Vacanze di precisione

Dalla bellissima capitale elvetica alle pendici del Giura, le cui cime si specchiano nelle acque del Lago di Neuchâtel: orologi e biciclette sono il filo conduttore di un itinerario alla scoperta dei cantoni occidentali della Svizzera, dove città storiche, dolci colline, animati centri turistici e solide tradizioni agricole compongono un sorprendente ritratto del paese alpino.

Indice dell'itinerario

Un viaggio in Svizzera è un viaggio, si direbbe, senza sorprese. Strade ottime, informazioni turistiche chiare e puntuali, aree di sosta funzionali e ben indicate. Una volta compresi i nostri diritti e ancor più i nostri doveri per non incorrere nella notoria inflessibilità elvetica, tutto sembra fin troppo tranquillo, senza neanche un pizzico d’imprevedibilità. Per fortuna, è una preoccupazione infondata.
Il nostro itinerario, del resto, è piuttosto composito e ci ha permesso di soddisfare interessi assai vari: si snoda infatti tra il Lago di Neuchâtel e il Giura dopo l’irrinunciabile visita a Berna, la capitale, e alla pittoresca Friburgo. Cuore dell’antica Helvetia romana con capitale ad Aventicum, l’attuale Avenches, quest’angolo di Svizzera è da sempre un crogiuolo di interazione economica e culturale tra diversi modelli sociali e politici. L’influenza della vicina Francia si percepisce con chiarezza nelle linee gotiche delle chiese e nell’impianto urbanistico dei centri abitati, mentre nel XVI secolo la Riforma protestante, con Berna a tirarne le fila, portò il vento della cultura tedesca a plasmare la vita sociale e religiosa degli abitanti. Solo Friburgo resistette all’influenza del luteranesimo, rimanendo fedele alla dottrina cattolica di cui ancora oggi è uno dei poli principali della Confederazione. Nel periodo successivo l’afflusso dei rifugiati ugonotti, fuggiti dalla Francia proprio a causa delle persecuzioni religiose, apportò risorse che favorirono lo sviluppo di industrie e laboratori, perlopiù dedicati alla costruzione di orologi: creatività e abilità caratterizzarono fin da allora la pregiata produzione di pendole, cipolloni da taschino e automi, tanto che già alla metà dell’800 queste regioni erano internazionalmente considerate come il centro dell’orologeria mondiale, da cui il moderno nomignolo di Watch Valley.
All’industria di precisione si affianca una produzione agricola e pastorale di tutto rispetto, la cui lunga tradizione – corroborata dalla classica immagine delle ondulate colline su cui pascolano placide mucche pezzate – conosce punte di eccellenza nei formaggi, come i prelibati il Tête de Moine e il Vacherin Mont-d’Or, e nei vini. E per non avere sensi di colpa nel cedere a queste tentazioni, basterà mettersi le scarpe da trekking o inforcare la bicicletta approfittando dei tanti itinerari ciclopedonali tra il verde dei pascoli, l’azzurro degli specchi d’acqua e la bianca cornice delle vette innevate.

