Valle in maschera

Un itinerario invernale nella Valle Varaita, dai luoghi meno noti a quelli più famosi: per provare insolite mete dello sci di fondo e alpinistico; per compiere suggestive escursioni sulle racchette; per scoprire, tra antichi borghi montani, antichissime tradizioni di Carnevale.

Indice dell'itinerario

Il largo e boscoso solco della Valle Varaita si allunga quasi rettilineo per 35 chilometri, dai primi rilievi di Verzuolo e Costigliole, fino a Sampeyre e Casteldelfino. Qui la valle si biforca: da una parte il noto vallone di Pontechianale; dall’altra il vallone di Bellino, Blins in occitano. Una meta insolita, soprattutto nei mesi invernali: offre soltanto un minuscolo skilift, un piccolo anello per il fondo, alcune belle gite scialpinistiche e con le racchette. Dunque una valle ideale per chi cerca la quiete, il silenzio delle escursioni sulla neve, l’incontro con la cultura e l’architettura occitane. Tutte le sue borgate sono rimaste praticamente intatte nei secoli, con le grandi case di pietra, gli affreschi e le meridiane che occhieggiano dalle facciate esposte al sole, le colonne cilindriche che sostengono i tetti. E alla bellezza della natura, dell’ambiente e delle architetture si aggiunge quest’anno un evento raro e di grande interesse. Dopo decenni di oblio, le borgate più alte della valle hanno ripreso la tradizione della Beò, una festa in costume che coinvolge tutti gli abitanti, e che – secondo alcuni tradizioni – ricorderebbe la cacciata dei Saraceni. L’ultima Beò si era svolta nel lontano 1958, e solo lo scorso inverno la tradizione ha ripreso vita. Molto probabilmente verrà ripetuta il 5 e 7 marzo del 2000, domenica e Martedì Grasso, per poi assumere una cadenza triennale. A piedi, nel vallone di Bellino La Beò rappresenta un’occasione ideale per scoprire il Carter n’Aut di Bellino, ovvero le sue borgate a quota più elevata (1.700 metri circa). Una vecchia via, in gran parte pedonale, collega Prafauchier, Celle e Chiazale: ad ogni passo si possono scoprire cortili con vecchi affreschi di soggetto religioso, meridiane, passaggi coperti, balconi su cui viene riposta la legna per l’inverno, una vecchia panetteria. Poi si sale ancora, verso le baite di Melezè e Sant’Anna, abitate soltanto d’estate. E proprio nel Pion dei Melze (Pianoro dei Larici, 1.800 metri) sorge un bell’edificio in legno, isolato in mezzo alla neve, che sembra giunto fin qui dal lontano Tirolo: è l’accogliente rifugio Melezè, nato dal recupero di una vecchia casermetta militare, a cui è stata aggiunta – proprio da una ditta altoatesina – una struttura in legno. Da quest’anno la strada che sale da Chiazale a Sant’Anna viene sgombrata dalla neve, e chi viaggia in camper può apprezzare la possibilità di raggiungere comodamente il vasto piazzale di fronte al rifugio, già noto ai turisti estivi. Ma di certo l’apertura invernale della strada lascia molti rimpianti: fino allo scorso anno si partiva – a piedi o con gli sci – da Chiazale e si saliva in 15 minuti al rifugio, che godeva così di un’invidiabile quiete, assai apprezzata da gestori e clienti. E con lo sgombero neve è scomparsa – insieme alla quiete – anche la pista da fondo che fino a Sant’Anna si snodava sulla strada, per poi effettuare un anello alla testata della valle: di tutto il tracciato resta soltanto un minuscolo anello al di là del torrente (e un progetto di pista tra Sant’Anna e il Pian Ceiol, forse agibile nel 2001). Difficile comprendere il motivo di questa scelta, visto che si trattava di una delle piste da fondo più piacevoli e meglio innevate della Val Varaita. Per fortuna i simpatici gestori del rifugio Melezè hanno individuato una valida alternativa nelle racchette da neve: presso il rifugio si possono noleggiare gli attrezzi, organizzare uscite con un accompagnatore