatti, il corso del Lamone non aveva ancora uno sbocco diretto al mare e le sue acque limacciose, a qualche chilometro dalla costa, defluivano libere in una vasta distesa di paludi. L’ultima grande inondazione del 1839 ne motivò il prosciugamento e venne così creata, su una superficie di 8.000 ettari, una grande cassa di colmata che aveva il duplice scopo di contenere il flusso idrico nei periodi di piena e allo stesso tempo di favorire la bonifica per mezzo dell’interramento progressivo. Oggi il Lamone ha argini alti e solidi e sfocia diritto nell’Adriatico, mentre della grande palude resta solo una piccola area di circa 460 ettari: si tratta proprio dell’oasi di Punte Alberete e Valle della Canna.

Osservando gli uccelli a Punte Alberete
Osservando gli uccelli a Punte Alberete

Alla prima si giunge da Ravenna prendendo la statale 309 Romea in direzione di Venezia: circa 8 chilometri dopo la città e poco prima del ponte sul canale del Fossatone si trova sulla sinistra, ben indicato, il nuovo parcheggio dell’oasi dove conviene lasciare il camper (gratuito, è recintato ma non custodito, quindi non lasciate nulla in vista per non invogliare possibili malintenzionati). Un camminamento a lato della strada conduce a un ponte in legno sul Fossatone, superato il quale si entra a sinistra nel magnifico bosco allagato delle Punte: grandi olmi frondosi e pioppi bianchi svettano dall’acqua ferma della palude, formando un ambiente di rara suggestione. Attraversati altri ponticelli in legno il sentiero si apre sui chiari (d’estate completamente ricoperti dalle verdi distese delle lenticchie d’acqua) dove, con un po’ di fortuna, si possono avvistare varie specie di ardeidi che dimorano nella riserva. Si giunge così alla Scagnarda, l’ampio sentiero che percorre la parte interna delle Punte; dal canneto e dall’intrico del sottobosco si alzano i canti melodiosi degli usignoli di fiume, dei cannareccioni e delle cannaiole.

Nella Riserva di Punte Alberete i ricercatori controllano lo stato di salute degli uccelli e li anellano
Nella Riserva di Punte Alberete i ricercatori controllano lo stato di salute degli uccelli e li anellano

Giunti alla Capanna del Pescatore si svolta a destra: qui, in primavera, le più belle fioriture del giglio di palude punteggiano di giallo i canali. Poco oltre, all’altezza del cosiddetto Chiaro Sciafela, il sentiero è schermato su entrambi i lati da due pareti di cannuccia, ma alcune feritoie permettono l’osservazione indisturbata dell’avifauna; c’è anche un capanno d’appostamento dove ci si può fermare comodamente seduti. Non è affatto infrequente vedere gli anatidi e le varie specie di ardeidi dell’oasi, dall’airone bianco alla nitticora, ma anche il raro marangone minore che asciuga le ali sui tronchi affioranti dal pelo dell’acqua o il magnifico martin pescatore. Ripresa la carraia e raggiunta poi la Romea, si prende il sentiero che costeggia la strada (ma che per fortuna rimane sufficientemente all’interno del bosco) fino a ritornare al parcheggio oltre il Fossatone. Il giro completo a piedi, a seconda delle soste che si faranno per osservare gli uccelli, può richiedere da due a tre ore circa.Dallo stesso comodo parcheggio si può anche partire per una gita – ideale in bicicletta – alla contigua Pineta di San Vitale, che si estende sull’altro lato della Romea. Di fronte all’ingresso delle Punte si attraversa la statale e si prosegue lungo uno stradello forestale ampio e ben battuto che porta alla Cà Vecia, una delle antiche “case delle aie” costruite quando gli alberi erano sfruttati per la produzione di pinoli; abitata oggi dalle guardie forestali, nel periodo estivo ospita anche un centro informazioni. Da qui s’imbocca lo stradello a destra verso sud, fino a incrociare nuovamente il Fossatone che si costeggia per raggiungere la Madonna del Pino, piccolo e suggestivo oratorio circondato dal folto. Poco oltre si supera il canale ancora su un ponticello di legno e si arriva in vista della Buca del Cavedone, una bassa area paludosa nel bel mezzo della pineta dove spesso sostano, sul lato orientale, numerose garzette che punteggiano di bianco le chiome degli alberi. Proseguendo verso est fino alla Piallassa Baiona, si prende a sinistra per riattraversare nuovamente il Fossatone; si continua però lungo l’argine della Baiona, percorrendo il cosiddetto Chiaro del Comune dove è facile osservare le avocette, i cavalieri d’Italia, le spatole e a volte anche i fenicotteri. Alla fine del chiaro il sentiero, curvando verso l’interno, riporta sulla Romea in prossimità del ponte sul Lamone: basta attraversarlo e scendere l’argine di sinistra per arrivare alla torre d’osservazione che si affaccia sulla Valle della Canna.

