Vacanza laghi e monti

Negli anni '30 due invasi artificiali ridisegnarono le valli del Salto e del Turano, la parte più orientale della provincia di Rieti. E oggi quei borghi spopolati trovano nel turismo secondo natura un ottimo alleato per far rivivere le proprie peculiarità paesaggistiche, storiche e ambientali.

Indice dell'itinerario

Protesa verso il massiccio abruzzese del Velino, la parte sud-orientale della provincia di Rieti si sviluppa a cuneo alternando montagne di discreta imponenza – si sale anche al di sopra dei 1.500 metri – a due valli di quota più modesta, in cui i fiumi Salto e Turano si allargano a formare i rispettivi laghi di sbarramento. Soprattutto in corrispondenza del primo ci troviamo di fronte a una delle zone più aspre e meno popolate della Sabina, mentre il secondo segna il confine con una fascia collinare che già fa intuire le non lontane prospettive sul Tevere. Tra i due si estende la Riserva Regionale dei Monti Navegna e Cervia, a completare un territorio che in pochi chilometri è capace di offrire al pleinair gli interessi più vari: ambienti e paesaggi in cui la natura riveste un ruolo di primo piano, garbati paesi medioevali e un’atmosfera tradizionale che si anima soprattutto durante l’estate con feste e sagre un po’ ovunque.

A sud del Salto
Una superstrada di 70 chilometri, sinora incompleta nel tratto iniziale da Rieti, percorre tutta la valle del Salto fino all’omonimo casello dell’autostrada Roma-L’Aquila: dal capoluogo sabino si tratterebbe dunque di un accesso naturale che però decidiamo di trascurare preferendogli un’invitante strada di crinale, con poche curve e scarsamente frequentata, che attraversa il piccolo abitato di Fassinoro e, in poco meno di 25 chilometri dalla partenza, ci conduce al bivio per Vaccareccia. Presto si noteranno le squadrate architetture di quello che fu uno dei più importanti centri benedettini della zona, San Salvatore Maggiore, paragonabile per importanza all’abbazia di Farfa da cui provenivano i monaci che lo fondarono nella prima metà dell’VIII secolo. Il monastero si avvalse della protezione longobarda e poi di quella franca, raggiungendo una potenza e un’autonomia che lo misero sovente in conflitto con la diocesi reatina; saccheggiato e dato alle fiamme nell’891 in una delle scorrerie che la pirateria saracena compiva in quegli anni fin nelle parti più interne della penisola (sette anni più tardi sarebbe toccato alla stessa Farfa), poté essere ricostruito soltanto nel 974. Dopo di allora tornò alla sua floridezza fino al XIV secolo, quando un nuovo attacco sferrato questa volta da Rieti ne invase castelli e possedimenti assediando e spogliando la stessa abbazia, nella quale venne incendiato tutto quanto ci fosse d’infiammabile, ivi compresi… i codici della biblioteca e l’archivio nel quale erano conservate le carte preziose accumulate in tanti secoli . Tempo dopo, visto che il ricco feudo era oggetto di bramosie esterne fin troppo pressanti e pericolose, il Papa si risolse ad instaurare un regime di abati accomandatari, e con la fine dell’autogoverno ebbe inizio la lunga decadenza di San Salvatore. Oggi, osservando il campanile dalla forte sagoma, si intuisce che doveva servire in origine da torre di avvistamento, mentre all’interno alcuni restauri evidenziano correttamente le parti ricostruite. Il Comune di Concerviano vi ha aperto una biblioteca, in funzione durante i mesi estivi, che costituisce una sezione staccata della Paroniana di Rieti.
