Vent'anni dopo, vent'anni prima

Nel 2009 si festeggia il ventennale della caduta del Muro di Berlino, primo passo verso la riunificazione della Germania e i radicali mutamenti della storia europea recente. Siamo andati a vedere cosa resta delle frontiere oggi soppresse e in che modo si sono trasformate, tracciando un itinerario di scoperta che è anche un ottimo percorso alternativo per ridiscendere attraverso il paese sulle strade minori.

Indice dell'itinerario

Chi oggi circola liberamente nella Germania riunificata, come nel resto del continente, forse non sa (o non ricorda) che ai tempi della cosiddetta Cortina di Ferro in quasi tutti i paesi dell’Est europeo bene o male si aveva accesso, procurandosi magari con fatica il relativo visto. Si poteva andare perfino a Mosca o attraversare la Russia verso la Finlandia, affascinante percorso alternativo per Capo Nord che alcuni sperimentarono accettando l’itinerario fisso e i tempi programmati, con l’obbligo cioè di presentarsi ogni sera nel luogo previsto. Solo due nazioni restavano fuori: l’Albania e la DDR, ovvero la Deutsche Demokratische Republik. Riguardo a quest’ultima c’era per di più il problema di Berlino, città che nel 1945 la Conferenza di Potsdam aveva diviso in quattro settori, affidati ai paesi che avevano vinto la Seconda Guerra Mondiale: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica. Il confine che segnava la giurisdizione di quest’ultima, tracciato con una semplice riga sul suolo, determinò per anni una tale fuga verso la ìlibertàì che nel 1961 fu deciso di erigere il famigerato Muro, e dall’estremo lassismo si passò ai controlli più rigidi. Berlino, ormai un’enclave al centro della Germania Est nata nel 1949, rimase collegata con l’ovest per mezzo di corridoi autostradali da cui non si poteva uscire agli svincoli intermedi: chi sbagliava strada, abbandonando il percorso obbligato anche in assoluta buona fede, rischiava di trovarsi subito braccato dalla polizia con l’inesorabile, salatissima multa.
In realtà nella DDR, passata alla storia soprattutto per i suoi divieti, i suoi paradossi e le atlete muscolose come maschi che vincevano tutto e troppo, non c’era molto da vedere, anche perché città famose come Lipsia e Dresda avevano subito gravi danni con la guerra; ma a Berlino Est i turisti occidentali erano attirati da importanti musei, primo fra tutti il Pergamon. L’unico varco a disposizione era il famoso Check Point Charlie, che conveniva passare a piedi per evitare perdite di tempo, ed era altresì obbligatorio cambiare un minimo di valuta pregiata con la moneta locale, che poi era anche difficile spendere nel corso delle poche ore concesse alla visita.
Andai per la prima volta a Berlino nel 1969, da solo, con la fidata Cinquecento. Di tante immagini riportate da quel viaggio non riesco a dimenticare quella di un uomo e di un bambino, probabilmente padre e figlio, appesi alla recinzione dell’autostrada a guardar sfrecciare macchine che mai sarebbero transitate nel loro villaggio: patetici come i ragazzi che si assiepavano a Berlino Est nei pressi del Muro per ascoltare i concerti rock che si tenevano dall’altra parte. Bastavano una rete e il divieto di aggirarla a far credere che di là ci fosse il paese di Bengodi.

Contro tutte le frontiere
Città che si rinnova in continuazione e che ha subìto con coraggio l’umiliante smembramento per lunghi decenni, Berlino è un mito, e non solo per i turisti: i quali, dopo averla visitata una prima volta, torneranno e torneranno ancora, sapendo che ci sarà sempre qualcosa di inedito da vedere. Se ne sono occupati il cinema, il teatro, la letteratura, la musica. ìBerlino mio vecchio amoreì cantava Marlene Dietrich in Unter den Linden; Wim Wenders vi girò Il cielo sopra Berlino, Alfred Döblin vi scrisse Berlin Alexanderplatz da cui Fassbinder ricavò un altro famoso film, mentre la storia autentica di una ragazza, Christiane F., ci fece conoscere negli anni ’80 il mondo della droga orbitante attorno alla Bahnhof Zoo. Per non parlare di come la situazione venutasi a creare dopo il fatidico novembre 1989 abbia ispirato la nuova cinematografia tedesca: dalla commedia agrodolce Goodbye Lenin di Wolfgang Becker in cui, ad uso di una militante comunista entrata in coma e risvegliatasi ignara dopo la caduta del Muro, i figli tentano di ricostruirle attorno il mondo della scomparsa DDR, telegiornali compresi, fino al dramma Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck sull’eredità della Stasi, la famigerata polizia segreta. Sempre a proposito di cinema, virtualmente dedicata al camperista è un’altra opera di Wenders, Nel corso del tempo, la cui azione si svolge proprio ai confini tra le due Germanie: il protagonista, un riparatore di proiettori cinematografici, vive nel furgone con il quale si sposta per lavoro.