Per tornare al parcheggio, se si vuole chiudere il giro senza percorrere un tratto di Romea, si deve riattraversare il Lamone e prendere la strada bianca a fianco dell’argine destro del fiume, che funge da confine di Punte Alberete. Dopo circa un chilometro sulla sinistra, si nota la colonia di cormorani e di ardeidi che dall’alto dell’argine e con un buon binocolo si può osservare con piena soddisfazione. Giunti al termine della strada bianca, si prosegue raggiungendo l’angolo nord-ovest dell’oasi e si va a sinistra fino a incrociare ancora una volta il Fossatone. Qui si lascia la foresta allagata e ci s’inoltra in terreni in corso di rinaturalizzazione, lungo una stradina di campagna che sfocia sulla carraia (detta Serraglio dei Cavalli) che conduce alla Romea, poco a sud del parcheggio.

 

Scorci d’arte tra vigne e frutteti

Un torrione del castello a Piazza Farini
Un torrione del castello a Piazza Farini

A fianco del Municipio, in Piazza Farini, svettano due torrioni: è quanto rimane del castello di Russi, struttura difensiva voluta da Guido da Polenta a metà del XIV secolo, avendo a quel tempo il piccolo borgo un ruolo strategico per il controllo della pianura ravennate occidentale. Oggi la rocca ospita la Pinacoteca Civica e una raccolta di oggetti provenienti dalla Villa Romana. Sulla piazza affaccia anche l’ex chiesa di Santa Maria in Albis, dove è conservata una bella copia dell’Annunciazione del Guercino realizzata nel 1663 da Tommaso Missiroli detto Il Villano, artista attivissimo tra Russi e la vicina Bagnacavallo. La contigua parrocchiale di Sant’Apollinare ospita invece nel presbiterio la tela raffigurante La bottega di San Giuseppe del ravennate Bernardo Guarini, attivo nell’ultimo scorcio del XVI secolo: un recente restauro, oltre a svelare particolari prima nascosti, ha restituito all’opera lo splendore cromatico originario.

Il portico ellittico di Piazza Nuova
Il portico ellittico di Piazza Nuova

Lasciata la piazza fiancheggiando l’ottocentesca torre dell’orologio, si gira a destra dando le spalle a Porta Nuova, ricostruita dopo che il sistema murario del borgo venne distrutto in gran parte dal terremoto del 1688, e si esce dall’abitato prendendo in direzione di Ravenna (che dista una quindicina di chilometri); superato il passante ferroviario, si segue a sinistra Via Fiumazzo fino all’area della Villa Romana, 500 metri più avanti. Il complesso archeologico risale in gran parte al I e II secolo, anche se il nucleo originario è sicuramente precedente: i lavori di scavo, iniziati nel 1950, hanno progressivamente portato alla luce splendide pavimentazioni in mosaico bianconero, che costituiscono un esemplare compendio del repertorio di motivi geometrici utilizzati all’epoca nell’Italia settentrionale. Proprio a fianco della villa è stata recentemente realizzata una piccola oasi faunistica, ricostruendo l’ambiente tipico di una pianura alluvionale.Per Via Fiumazzo ci si inserisce in un lungo viale alberato, il cosiddetto Carrarone, uno spettacoloso filare di pioppi e cipressi che conduce all’altro tesoro artistico del contado di Russi, Palazzo San Giacomo.