Oltre il monastero incontriamo la frazioncina di Pratoianni (nei cui pressi si trova l’azienda agricola Torvillage che offre servizio di ristorazione, alloggi in chalet e possibilità di sosta con il v.r.) e ancora più avanti Concerviano, ormai affacciato sul fondovalle del Salto: qui proseguiremo verso il lago rimanendo sulla vecchia statale che corre di lato al fiume. Il Cicolano, che si identifica oggi con tutta la vallata e non più con la sola riva destra, fu per secoli territorio del Regno di Napoli spettando proprio al corso d’acqua la funzione di confine con i territori pontifici; ai tempi di Roma lo popolavano gli Equi, di cui si perpetua il nome attraverso la trasformazione medioevale di aequicolani in cicolani.Ed eccoci sulle ramificate sponde dell’ampio Lago del Salto che dal 1940 ha radicalmente mutato l’immagine paesistica di questo territorio. Se la superstrada, che si sviluppa in quota sulla sponda settentrionale, riceve in genere modesto traffico, la perimetrale che per quasi 60 chilometri segue fedelmente il profilo del bacino è addirittura deserta; il popolamento della zona fu infatti drasticamente ridotto dall’allagamento delle superfici agricole della scoscesa vallata, e la gente non poté fare altro che spostarsi altrove. La realizzazione dell’invaso ebbe inizio negli anni ’30 (come per il Turano) allo scopo di procurare energia idroelettrica alle acciaierie ternane, anche se alla base dei progetti c’era un motivo di carattere idrogeologico: i due fiumi, infatti, si riversavano nel Velino esondando talvolta nella piana di Rieti, con non pochi problemi per la città e il circondario.
Svoltando a destra la strada corre inizialmente sulla diga, alta un centinaio di metri. A livello dell’acqua, su questo lato, non si incontrano abitati e l’ambiente rimane piuttosto chiuso con la vista del lago quasi sempre preclusa dalla vegetazione: merita dunque attenzione l’ampio accesso alle rive che si offre qualche chilometro dopo lo sbarramento, ed è qui che fanno solitamente base i piccoli natanti (per quelli a motore, ammessi solo nei giorni feriali, il limite di potenza è di 4 cavalli e comunque a non meno di 100 metri dalle sponde). Gli appassionati di pesca con l’abituale licenza potranno invece ottenere il tesserino nei bar e nei ristoranti.
Alcune stradine che si inerpicano in quota permettono di scoprire la pace di borghi che nel tempo hanno visto scendere i loro residenti a pochi anziani, tanto che vi manca talvolta anche il bar: Rocca Vittiana, un pugno di casette medioevali che sotto il dominante palazzo d’epoca presenta un valido belvedere sul lago, Poggio Vittiano e Varco Sabino, che ospita gli uffici della riserva dei monti Navegna e Cervia (alla quale dedicheremo il nostro interesse nella seconda parte del percorso). Il nome di Varco Sabino è piuttosto calzante: la forma stessa dell’abitato, sottostante ad aspri tetti di roccia, rammenta la probabile origine dell’insediamento come passaggio antichissimo e obbligato dei pastori che dai freddi altipiani al confine con l’Abruzzo portavano le greggi a svernare nella campagna romana. Occorre posteggiare il camper alle prime case, poiché la strada centrale del paese è assai stretta e in forte pendenza; verso la metà si stacca sulla destra una scalinata che conduce alla grotta calcarea dedicata, con un altare e una piccola statua, al remoto culto dell’Arcangelo Michele.
Tornati al mezzo e proseguendo in direzione di Vallecupola ci si ritroverà sul percorso che tuttora è l’unico vero collegamento della valle del Salto con quella del Turano. Appena sotto Varco Sabino si stacca inoltre una carrareccia preclusa ai veicoli a motore ma non alle biciclette: dopo circa 6 chilometri, in località Le Forche, il tracciato si collega al sentiero per il Monte Navegna proveniente da Ascrea.
Altri piccoli centri del versante meridionale sono Rigatti, con una rocca oggi di proprietà privata, Girgenti e Marcetelli. In quest’ultimo, a 400 metri sul livello del lago, operano gli ultimi artigiani capaci di curvare a mano le assi di castagno per trasformarle in tini e bigonci per la vigna: un antico mestiere quasi estinto in un settore dove la plastica regna ormai sovrana.