L’autostrada ci porta rapidamente alla città riunificata e di nuovo capitale, ora senza più barriere e perdite di tempo, ma agli svincoli per il centro la segnaletica non ci aiuta: buon per noi, ci ritroviamo direttamente al Treptower Park costruito in pratica attorno al Sowjetisches Ehrenmal, una sorta di grande stadio circondato da sculture in cui si inneggia ai caduti dell’Armata Rossa e dove si celebravano le cerimonie ufficiali per ricordare l’amicizia fra la DDR e l’Unione Sovietica. Il controviale di fronte all’ingresso è usato dai berlinesi per il rimessaggio dei loro v.r. (fra cui interessanti allestimenti artigianali), ottimo posto quindi per passare la notte e lasciare anche il nostro camper per tutta la giornata e persino sotto un’ombra costante: Berlino è nota come la capitale più verde d’Europa, ma è bene sapere che nessuno dei suoi alberi ha più di cinquant’anni, piantato al posto di quelli che dovettero essere sacrificati dalla popolazione, in mancanza di alternative, per riscaldare le case nel dopoguerra.
Lì a due passi una stazione della metropolitana ci permette di arrivare facilmente in centro, e qui all’ufficio informazioni troviamo quel che ci serve: mappa dettagliata che riporta la traccia del Muro e quanto ne è rimasto in piedi o è stato ricostruito (sul retro tutte le informazioni al riguardo). Ma poiché la tecnologia è ormai una prassi anche in questo settore, ecco che c’è a disposizione anche il palmare Mauer Guide-Walk the Wall che si può noleggiare a tempo (da 4 a 48 ore) e che ci farà da guida in cinque punti chiave della visita a quanto resta della vecchia barriera.
Fra le piste ciclabili che attraversano Berlino in lungo e in largo ce n’è una in particolare che segue la traccia dell’antico confine per ben 180 chilometri; sono previste quattordici tappe, e chi non ha la bici al seguito la può noleggiare sul posto. Noi che viaggiamo con altri ritmi ci siamo limitati a un’esplorazione giornaliera di quanto è raggiungibile dal campo base del Treptower Park. Scavalcata la Sprea, dopo poche centinaia di metri ecco già la famosissima East Side Gallery, il lungo tratto di muro sopravvissuto, per decorare il quale furono chiamati artisti da tutto il mondo: come sempre accade ai murales esposti alle intemperie, anche qui il degrado è già iniziato e molti colori stanno sbiadendo, ma alcune scene sono davvero coinvolgenti (come la simbolica Trabant che sfonda il Muro!), per non dire dei turisti che amano aggiungere col pennarello un loro ricordo originale, come la traccia della propria mano.
Quest’angolo di Berlino è godibile anche nelle giornate di grande affollamento. La differenza si nota appena raggiunto il famoso – e ricostruito – Check Point Charlie, ove abbiamo assistito a situazioni che mai avremmo potuto immaginare: due comparse in chissà quale divisa pronte ad accettare la mancia del turista che si fa fotografare con loro, poco più in là un altro gendarme da operetta che distribuisce a pagamento falsi lasciapassare, e all’angolo di Potsdamerplatz ancora due guardie a disposizione dei visitatori per la foto ricordo, come un centurione a Roma o un doge a Venezia (e stavolta la mancia di un euro, come scritto perentoriamente su un cartello, è d’obbligo).
