Vent'anni da parco

A festeggiare l'importante ricorrenza è il parco naturale Adamello Brenta, gioiello del Trentino, dove sono tornati da qualche anno anche gli orsi a popolare boschi e vallate. Per la gioia dei sempre più numerosi visitatori, attratti dalle molte bellezze dell'ambiente e accolti da un'organizzazione turistica moderna ed efficiente, a misura di grandi e bambini.

Indice dell'itinerario

C’è un parco sulle Alpi che va ritagliandosi un ruolo di primo piano nell’Italia protetta: lo fa grazie a panorami mozzafiato, boschi ed endemismi floreali di rilievo, una fauna di cui fa parte quella star del regno animale che è l’orso bruno. Ma al suo successo contribuisce non poco una gestione dinamica e al passo coi tempi, sensibile alle esigenze della conservazione non meno che a quelle della fruizione turistica. L’Adamello Brenta, questo il suo nome, si estende su una superficie di 62.517 ettari – poco meno del Gran Paradiso, poco più del parco d’Abruzzo – e comprende due ambienti completamente diversi: i monti dolomitici del Gruppo di Brenta e parte del massiccio dell’Adamello-Presanella. E’ stato istituito nel 1967, data che ne fa uno dei parchi più vecchi del Bel Paese, anche se l’ente chiamato a gestirlo nasce solo vent’anni dopo, e cioè nel 1988. E proprio quest’anno, proprio nel mese di maggio, eventi e convegni festeggiano il ventennale.
Oggi il territorio di questo grande polmone verde interessa trentanove Comuni, di cui trentotto in provincia di Trento e uno, Paspardo, in provincia di Brescia (il paese, pur trovandosi di fatto nell’adiacente e quasi omonimo parco regionale lombardo dell’Adamello, aderisce fin dall’inizio a quello trentino poiché nel suo territorio ricade una parte della Val di Fumo). Al centro dell’area protetta e a suddividerne nettamente i versanti, la Val Rendena è esclusa dal perimetro del parco fino alla piccola capitale dell’economia turistica locale, Madonna di Campiglio, rinomata stazione di sport invernali.
«Questo sarà il parco che riuscirà a far piegare la testa in fatto di cangiante bellezza ed importanza biologica, non già sociale e storica, perfino al Parco Nazionale Gran Paradiso. Sarà il più importante d’Italia…». A pronunciare queste parole nel lontano 1947 in una conferenza preparatoria per la fondazione della futura IUCN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, fu uno degli antesignani dell’ambientalismo italiano, Renzo Videsott, indimenticato direttore proprio del parco del Gran Paradiso nei vent’anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
E in effetti i numeri dell’Adamello Brenta sono di quelli che non temono confronti. I paesaggi, per cominciare, sono senza dubbio fra i più belli della pur varia dorsale alpina: nel settore occidentale, i solchi quasi incontaminati della Val Genova e della Val di Fumo offrono scorci maestosi e ricchi di acque, e non meno rilevanti dal punto di vista naturalistico sono la Val Nambrone, la Val Borzago, la Valle di San Valentino e quella di Breguzzo. Nel gruppo di Brenta, dove le dolomie di origine sedimentaria sono state scolpite per millenni dagli eventi atmosferici, è il caratteristico e ben noto disegno delle Dolomiti a incantare il visitatore con guglie e campanili di roccia, torrioni, pareti verticali cui l’alba e il tramonto attribuiscono sembianze quasi oniriche.
Ben cinquantuno laghetti alpini costellano il territorio dell’area protetta, a cominciare da quello di Tovel reso famoso dalla passata colorazione rossastra delle sue acque dovuta a un’alga. Boschi di faggi, abeti rossi, larici e pini cembri ammantano circa un terzo della superficie del parco, e sopra le distese a pino mugo ha inizio la fascia tundro-artico-alpina, dove gli alberi si fanno radi e s’incontrano arbusti contorti dalle nevi invernali e dal vento quasi incessante. Azalea delle Alpi, camedrio alpino, Linnea borealis sono alcuni dei preziosi endemismi propri di questi ambienti. Foreste e praterie altitudinali sono anche l’habitat di numerosi fra i protagonisti della fauna del parco: dalla marmotta al toporagno alpino, dal cervo al capriolo, dal camoscio allo stambecco, quest’ultimo reintrodotto dopo la sua scomparsa avvenuta già nella seconda metà del ‘600 a causa di una caccia indiscriminata. Gli uccelli annoverano un centinaio di specie tra cui tutte e cinque le varietà di galliformi alpini, il raro picchio nero, numerosi rapaci notturni e una popolazione di aquile reali formata da un numero consistente di coppie nidificanti. All’orso bruno, al centro dell’ambizioso progetto di reintroduzione Life Ursus ora concluso (vedi collaterale”Le sorprese dei boschi”), è dedicata una bella area faunistica presso il paese di Spormaggiore, ai margini orientali del parco. Grazie a un sentiero che ne costeggia la recinzione, attorno a un ampio settore di bosco, si possono ammirare con tutta facilità alcuni esemplari di questo splendido animale in precedenza ad altissimo rischio di estinzione sulla catena alpina. In paese è inoltre dedicato all’orso un moderno centro visita, ospitato in un palazzo storico: le informazioni complete fornite al visitatore, il taglio scientifico e insieme didattico, le dotazioni multimediali, la capacità di affrontare con fantasia il tema dell’orso a tutto tondo (dalle tradizioni popolari al cinema, dalla biologia ai fumetti) ne fanno una struttura d’avanguardia in Italia.
Ma il parco non si è fermato ai centri visita (bello fra gli altri anche quello di Daone, dedicato alla fauna) e alle aree faunistiche. Oltre a una rete di sentieri ampia e curata, l’attenzione alla fruizione di un patrimonio naturalistico così grande si è concretizzata anche nella sperimentazione di strategie di mobilità alternativa all’auto privata (vedi collaterale Turismo sostenibile? E’ qui ). Progetti come la ParcoCard o l’adesione alla Carta Europea del Turismo Sostenibile – per non dire della certificazione ambientale ISO 14001, ottenuta dal parco per primo in Europa – qualificano l’operato dell’ente gestore presieduto da Antonello Zulberti e diretto da Claudio Ferrari, con l’apporto insostituibile di una squadra giovane e motivata di guardaparco, tecnici, funzionari, comunicatori. Un parco in movimento, insomma. E tutto da scoprire, come nelle due proposte che seguono.