A Russi interessante e' la cappella di Palazzo San Giacomo
A Russi interessante e’ la cappella di Palazzo San Giacomo

Costruita dai conti Guido Paolo e Cesare Rasponi dal 1664 in avanti, questa residenza estiva ha dimensioni davvero imponenti: la facciata è lunga 85 metri e le due torri laterali raggiungono i 23 metri di altezza. Per la decorazione degli interni i Rasponi chiamarono un gruppo di artisti emiliani, perlopiù bolognesi, che affrescarono i soffitti del piano nobile alla fine del secolo XVII; queste pitture sono sopravvissute al grave stato di degrado dell’edificio che, estintasi la famiglia, passò al seminario di Faenza con l’intenzione di farne una sede di villeggiatura estiva. Ma gli eventi dell’ultima guerra peggiorarono ulteriormente le condizioni del palazzo, oggi di fatto inagibile e in attesa di restauro (le visite vanno concordate preventivamente con la Pro Loco di Russi, presso il Comune). Eppure gli affreschi di Antonio Burrini, artista nativo di Corbara, raffiguranti gli Argonauti che affrontano il mare su due navi rostrate, e i soffusi toni della prospettica Sala dei Continenti del ravennate Cesare Pronti meriterebbero un salvataggio in extremis.

Le volte affrescate da Cesare Proni nel Palazzo San Giacomo a Russi
Le volte affrescate da Cesare Proni nel Palazzo San Giacomo a Russi

Aggirando Palazzo San Giacomo si sale sull’argine del Lamone svoltando a destra; la strada bianca sopraelevata che segue il corso del fiume si apre su una campagna caratterizzata da frutteti e filari di vite. Dopo un paio di chilometri s’incontra la statale e la si attraversa continuando sull’argine, finché non si è obbligati a scendere sulla destra su una strada asfaltata. Dopo poche centinaia di metri s’imbocca sulla sinistra Via degli Angeli che conduce alle porte dell’abitato di Santerno e si seguono le indicazioni a sinistra per Villanova di Bagnacavallo, in prossimità della quale si attraversa il fiume. A Villanova è situato l’interessante Centro Etnografico della Civiltà Palustre, realizzato nel 1985 per documentare i luoghi e i modi tradizionali di lavorazione delle erbe palustri: canna, stiancia, carice e giunco venivano qui utilizzati dalle contadine per intrecciare ogni sorta di manufatto, dalle sedie ai graticci, dai cesti alle pantofole.
Da Villanova si procede per Bagnacavallo, la cui pianta circolare permette di raggiungere agevolmente il centro che si estende intorno a Piazza Libertà. Qui si trovano il Municipio, eretto a fine Settecento da Cosimo Morelli, e il Teatro Goldoni, risalente alla prima metà dell’Ottocento. Altri due edifici, entrambi rimaneggiati, si affacciano sulla piazza: la duecentesca torre dell’orologio e Palazzo Vecchio che, assieme al Castellaccio, doveva costituire il nucleo rinascimentale della cittadina. Sulla Via Mazzini, che fronteggia il Comune, si aprono le facciate barocche dei palazzi Sorboli e Annachini come pure la collegiata di San Michele Arcangelo che conserva due opere del maggiore artista locale, Bartolomeo Ramenghi detto Il Bagnacavallo, la cui pittura risente indubbiamente dell’influsso di Raffaello.
Imboccando da qui Via Cesare Battisti si arriva al perimetro chiuso della Piazza Nuova, un tempo mercato coperto, eretta nel XVIII secolo in una forma architettonica ellittica che rispondeva a razionali criteri di igiene: oggi ospita concerti e spettacoli teatrali, ed è stata utilizzata come set cinematografico. Le si assegnano anche significati numerologici, legati ai trenta archi a tutto sesto su cui poggia il suo loggiato, e perfino esoterici: si dice infatti che calpestando i suoi ciottoli gli amori sfioriti riprendano magicamente vigore.

La pieve romanica di San Pietro in Sylvis, nelle vicinanze di Bagnacavallo
La pieve romanica di San Pietro in Sylvis, nelle vicinanze di Bagnacavallo

Usciti dal centro storico e seguendo le indicazioni per Alfonsine, lungo un viale ombreggiato da pini marittimi centenari si arriva a San Pietro in Silvis, trecentesca pieve romanica – replica minore delle basiliche ravennati – impreziosita all’interno da affreschi ben conservati nel presbiterio sopraelevato. Il ciclo, raffigurante una schiera di apostoli che cinge come in un abbraccio la scena centrale della crocifissione, è riconducibile a un seguace di Pietro da Rimini, proveniente anch’esso dalla città adriatica e direttamente influenzato dalle opere di Giotto. Un nome che pare enorme da pronunciarsi, all’ombra generosa di questo viottolo di campagna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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