Se questo genere di attrazioni piace a certi turisti – e comunque non a tutti –, lascia senz’altro perplesso chi a suo tempo ebbe modo, come il sottoscritto, di scontrarsi con l’ottusità degli autentici gendarmi della DDR e fu costretto a lasciare due vecchie biciclette ridipinte, invendibili perfino a Berlino Est, proprio fuori il Check Point Charlie dovendo proseguire a piedi, e poi fu inquisito alla frontiera con la Germania Occidentale per aver impiegato troppo tempo a percorrere il corridoio autostradale da Berlino. Ma soprattutto queste comparsate, ormai parte della macchina del turismo consumista, offendono la memoria di chi per sfidare il maledetto Muro ci lasciò la pelle.
Ci si consola nel luoghi deputati, dove anche il più spensierato dei visitatori è costretto a tenere un comportamento rispettoso: il museo presso il Check Point Charlie dedicato appunto alle vittime del Muro, che presenta la collezione di tutti i sistemi escogitati per evadere (e sarebbe anche divertente, se non fosse che ad ogni trucco scoperto corrispondeva l’arresto o magari l’esecuzione di un malcapitato); l’esposizione permanente sotto lunghe tettoie nella Niederkirchnerstrasse chiamata Topografia del Terrore, a ricordo dei crimini commessi dalla Gestapo che proprio qui, in un edificio fatto saltare nel dopoguerra, aveva la sua sede (tra le innumerevoli foto alcune riguardano l’Italia); il discusso memoriale per le vittime dell’Olocausto, distesa di blocchi di cemento aperta al pubblico ove si teme che prima o poi qualcuno aggiunga delle svastiche, e l’angosciante Jüdisches Museum con la storia degli ebrei in Germania.

Al di là del Muro
A dispetto del suo lungo isolamento, Berlino è stata anche meta di immigrazione sì da meritarsi la fama d’essere la ìterza città turca nel mondoì dopo Istanbul e Ankara, tanto che in certe strade è difficile incontrare botteghe, bar e persino farmacie gestite da un tedesco. Se nel lontano 1982, arrivando nel pomeriggio di una calda domenica estiva, ci sorprese piacevolmente un immenso picnic di famiglie con tanti bambini nei giardini del Reichstag (ancora da restaurare e dove si poteva pernottare in camper su consiglio della stessa polizia!), questa volta, nella Luisenplatz della limitrofa Potsdam, davanti a un’altra Porta di Brandeburgo splendente nella luce del tramonto, ci siamo imbattuti in un festival turco con tanto di palco, suonatori e danza del ventre. Attorno alle tavolate della birra tanti tedeschi a condividere l’evento, dimostrando che per i popoli veramente civili l’integrazione e la tolleranza non sono poi così difficili.
Sempre a Potsdam si può scoprire il pittoresco quartiere di Alexandrowka, con case in legno di stile russo: vi abitarono, ai tempi del Kaiser, i componenti del coro militare donato dallo Zar in seguito alla vittoria su Napoleone. Gli edifici, perfettamente conservati, contengono anche un caffè-museo e un ristorante con specialità russe. La memoria regale più famosa e scenografica, con il grandioso parco circostante, resta comunque lo Schloss Sanssouci, la Versailles tedesca di Federico il Grande, un tempo al di là del Muro.
Erano invece chiamati la Hollywood della Germania gli studi della DEFA, dove recitò Marlene Dietrich e fino agli anni ’50 furono girate pellicole famose come I miserabili con Jean Gabin. Il Film Museum ripercorre la storia del cinema germanico e, pur in assenza di qualsivoglia traduzione in altre lingue, la raccolta di documenti e filmati è di grande suggestione anche per chi è digiuno dell’argomento (l’espressionismo e altri esperimenti furono invisi al nazismo che censurò le opere e perseguitò gli autori, né più né meno di quanto sarebbe accaduto qualche decennio più tardi negli Stati Uniti con il maccartismo e la caccia isterica ai cineasti ìcomunistiì).