Padri fondatori
La nostra prima tappa ci accoglie con un’atmosfera di piacevole allegria. Le bandiere che sventolano sulle facciate dei palazzi di Berna fanno da cornice alle Zähringerbrunnen, le fontane figurative erette nel XVI secolo in memoria di Berthold V von Zähringen, che nel 1191 fondò la città. Sulla Kramgasse, la strada principale del centro storico fiancheggiata da eleganti edifici settecenteschi. Subito ci sorprende l’intenso traffico di biciclette, il mezzo più utilizzato per gli spostamenti nel centro cittadino: parcheggi per le dueruote sono ad ogni angolo della strada e il trillo dei campanelli fa da sottofondo musicale alla nostra visita. Se poi dovesse piovere, i portici che corrono sotto i palazzi e lungo i negozi offrono un comodo riparo. Anche noi ne approfittiamo e, passeggiando sotto le volte, arriviamo al civico 49 dove una stretta scala porta a un appartamento di tre stanze nel quale ebbe inizio la fisica contemporanea: tra il 1902 e il 1909 vi abitò Albert Einstein, allora impiegato del locale ufficio brevetti. Le pareti fra le quali venne elaborato il primo nucleo della teoria della relatività sono tappezzate di documenti e fotografie del sommo scienziato.
Anche il più grande genio dello scorso secolo poteva udire i rintocchi della vicina Zeitglockenturm: poco più avanti, una folla di persone con il naso all’insù attende lo scoccare dell’ora, quando l’orologio della torre simbolo di Berna si anima e gli automi raffiguranti persone e animali si mettono in movimento. Non manca neppure un piccolo giullare che da quattrocento anni, di tanto in tanto, prende in giro i bernesi suonando l’ora in anticipo. Superata la torre ci troviamo nella Marktgasse e da qui in pochi minuti arriviamo alla Bundesplatz: tra la coreografia di zampilli d’acqua che escono dalla pavimentazione e le grida gioiose di bambini che si rincorrono tra gli spruzzi si innalza il massiccio Bundeshäuser, sede del Parlamento elvetico, eretto nel 1852. Poco distante, a rivaleggiare in imponenza, sorge il Münster, che con la sua torre di 100 metri è la cattedrale più alta della Svizzera. Questo importante esempio di architettura tardogotica, iniziato nel 1421 e completato nel corso dei successivi quattro secoli, ci accoglie con la grandiosità della navata centrale, accentuata dalla sobrietà dettata dai canoni della Riforma. Intitolato a San Vincenzo di Saragozza, ha bellissime vetrate policrome a contrasto con la solenne ruvidezza della pietra, mentre le arcate, scheletro portante dell’intera struttura, danno una sensazione di vertigine.
Costeggiando l’Aare, il fiume che bagna la città, ci dirigiamo verso il Nydeggbrücke, un ponte che lo scavalca con la sua unica campata in pietra di 55 metri. Sulla sponda opposta si trova il Bärengraben, la fossa degli orsi, un ricovero allestito intorno al XVI secolo proprio per questi animali, considerati all’epoca un portafortuna. La leggenda vuole che proprio qui Berthold V abbia ucciso un grosso plantigrado, e da ciò deriverebbe il nome della città (in tedesco Bär significa orso). Al momento lo scavo è vuoto, in attesa di nuovi animali da ospitare; e pur comprendendo il rispetto per la tradizione, in cuor nostro speriamo che rimanga sfitta e che all’orso, altro simbolo cittadino, sia riservato un destino più adeguato. Poco lontano, diamo il saluto a Berna dal Rosengarten dove, tra il profumo di oltre 200 varietà di rose, la vista spazia sopra i tetti del centro storico, lasciandoci un’indimenticabile immagine di questa città vivace e vivibilissima.

Un ponte fra due culture
Uscendo da Berna imbocchiamo la comoda A12 e copriamo velocemente i 35 chilometri che ci separano da Friburgo, ovvero Fribourg. La Sarine, il fiume che caratterizza la pianta urbana, avvolge con la sua ampia ansa il centro storico medioevale perfettamente conservato. Numerosi ponti di epoche diverse, dall’antico Sainte Apolline al più moderno Grandfey (opera di Gustave Eiffel) collegano le due parti dell’abitato rappresentando idealmente il ruolo che Friburgo ha avuto nei secoli: il ponte tra la cultura latina e quella mitteleuropea.
Passeggiando nella Basse Ville, le indicazioni in francese e in tedesco non sono che un’ulteriore conferma della doppia anima di Friburgo, se non bastasse il fatto che la città ospita l’unica università bilingue d’Europa. Dai suggestivi scorci che si aprono tra le eleganti costruzioni spicca il campanile della cattedrale di Saint-Nicolas, che caratterizza inconfondibilmente lo skyline cittadino. Costruito in oltre due secoli, dal 1283 al 1490, il torrione sovrasta una chiesa gotica che custodisce opere d’arte realizzate tra il XV e il XVI secolo, come la tribuna del coro, il fonte battesimale e il pulpito, ed è abbellita dalle vetrate dipinte dai maestri Josef Méhoffer e Alfred Manessier. Una storia dice che la torre rimase incompiuta per mancanza di fondi, e ciò in parte ci consola: i 368 gradini che si salgono nella claustrofobica scala a chiocciola mettono a dura prova gambe e polmoni, ma il panorama che si gode tra le guglie della sua cima, a 76 metri, è spettacolare. La Sarine che serpeggia fra i tetti rossi e la cornice delle Prealpi friburghesi ripagano ampiamente la fatica.
Se si ha tempo per un giro nei dintorni, merita una sosta la millenaria cittadina di Romont, a 26 chilometri da Friburgo. Il suo castello ospita l’interessante Vitromusée, che ripercorre la storia della produzione di vetrate artistiche attraverso l’esposizione di opere medioevali e rinascimentali. Vedere gli artisti al lavoro nell’atelier è un’occasione per conoscerne le tecniche, e anche per i bambini il divertimento è assicurato da giochi appositamente ideati. L’adiacente collegiata di Notre-Dame de l’Assomption, del XIII secolo, offre l’altro importante spunto di visita della città.