professionista, raccogliere informazioni sulle condizioni della neve e sulle gite più interessanti e sicure.Le mete davvero non mancano: le passeggiate verso le più vicine meire, la breve gita da Sant’Anna alle grange Cruset (dominate dalla caratteristica Rocho Senghi) e a Pian Ceiol, la salita lungo la strada estiva fino alla vasta conca di Traversagn (adatta anche agli appassionati di fondo escursionismo), la risalita del lungo Vallone di Rui (valanghe permettendo). Un’altra bella escursione è quella che conduce al Colle della Battagliola: in tal caso bisogna ridiscendere fino a Pleyne (negozio di alimentari e municipio): qui si stacca la strada militare che dalla borgata Balz sale con molti tornanti ben esposti al sole fino al panoramico colle. Infine, per completare la conoscenza di Bellino, non può mancare una passeggiata fra le altre borgate del Carter n’Aval. Attraversato il Varaita, si può sostare a Chiesa (Rüà la Ghieizo) e continuare la visita a piedi: il bel campanile romanico della parrocchiale svetta tra le case, su molti edifici si notano grandi architravi, sculture ed enigmatiche teste in pietra poste a fianco dei portali (per i principianti dello sci c’è un piccolo skilift, aperto nei fine settimana). Una stradina scende a un ponticello sul Varaita, da cui si risale alla provinciale, trovando subito la strada che porta a Mas del Bernard, posta sul pendio assolato: passando tra le case un viottolo scende a Ribiera, il nucleo a quota più bassa di Bellino (1.400 m). Tornati a Chiesa, si può raggiungere in piano Fontanile: qui, come in altre borgate, si notano le lastre di pietra rotonde che proteggono le travi dei tetti. Infine non può mancare una sosta alla “Trattoria del Pelvo”, dove si possono gustare (previa prenotazione) le deliziose ravioles, sorta di gnocchi di patate impastati nella toma d’alpeggio e conditi con burro, panna e formaggio. Con gli sci, verso Chianale Se il Vallone di Bellino è ideale per le escursioni con le racchette e le gite scialpinistiche, il solco principale della Valle Varaita offre molte possibilità ai fondisti. E’ sufficiente raggiungere Casteldelfino, dove la valle si biforca, per trovare un anello di alcuni chilometri, in genere abbastanza ben innevato (quota 1.250). In teoria sarebbe possibile percorrere tutto il pianeggiante fondovalle, collegandosi agli anelli di Sampeyre, con un percorso di almeno 20 chilometri tra andata e ritorno. Ma il tracciato viene battuto solo in occasione delle gare, e nelle annate avare di neve conviene senz’altro fare una puntata a quote più elevate. Da Casteldelfino si sale allora verso Pontechianale, il centro per gli appassionati della discesa: offre una seggiovia e due skilift sul versante assolato (fino a quota 2.730) e due piccoli skilift sul versante ombroso. Poche invece le testimonianze artistiche: il nucleo principale è stato sommerso dal lago artificiale, e borgate come I Furest sono sommerse dai troppi condomini. Solo Genzana offre scorci interessanti, ma per gli amanti della natura e della cultura alpina la vera meta è Chianale, appena 4 chilometri più avanti. La strada che d’estate sale al Colle dell’Agnello è chiusa al traffico e in genere si sosta nel parcheggio all’inizio del paese. Qui c’è anche il piccolo mulino che ospita il centro fondo: attraversato il ponte sul Varaita si trova subito il raccordo delle piste. Verso valle c’è l’anello Luset (3 km), che percorre il pianoro fino ad affacciarsi sul solco del torrente e poi torna verso il paese collegandosi alla Cialm (4 km): questa pista transita alle spalle del paese, con begli scorci sulle architetture rustiche, quindi punta verso la testata della valle, per salire nel bosco di conifere sotto il Pian Vasserot, infine ridiscende al paese. In tutto sono 7 chilometri molto piacevoli, che grazie alla quota di 