C’era una volta la DDR
Con la caduta della frontiera tra le due Germanie si è persa un’occasione d’oro. Una fascia di territorio lunga quasi 1.400 chilometri e larga almeno 5, da cui ad ovest le industrie si erano allontanate (quindi inquinamento zero) e che ad est era stata spopolata di forza, costituiva di fatto una zona incontaminata in cui da cinquant’anni non aveva praticamente messo piede un essere umano. Si sarebbe potuta ulteriormente proteggere come riserva integrale, utilissimo polmone verde per un paese percorso da una fitta rete di trafficate autostrade, dove qua e là nelle foreste ci si imbatte ogni tanto in stragi di alberi colpiti da chissà quale malattia; per non parlare dell’avifauna, stanziale e di passaggio, o di specie in via di estinzione che potevano aver trovato rifugio in quest’area indisturbata. Ma non se n’è fatto nulla, anche se esiste una serie di parchi ben evidenziati sull’atlante: la strada che correva presso il confine li attraversa e ci si trova di colpo in un’autentica galleria in cui si alternano abeti, faggi, aceri, frassini, querce che continua per chilometri, solo di tanto in tanto scandita da radure a pascolo o da campi di cereali.
C’è qui da sfatare una leggenda metropolitana (che in questo caso sarebbe forse più opportuno chiamare extraurbana) nata nei primi anni ’90 fra i cicloamatori: cioè che accanto al confine dismesso, e seguendolo per tutta la sua lunghezza, ci fosse una stradina di servizio ottima per essere trasformata in pista ciclabile. Noi ne abbiamo trovati solo pochi tratti in prossimità di altri reperti più o meno recintati della frontiera, mentre il resto, se c’era, dev’essere stato riconquistato dalla natura insieme a quanto poteva segnare il confine, al punto che più di una volta abbiamo dovuto consultare la mappa per sapere in quale delle due vecchie Germanie ci trovavamo. Percorsi ciclabili, comunque, se ne incontrano in abbondanza, e abbiamo altresì visto in vendita cartine al riguardo.
Nella fascia in questione, che parte dal Baltico, ci siamo immessi provenendo da Berlino poco prima di Braunschweig, incontrando un’area a forma di triangolo fra le località di Helmstedt, Marienborn e Hötensleben dove quanto rimane a segnare la passata separazione fra le due Germanie è stato incluso nel progetto Grenzenlos-No Borders, volto alla riappacificazione e all’incontro delle popolazioni. A Marienborn, là dove c’era il più importante checkpoint fra le due Germanie, il Memorial Marienborn mostra tutte le apparecchiature che, controllando i mezzi in transito, rendevano praticamente impossibile evadere dalla DDR; un centro di documentazione offre ai visitatori, anche con l’uso di proiezioni video, dettagliate spiegazioni al riguardo. Poco lontano l’artista francese Josep Castell ha eretto una scultura chiamata La Voute des Mains, in cui due mani unite a simboleggiare la vittoria dell’umanità sui regimi crudeli vogliono essere altresì di monito a tutti i tedeschi affinché conservino la ritrovata unità.
Nella cittadina di Helmstedt lo Zonengrenz Museum contiene reperti e documenti di quella che fu la frontiera, dai segnali stradali, alle uniformi alle tracce di campi minati. Una serie di foto ci mostrano le drammatiche fasi di quando nel 1989, qui come a Berlino, il confine fu fatto cadere a furor di popolo, mentre nella sezione Border Art alcuni artisti contemporanei presentano la loro visione della Germania divisa, con immagini realistiche, astratte o satiriche. La visita si conclude nel Grenzdenkmal di Hötensleben, che conserva integralmente il sofisticato complesso messo in atto ad impedire l’attraversamento del confine: 350 metri di un muro rinforzato alto più di 3 metri, una torre di vedetta, sistemi di allarme, i cosiddetti denti di drago per fermare i veicoli e altre soluzioni del genere.
Per trovare altri reperti originali bisogna scendere fino a Duderstadt e seguire, poco fuori dell’abitato, i cartelli per il Grenzlandmuseum Eichsfeld, dov’era un altro checkpoint sulla strada per la vicina Göttingen. Negli edifici della vecchia dogana una mostra ne racconta la storia: se nel dopoguerra il confine consisteva in un semplice campo arato, che in tanti attraversarono, le misure si inasprirono con gli anni rendendo difficile la vita di chi abitava nel territorio, anche per la scarsità di mezzi di sostentamento, fino alla totale chiusura in coincidenza con la costruzione del Muro di Berlino. All’esterno del museo si può percorrere un lungo tratto dell’ex confine protetto da fossati, e anche qui da denti di drago, fino a una torretta chiamata Alt Mühle in quanto costruita là dove si trovava un mulino a vento. Sotto una tettoia sono schierati i veicoli militari usati per controllare la zona e, più in là, un elicottero. Una passeggiata di 4 chilometri si immerge nella natura confermando che l’inaccessibilità della striscia attorno alla frontiera ha creato di fatto una riserva naturale, a protezione di rare specie vegetali e animali: se ne occupa una fondazione intitolata al naturalista e biologo Heinz Sielmann, mentre la Nabu, un’altra associazione locale ha provveduto ad allestire nello stesso Alt Mühle una mostra permanente su fauna e flora del territorio.