Il lago di Tovel
Siamo nella parte nord-orientale del parco, a pochi chilometri dal punto in cui la Val di Sole termina nei pressi del lago di Santa Giustina. Dal parcheggio del bar Capriolo, dove giunge la strada che sale da Tuenno, si prende il bus navetta del parco fino al parcheggio di Tovel; da qui si attraversa il ponte e si raggiunge il punto di partenza del sentiero, ben segnalato da un pannello informativo. Ci si inoltra quindi lungo un tranquillo percorso nel bosco, costeggiando a destra il torrente Tresenga, e in breve si raggiunge il laghetto di Tovel, con una splendida vista sulle montagne circostanti, piegando quindi a destra fino a un ponticello in legno e ad una piccola spiaggia. Dopo circa 800 metri il sentiero passa davanti al Centro Visitatori per poi scendere fin sulle rive del piccolo specchio d’acqua in un punto in cui, durante la stagione estiva, è facile osservare i girini di rospo, di rana temporaria e talvolta anche la biscia dal collare. Si prosegue quindi nel bosco, a fianco delle rive, sino a raggiungere un’area di spiagge bianchissime chiamata Rislà. Qui il sentiero tematico sale in direzione di una valle laterale sino ad una spettacolare cascata (spesso però poco vivace durante l’estate). Lungo un comodo sentiero che si snoda ancora nel folto degli alberi ci si riporta quindi al tratto iniziale delle spiagge bianche, rientrando al parcheggio lungo lo stesso itinerario. Per chi volesse è anche possibile effettuare l’intero giro del lago, proseguendo dal Rislà lungo un sentiero che a tratti richiede una certa attenzione per la lieve esposizione verso le sponde.
Per tornare al bar Capriolo, in alternativa al bus si può percorrere il sentiero delle Glare (termine che in dialetto locale vuol dire distesa di pietre ). Il percorso attraversa un bosco di pino silvestre, faggio e abete rosso, quindi passando per un belvedere sulla valle tocca le glare vere e proprie. Dopo alcuni splendidi laghetti stagionali, dalle acque color smeraldo, si fa ritorno al parcheggio in nemmeno un’ora di comodo cammino dal lago.

Il sentiero delle cascate
Questo itinerario segue il corso del fiume Sarca percorrendo in tutta la sua lunghezza, e cioè 15 chilometri, la straordinaria Val Genova. Passerelle di legno che scavalcano gli affluenti laterali rendono il tragitto adatto a tutti e senza particolari difficoltà.
Il sentiero vero e proprio inizia a Ponte Verde, a quota 900 metri, dove si trova un punto informativo del parco. Prima tappa obbligata è davanti alle scenografiche cascate di Nardis, che si raggiungono in pochi minuti di cammino. Con modesti saliscendi il sentiero sale quindi ai vasti prati dei Piani di Genova, da cui si può accedere con una breve deviazione alle cascate del Lares che, in tre salti successivi, arrivano a misurare oltre 200 metri. Al vicino Ponte Rosso è presente un altro punto informativo del parco. Un tratto di vecchia strada selciata conduce in una mezz’ora alle tipiche case di Todesca e Ragada, con la chiesetta della Madonna di Ragada e il monumento ai Pionieri della Val Genova.
Riprendendo il sentiero, si sale comodamente fino ai prati di Casina Muta affiancando una bella rapida e inoltrandosi nella parte alta della valle. Presso la Piana di Caret e la malga omonima, a venti minuti di cammino, durante l’estate s’incontrano le mucche di razza rendena, dall’inconfondibile mantello scuro. Fra i lembi di torbiera è possibile osservare, se si presta un minimo di attenzione, le piantine di drosera, una specie che si nutre degli insetti rimasti invischiati nel liquido appiccicoso secreto dai peli ghiandolosi che ne rivestono le foglie. Tra ghiaioni e qualche dosso si giunge alla base della cascata del Pedruc, che si può ammirare anche dall’alto grazie a un’ardita passerella in legno. Quindi il sentiero termina nella Piana di Bedole, dopo un dislivello di circa 600 metri che si copre in poco più di 4 ore. A quota 1.584 metri, la piana e il rifugio omonimo sono circondati dall’imponente anfiteatro dei ghiacciai delle Lobbie e del Mandron. Qui la fermata del bus navetta di servizio nella valle permette di rientrare comodamente alla base, mentre chi ha ancora energia e voglia di camminare potrà fare ritorno a Ponte Verde sui propri passi

PleinAir 430 – maggio 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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