1.800 metri godono di un buon innevamento. Alle piste battute si affiancano poi alcune possibilità in neve fresca, come la facile salita sulla strada per Pian Vasserot, e l’escursione primaverile nel lungo, spettacolare Vallone di Soustra (richiede neve sicura). La sosta a Chianale è anche l’occasione per osservare questa bella borgata alpina, allineata lungo lo Chemin Royal per la Francia, che conserva la cappella di Sant’Antonio (prima metà del XV secolo), il suo bel campanile a vela, un ponte in pietra ad arco, la settecentesca parrocchiale di San Lorenzo, diversi antichi edifici. Proprio grazie alla salvaguardia delle sue architetture e dell’ambiente, Chianale ha cominciato ad attirare turisti estivi ed escursionisti francesi: così in pochi anni alla vecchia e simpatica locanda (buona cucina tipica) si è affiancato un posto tappa GTA, e sono stati aperti – in vecchie case ben ristrutturate – un negozio di alimentari con erboristeria, un’azienda agrituristica (con camere e dormitorio), e una pizzeria che propone anche piatti tradizionali. Un vero esempio di sviluppo turistico a misura d’ambiente. Sampeyre e Valmala Non si può parlare di feste e sci da fondo in Val Varaita senza prevedere la visita di Sampeyre. Qui si svolge ogni cinque anni la celebre Baìo, che secondo la tradizione ricorda la cacciata dei Saraceni dalla valle. In ogni caso, se l’innevamento è stato propizio, Sampeyre offre due brevi skilift e una bella pista di fondo che si snoda teoricamente per 25 chilometri lungo il fondovalle (ma non sempre è interamente battuta). Poi c’è una splendida escursione su neve fresca, adatta alle racchette e ideale per i fondisti. Seguendo le indicazioni per il Colle di Sampeyre, si passa il ponte sul Varaita e il campeggio, continuando se possibile fino alla borgata Sodani (1.200 m). Qui si calzano sci o racchette, e si risale lungo la strada o per gli aperti pendii innevati, fino alla sovrastante borgata Sant’Anna (1.428 m). Si continua sulla strada, che aggira il valloncello di Sant’Anna, fino al tornante dove si biforca: si trascura il ramo che a sinistra sale al Colle di Sampeyre per continuare sul tracciato pianeggiante che a mezza costa raggiunge le meire Fondovet (1.663 m), poste in una vasta e panoramica conca di pascoli. Da qui non c’è che l’imbarazzo della scelta: si può percorrere lo stradello che va in piano in direzione dei Tenou, oppure salire tra i boschi di Pian Fourengh e Pian Salserre, per poi scendere – su nevi spesso farinose, ideali per il telemark – fino a ritrovare la strada di mezza costa che riconduce a Fondovet (attenzione in caso di nebbia, non è facile orientarsi). L’ambiente è affascinante, l’innevamento quasi sempre ottimo, i terreni dolcemente ondulati, eppure curiosamente non vengono utilizzati per lo sci di fondo. Invece da anni si parla della costruzione di nuove seggiovie nella vicina conca di Sant’Anna. Una scelta perlomeno discutibile, considerando la crisi economica in cui versano gli impianti di risalita e il buon numero di fondisti che scelgono la Valle Varaita. Tanto che in valle c’è un centro fondo addirittura sovraffollato nei giorni festivi, in particolare quando la neve scarseggia nel fondovalle: le piste di Valmala. Per arrivarci si lascia la strada provinciale al ponte di Valcurta (tra Melle e Brossasco) e si sale con 9 chilometri di tornanti, spesso ghiacciati, al santuario di Valmala. Un paio di anelli partono proprio dal santuario (3 km), mentre un tracciato di collegamento conduce a Pian Pietro: qui iniziano diversi anelli concentrici (max 7,5 km) che si snodano tra i boschetti di betulle e i panoramici rilievi di Pian Madama. Unica avvertenza: se non volete piste troppo affollate, evitate la domenica e verificate in anticipo le condizioni di battitura (talvolta vengono preparate solo per