Donne d’altri tempi
Ridiscesi al lago e continuando a percorrerne le sponde ci imbattiamo nel lungo ponte su pilastri che conduce a Fiumata, in soleggiata posizione sulla riva settentrionale: qui si trovano bar e negozi, un distributore di carburante, la sede della Comunità Montana e un comodo piazzale di sosta, che ne fa anche il miglior punto di partenza per escursioni nei dintorni. Assai piacevole è il sentiero che, toccato il borgo di Sant’Ippolito, prosegue verso una gola alta e boscosa dove il Salto diventa lago, in un ambiente straordinariamente selvaggio frequentato da cinghiali e altri animali selvatici; un’antica struttura di vedetta annidata su uno sperone fra gli alberi testimonia l’importanza che ebbe anticamente il controllo di questo passaggio. Disponendo di un piccolo natante si potrà invece, partendo da Fiumata, esplorare il punto d’immissione del fiume con una facile navigazione lacustre.Il percorso litoraneo si snoda ora tra il verde attraverso le poche case di Teglieto fino a Borgo San Pietro, frazione costiera di Petrella Salto che con i suoi ristoranti è punto di riferimento turistico del lago: la cosiddetta Spiaggia dei Pioppi, fronteggiata da un parcheggio parzialmente ombreggiato utile anche per una sosta di qualche giorno, si rivela decisamente adatta a chi voglia varare canoe o altri piccoli natanti. L’abitato non presenta invece particolari attrattive, essendo stato costruito con tutta evidenza per restituire un tetto agli abitanti le cui case erano finite sommerse dalle acque dell’invaso; dell’antico borgo è rimasta solo la cappella affrescata di un monastero fondato nel XIII secolo da Santa Filippa Mareri, singolare figura di nobildonna e francescana che verso il 1225, intorno ai trent’anni di età, si rifugiò in una grotta riuscendo così ad imporre alla sua potente famiglia la scelta di dedicarsi alla vita religiosa. Vale la pena visitare ciò che resta dell’eremo – a suo tempo installato in un piccolo castello che i fratelli di Filippa si risolsero infine a regalarle – insieme al museo conventuale in cui sono conservati pezzi assai eterogenei (tra cui paramenti e arredi sacri, ex voto, un bel portale cinquecentesco in legno e persino alcuni dipinti di Giorgio De Chirico).
Quanto alla casata dei Mareri, era destinata a dominare il Cicolano con alterne vicende fino al ‘500, quando il feudo giunse in eredità al conte Gianfrancesco. Sposato a una Carafa di Napoli, venne a sapere di una tresca intrattenuta dalla consorte con un paggio e decise di informare la famiglia di lei inviando il giovane con una lettera, ma il messo fu ucciso sulla via del ritorno da sicari degli stessi Carafa. Dall’omicidio scaturì una terribile e definitiva vendetta: il fratello del paggio si alleò con un tal Facchini (al quale, tempo prima, il conte aveva dato in sposa una sua figlia naturale promettendogli un castello ma poi rifiutandogli il dono) e fece strangolare i Mareri, conte e contessa in testa. Sopravvisse solo una bimba, Costanza, che venne scaraventata dalla finestra ma rimase appesa a uno spuntone di roccia. Era comunque la fine della signoria: sposatasi e rimasta vedova, Costanza vendette il feudo a un Colonna.