Sulla strada che da Göttingen va ad Eisenach, alle porte di Bad Sooden Altendorf è stavolta segnalato lo Schifflergrund Grenzmuseum, all’esterno del quale si trovano una barriera di filo spinato lunga un chilometro e mezzo, tre torrette, lo spazio in ci venivano lasciati liberi i cani e, anche qui, un elicottero. Questa frontiera era altresì protetta da mine a frammentazione o a grappolo (di cui un esempio si può vedere nel museo): la DDR ne aveva sempre negata l’esistenza, forse perché derivavano da quelle inventate dai nazisti e usate contro le evasioni dai campi di concentramento.
Dopo Eisenach, prendendo ora per Fulda, al bivio sulla destra per Geisa è segnalato il Point Alpha. La strada, che ci riporterà più avanti all’altezza di Rasdorf, abbraccia nel suo anello l’ennesimo museo e la ricostruzione di un presidio militare statunitense, dove si possono ammirare gloriosi automezzi, mentre in un lungo corridoio una serie di sagome riproduce a grandezza naturale, con tanto di foto, nome e uniforme, una compagnia di soldati che qui prestava servizio. Gli ingressi alle due strutture sono separati perché la recinzione del campo è stata lasciata integra, ma si entra con lo stesso biglietto: il tutto all’interno di un parco naturale, dove stavolta è l’Unesco ad avere individuato un’area protetta. Assolutamente da non perdere, nel museo, uno straordinario pur se interminabile filmato che, assemblando spezzoni originali, ricostruisce la storia della DDR e dei suoi confini.
La nostra ricerca sulle frontiere scomparse, iniziata con una città divisa da un confine naturale qual è un fiume, ci porta infine a un villaggio di montagna, Mödlareuth, nel mezzo del quale fu fatta passare, allorché furono create le due Germanie, una barriera di filo spinato sostituita poi nel 1952 da un muro (dunque nove anni prima di Berlino, ma non fece notizia). Il paese è talmente piccolo che per rintracciarlo occorre una carta dettagliata: lo si raggiunge dalla strada fra Coburg e Chemnitz, laddove il confine della DDR risaliva verso nord-est fino a congiungersi con quello della Cecoslovacchia. Da Plauen si gira a sinistra in direzione di Reuth e da qui ancora a sinistra per Misslareuth e Heidfeld, dove si incontra la segnaletica per Mödlareuth, ma per chi proviene da ovest ed è alla guida di un mezzo non troppo ingombrante consigliamo la bellissima scorciatoia che si snoda fra boschi e villaggi altrettanto minuscoli (Gleisdorf, Schwand, Kemnitz, Grobau) fino a ricongiungersi a Misslareuth. La stradina è in realtà piuttosto stretta, ma ci sono qua e là degli slarghi per incrociare una rara auto o un mezzo agricolo. Oggi a Mödlareuth quel che resta del muro è diventato un’attrazione turistica e si entra nel recinto con lo stesso biglietto dell’immancabile museo presidiato, lì accanto, da un mezzo militare. La vita intanto scorre tranquilla come non fosse successo mai nulla, e le case sul lato che fu della Germania Est, rimesse a nuovo, sono regolarmente abitate.
A dispetto di queste realtà finalmente pacificate, c’è ancora in giro per il mondo chi innalza muri, fomenta guerre o più semplicemente evoca nuove frontiere, perché la gente dall’altro lato ìnon è come noiì. E allora, che questi vent’anni siano un motivo per rifletterci su, e perché gli affetti e i luoghi non debbano mai più essere divisi.

Testo di Luigi Alberto Pucci Foto dell’autore e di Ivana Ricci

PleinAir 444 / 445 – Luglio / Agosto 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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