il passo pattinato, senza i binari per la tecnica classica). Poi non dimenticate l’escursione (racchette o meglio sci da fondo) sullo stradello che sale in diagonale verso ovest, fino a raggiungere la strada militare che si snoda presso il panoramico crinale tra la Val Varaita e la Valle Maira: la si può percorrere per chilometri in direzione ovest, con ottimi scorci sul Monviso. Oppure si punta a est, raggiungendo subito il Colle di Valmala, da cui si continua sul crinale fino alla vicina vetta del Monte San Bernardo (1.625 m), vero balcone sulla pianura e sulla Val Varaita. La Beò di Blins L’appuntamento è per le due del pomeriggio, nella piazzetta a fianco della chiesa di Celle: qui si incontrano tutti i protagonisti della festa, con i loro vivaci costumi. Lou Viei, ovvero il vecchio, indossa una maschera di corteccia con barba e baffi di lana grezza, e porta addosso una gran quantità di arnesi: un campanaccio, le chàstues (racchette da neve), la feiselo (stampo per il formaggio) e anelli per legare il fieno, come se dovesse partire per un viaggio. Accanto a lui la Vieio (la vecchia), che indossa il costume tipico delle donne di Blins: ma attenzione, la parte è interpretata da un uomo, secondo l’antica tradizione che voleva soltanto protagonisti maschili. In verità, a causa dello spopolamento delle borgate alpine, nell’edizione odierna alcuni ruoli sono anche interpretati da donne: così ad esempio non sarà facile riconoscere chi si cela sotto il bianco velo, coperto di lunghi nastri colorati, delle Sarazines che danzano freneticamente accompagnate dai campanelli di cui sono rivestite. Il corteo si trasferisce fino a Chiazale ed entra nella borgata: davanti a tutti i Picounier, due ragazzi che fanno risuonare pesanti campanacci e devono avvistare le barrieres, i tronchi messi di traverso alla strada per impedire il passaggio e che – secondo la tradizione orale – simboleggiano le fortificazioni della battaglia con i Saraceni. A questo punto intervengono i Sapeur che, vestiti di nero e armati di scure, provvedono al taglio. L’ultimo colpo dà il via a danze e libagioni, che si susseguono dopo l’abbattimento di ogni barriero. Da Chiazale il corteo torna a Celle, scandito da eventi lasciati all’estro e all’improvvisazione dei protagonisti. Si assisterà così ai frequenti tentativi di fuga di qualche Arlequin dal cappello bianco ornato di nastri, con l’inseguimento del Souudà (in divisa da alpino) incaricato di tenerlo a bada. Un ruolo analogo ha il Carabinier, gendarme dai grossi baffi che tiene incatenato lou Turc, una delle figure più singolari della Beò: porta un copricapo fatto di specchi, balbetta parole incomprensibili e si agita come un forsennato quando passa in vicinanza di una chiesa o di una croce. Da Celle il corteo raggiunge la vicina Prafauchier: la larga via permette di osservare tutti gli altri personaggi: lou Monsù e la Damo che rappresentano la borghesia; lou Cadet e l’Espouso, ovvero la coppia di sposi in tenuta di nozze, lou Medic che deve prestar soccorso alla vecchia, lou Gingòlo che tiene a bada la folla (e soprattutto i fotografi troppo invadenti!). Dopo l’attraversamento di Prafauchier (con l’abbattimento di diverse barrieres), il corteo torna a Celle, illuminato dagli ultimi raggi di sole. Di fronte alla chiesetta dove era iniziata la festa, i Padrini e le Madrine della Beò cercano di convertire il Turc che tenta una fuga finale, ma viene riacciuffato e dopo il giuramento comincia a parlare in occitano. Il Martedì Grasso la Beò si ripete con le stesse modalità, ma portando in corteo i chichou, pupazzi in paglia che vengono bruciati al termine della giornata per simboleggiare la fine della festa. PleinAir 331 – febbraio 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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