Anche la sede comunale, Petrella Salto, non è da meno in fatto di storie d’altri tempi. Il centro si presenta con caratteri decisamente medioevali, qualche nobile palazzo e una grande chiesa del ‘600, mentre una rotabile esterna all’abitato guadagna la selletta sotto la rocca, i cui resti sorvegliano i tetti del paese antico e buona parte della valle; i pochi muri tuttora in piedi circondano un piccolo slargo nel quale, curiosamente, è cresciuto un noce. Ma se qualcuno sale fin quassù è probabilmente per la memoria di un’altra vicenda che oggi diremmo di cronaca nera, quella di Beatrice Cenci, svoltasi tra Roma e la Sabina alla fine del XVI secolo. Era il 1595 quando il patrizio romano Francesco Cenci ritenne opportuno eclissarsi per qualche tempo in seguito a un processo che, con l’accusa di vizio nefando , l’aveva condotto a un passo dal rogo: ottenuto dai Colonna l’uso della rocca di Petrella Salto, vi si trasferì con la seconda moglie Lucrezia e la figlia di primo letto Beatrice, allora diciottenne. Dopo lunghi patimenti a causa del carattere violento e prevaricatore del padre, che la costringeva a una vita da reclusa e che infieriva brutalmente anche su Lucrezia, la fanciulla chiese all’umile calderaio Marzio di aiutarla a fuggire: ma ottenne solo che egli consegnasse una lettera a Roma a uno zio della madre, il quale decise di scrivere a Francesco per invitarlo a dare la figlia in sposa o a metterla in convento. La scoperta del complotto costò a Beatrice le frustate del padre e l’isolamento a pane e acqua, mentre Marzio venne incarcerato. A questo punto entra in scena Olimpio Calvetti, fiduciario dei Colonna a Petrella Salto: la sua posizione e il fatto di risiedere al castello favorirono la nascita dell’amore con Beatrice, finché la fanciulla ottenne il suo appoggio per uccidere il padre. Dopo vari tentativi falliti, l’operazione venne compiuta nottetempo – con la partecipazione del calderaio che era stato liberato per l’occasione – dallo stesso Olimpio, il quale gettò dall’alto della rocca il corpo senza vita di Francesco Cenci. La conclusione fu altrettanto tragica: Marzio perì in carcere, Olimpio fu ucciso dai cacciatori di taglie e il tribunale dello Stato Pontificio condannò a morte Beatrice e Lucrezia, che furono decapitate su un palco alzato davanti a Castel Sant’Angelo. Nella Capitale non dovette passare molto tempo perché Beatrice fosse mitizzata come una classica eroina, e in seguito la sua storia sarebbe divenuta il soggetto di opere di celebri scrittori tra cui Shelley, Stendhal e Dumas padre.Passeggiando sui prati
Un’ultima tappa ci aspetta sulla sponda settentrionale del lago, questa volta all’insegna della natura. Fiamignano, a poco meno di 1.000 metri di quota, nacque dopo l’incendio con cui verso la fine del ‘200 le truppe angioine distrussero il preesistente castello di Poggio Poponesco, di proprietà dei Colonna. Al Poggio, ancora più in alto di Fiamignano, si arriva prendendo a sinistra alle ultime case del paese e di nuovo subito a sinistra, per una strada asfaltata ben percorribile anche in camper: dell’antico insediamento rimangono parte delle mura, qualche resto di abitazioni e soprattutto una slanciata e panoramica torre castellana restaurata in anni recenti; nei pressi sorge l’antica chiesetta di Santa Maria del Poggio.
Continuando per la deviazione iniziale ci si può invece dirigere al Piano di Rascino per una strada asfaltata che, qualche chilometro oltre il ciglio montano, diventa uno sterrato in disagevoli condizioni. Qui la bici mostrerà la sua utilità, ad esempio per raggiungere il ramificato lago di Rascino e il rifugio del Monte Uscerto, nei pressi del quale si trova anche l’unica fonte potabile del pianoro carsico.
A questo punto risulterà utile la carta dei sentieri in scala 1:25 000 (acquistabile nei bar e nelle edicole di Petrella Salto e di Fiamignano) per passare all’esplorazione, a piedi o anche in bicicletta, dei luoghi montani più suggestivi e appartati al di sopra della valle. Segnaliamo in particolare il sentiero 2, che passa nei pressi dell’antico castello di Rascino accanto al quale si riconoscono le fondamenta del villaggio che sorgeva quassù in epoca medioevale. Continuando a salire il percorso rasenta un altro piccolo piano con un minuscolo stagno da abbeverata, godendo poi della magnifica veduta delle praterie del Cornino circondate da foltissime faggete. Salendo lungo una pista tra gli alberi si potrà infine scegliere se proseguire verso il Nuria (1.888 m) o il Nurietta (di poco più basso): nel primo caso, solo una bussola o un altro dispositivo per l’orientamento vi permetteranno di identificare la cima in un’estesa dorsale di quote equivalenti.

I castelli del Turano
Completato il giro intorno al Lago del Salto, chi desidera rientrare potrà ora sfruttare la superstrada per fare ritorno a Rieti o, nella direzione opposta, per immettersi sulla A24 al casello di Valle del Salto.