Di sponda in sponda
Prossima tappa del nostro viaggio è Murten, Morat in francese, affacciata sull’omonimo lago, che raggiungiamo percorrendo i 18 chilometri della strada panoramica che la collegano a Friburgo. Parcheggiato il v.r. all’ingresso dell’abitato, attraversiamo la Porta di Berna e ci ritroviamo immersi in un centro storico risalente all’XI secolo: se non fosse per le automobili, gli edifici che si affacciano lungo la Hauptgasse ci darebbero la sensazione di essere tornati al Medioevo. L’emozione del viaggio nel tempo si completa passeggiando sul cammino di ronda lungo le mura, l’unico ancora praticabile in tutta la Svizzera. I tetti delle case affacciate sul lago, sui quali svetta l’acuta guglia della trecentesca Marienkapelle, formano un insieme pittoresco. La vista non dev’essere cambiata poi molto da quando, nel 1476, si tenne in questi luoghi la battaglia in cui i Confederati sconfissero Carlo il Temerario, duca di Borgogna, prendendo definitivamente possesso del borgo. Oggi lo sferragliare delle spade è solo un ricordo: al suo posto ci sono i rumori delle barche e il vociare dei bagnanti attirati dalla gradevole temperatura dell’acqua.
Appena 8 chilometri ci portano ancora più indietro nel tempo ad Avenches. Il piatto forte di questa tranquilla cittadina è il Musée Romain, un’importante collezione custodita presso l’anfiteatro voluto da Adriano: la struttura, perfettamente conservata e con una capienza di 12.000 spettatori, ospita ancora oggi rappresentazioni teatrali. All’interno del museo i numerosi reperti e i plastici raccontano come doveva essere la vita al tempo dei Romani. Nei cinque piani dell’edificio, tra raffinate sculture e pregevoli mosaici tornati alla luce dopo secoli di oblio, spicca la copia del busto aureo dell’imperatore Marco Aurelio. Una breve e piacevole passeggiata nella campagna a ridosso della costruzione ci porta infine ai resti di Aventicum, dove alla luce del tramonto le vecchie mura assumono un intenso fascino evocativo.
Poco più a sud lungo la statale 1, la chiesa abbaziale di Payerne è considerata uno dei più alti esempi di architettura romanica in Svizzera. Qui deviamo per raggiungere le vicine sponde del Lago di Neuchâtel dove il centro di Estavayer-le-Lac, località nota agli amanti degli sport acquatici, è racchiuso nelle mura trecentesche e dominato dalle torri del castello di Chenaux, un maniero da fiaba costruito nel XIV secolo. La nostra attenzione è però rivolta soprattutto al Musée des Grenouilles e alla sua vasta collezione di rane impagliate, che sono disposte in modo da rappresentare satiricamente scene di vita quotidiana dell’uomo. Il professore impettito di fronte agli alunni, i commensali con la tavola imbandita, il barbiere con il cliente sono alcune delle composizioni che, a modo loro, riportano un singolare spaccato di vita del XIX secolo. Per gli amanti dei treni c’è anche un’interessante raccolta di lanterne ferroviarie.
Estavayer vanta un attrezzato porto turistico e belle spiagge; sul lago vela e windsurf vanno per la maggiore, ma chi preferisce rimanere con i piedi (o la bici) per terra ha a disposizione tanti sentieri di campagna, ideali per conoscere una natura affascinante e inattesa come quella della Grande Cariçaie, detta anche la Camargue svizzera. La riserva naturale, che è la più grande area ornitologica della Confederazione, tutela le zone paludose che si estendono sulla sponda meridionale del lago: e noi non ci facciamo sfuggire l’occasione di visitare questa distesa di canneti e di prati allagati, dove si può ammirare la ricca varietà di uccelli che vi trovano rifugio e che fanno di questo luogo un autentico santuario per l’appassionato birdwatcher.

Vino, cioccolata e orologi
Puntiamo sul vertice meridionale del lago per raggiungere Yverdon-les-Bains, altra rinomata meta turistica dalla vivace eleganza. L’affollata Place Pestalozzi, dedicata all’illustre pedagogo svizzero, è dominata dal massiccio castello che ospitò l’istituto fondato dal luminare. Oggi l’antica fortezza è sede del Musée d’Yverdon et Région, in cui sono presenti reperti che spaziano dalla storia naturale ai ritrovamenti archeologici nei pressi del lago, fino ad arrivare alle collezioni etnografiche e di egittologia.
Nella vicina Grandson le stanze dell’imponente castello ospitano un’interessante raccolta di armature medioevali e di plastici della battaglia del 1476; non mancano la stanza delle torture, le prigioni e il suggestivo chemin de ronde, che regala splendide vedute sulla cittadina e sul lago. La vera particolarità del castello la scopriamo tuttavia nelle ex stalle, dove è stata collocata una raccolta di luccicanti vetture d’epoca tra cui splende la bianca Rolls Royce di Greta Garbo.
I 30 chilometri o poco più che costeggiano il lago verso Neuchâtel sono un susseguirsi di scorci sulle vigne, grande vanto di questa regione. Poco prima di giungere al capoluogo è doverosa una sosta al castello di Boudry, una vera e propria ambasciata dell’enologia locale: dopo la visita al Musée de la Vigne et du Vin, nella fornita enoteca si può gustare un assaggio del nettare prelibato.
Arriviamo finalmente alla città che dà il nome al lago, simile alla principessa di una favola: bella, elegante e con uno spiccato accento francese, così descriveremmo Neuchâtel. Camminando tra edifici signorili arriviamo a Place des Halles, con la rinascimentale maison impreziosita dalle particolari torrette angolari. La piazza è l’epicentro della vita mondana della città, molto apprezzata dagli amanti dello shopping e della vita notturna, ma le stradine del centro storico sono animate anche dall’allegria degli studenti universitari. In ogni caso, tappa da non perdere è il negozio dove nel 1825 Philippe Suchard diede inizio alla produzione del suo famoso cioccolato.
Per smaltire l’eccesso di calorie ci incamminiamo verso la parte alta dell’abitato e giunti alla Croix-du-Marché, piccola e graziosa piazzetta ornata da una cinquecentesca fontana, prendiamo la ripida Rue du Château. La stradina ci porta in cima alla collina che domina Neuchâtel, con la collegiata di Notre Dame e il castello, entrambi del XII secolo; la fortezza, che oggi ospita la sede del governo cantonale, ha subito pesanti rimaneggiamenti nella prima metà del secolo scorso. Lo spazioso belvedere introduce alla collegiata, originariamente di architettura romanica e in seguito interessata da interventi in stile gotico nelle navate e nella facciata occidentale. Al suo interno risalta il monumento dei conti di Neuchâtel, del 1372, costituito da un articolato complesso di statue policrome raffiguranti dame e cavalieri.
Decisi a salire ancora più in alto, questa volta con la funicolare che parte dal quartiere di La Coudre, arriviamo in vetta al monte Chaumont (1.101 m), da cui si apre una spettacolare vista sui due laghi e sulle Alpi. Per gli amanti della mountain bike, il ritorno verso l’abitato è una vertiginosa discesa tra i boschi che coprono le pendici del monte; noi preferiamo il più lento e meno pericoloso rientro per la stessa via dell’andata.
Bastano pochi chilometri per passare dall’animazione di Neuchâtel ai silenzi alpini. La panoramica strada 20 sale diretta verso il Giura e in breve tempo, fra boschi e pascoli, le dolci colline diventano severe montagne. A ogni curva la vista si apre su questo ambiente dove, a 1.000 metri di quota, si trova La Chaux-de-Fonds. Sull’insolita pianta a scacchiera (la città fu ricostruita dopo il terribile incendio che la distrusse nel 1794) si erge la Tour Espacité, simbolo dello spirito moderno al quale fa da contrappunto la vicina fontana monumentale in stile Sapin, espressione locale dell’Art Nouveau. Oltre che essere un ottimo punto di partenza per escursioni a piedi, in bicicletta o a cavallo, la città diede i natali a uomini illustri – il pioniere dell’auto Louis Chevrolet, lo scrittore Blaise Cendrars, l’architetto Le Corbusier – ed è uno dei poli culturali più importanti della Svizzera. Tra le varie collezioni non poteva mancare un Musée International d’Horlogerie, e nella curata scenografia delle sue vaste sale è in mostra tutta la perfezione tecnica dell’estrosa produzione elvetica. Oltre 4.500 pezzi, i più vecchi dei quali risalgono al XVI secolo, documentano la storia e l’evoluzione degli strumenti di misura del tempo fino alle più avanzate tecnologie dei giorni nostri. Tra i giganteschi meccanismi degli albori e i moderni microingranaggi, resteremmo per ore a osservare il palpitare di queste opere d’arte che scandiscono i secondi: ma si sa, il tempo è tiranno e anche per noi è giunta la fine di questo viaggio alla scoperta della Svizzera romanda.

Testo e foto di Adriano Savoretti

PleinAir 454 – maggio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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