Chi invece vuole proseguire il viaggio alla scoperta del Lago del Turano non dovrà fare altro che riportarsi sull’altro versante del bacino e, come già accennato, prendere per Varco Sabino. Continuando per poco meno di 3 chilometri si entra a Vallecupola, un sito incantevole che dai suoi 1.000 metri di quota fronteggia uno scosceso versante del Navegna folto di faggi: appena una ventina di persone risiedono stabilmente in questo borgo di verace impronta medioevale, con un ampio e invitante parcheggio fuoriporta che si riempie solo nel mese di agosto quando rientrano gli emigranti. Nei dintorni parte una stradina che conduce a una sella con il fontanile di Raina, d’acqua potabile, vicino al quale una tabella in legno indica il sentiero per il Navegna, con un dislivello di circa 450 metri.
Ripresa la provinciale, che in questo tratto mostra paesaggi di accattivante solitudine, da Longone Sabino si potrebbe scendere subito al lago imboccando il bivio per Stipes e Posticciola: vale invece la pena rimanere sul percorso principale per allargare il giro a Rocca Sinibalda. Il paese merita infatti la visita anche se il castello, cambiatane la proprietà nel 2002, oggi non è più accessibile liberamente al pubblico; progettato dal senese Baldassarre Peruzzi, rimane una presenza assai significativa dell’epoca che seguì al sacco di Roma nel 1527 da parte dei lanzichenecchi, con la necessità di creare presidi capaci di resistere ad armi pesanti quali bombarde e cannoni, ma anche di realizzare una dimora comoda e raffinata – si era del resto in pieno Rinascimento – come la voleva il committente cardinal Cesarini.Non tutti sanno che il nome di Lago del Turano solo col tempo si è imposto su quello di Lago di Posticciola, derivato dal paese subito a valle della diga ma più in alto di essa. Posticciola, pochi chilometri a sud di Rocca Sinibalda, è anche il primo centro che si incontra nel caso in cui si provenga dalla Via Salaria, prendendo la deviazione che passa per Monteleone Sabino. All’ingresso dell’abitato un vasto piazzale elimina qualsiasi difficoltà di sosta e permette di curiosare a piacimento nel centro antico, dominato da una rocca (anch’essa oggi di proprietà privata). Il parcheggio è anche la base più opportuna per esplorare, a valle dello sbarramento, il selvaggio ambiente del fiume, talvolta utilizzato dai canoisti per discese che conducono fino a Rocca Sinibalda. Seguendo per svariati chilometri la sponda occidentale, lungo una strada che offre solo qualche raro e angusto spiazzo per una breve sosta, ci portiamo a Colle di Tora, in pittoresca posizione sulla penisoletta che dà inizio alla parte più frastagliata e spettacolare del bacino. Conviene parcheggiare il mezzo alle soglie del paese per continuare a piedi nella parte bassa, con vedute verso il dirimpettaio Castel di Tora, fino a una gradevole piazzetta con chiesa del ‘700. Nei pressi è possibile affacciarsi nuovamente sulle acque che si presentano però scarsamente avvicinabili, qui come altrove, a causa delle scoscese pendici; a seguito della nascita del lago, che diede il colpo di grazia alla già provata economia agricola della zona, Colle di Tora dovette fra l’altro lamentare la scomparsa delle tradizionali colture e lavorazioni del lino e della canapa.
Uscendo dall’abitato si trova un’altra zona molto adatta alla sosta, a poche decine di metri da un ristorante, ma che potrebbe passare inosservata perché occorre svoltare subito a sinistra, con un netto angolo acuto, nel momento di riportarsi sulla provinciale. La riva è più in basso quanto basta per non correre rischi in caso di variazione del livello dell’acqua, e nella stagione calda il sito appare frequentato da bagnanti e pescatori.
Osservato dal ponte che ci porterà sull’altra sponda del lago, Castel di Tora si presenta con una sagoma assolutamente caratteristica, divenuta quasi un simbolo dell’intera valle: alla sommità, una larga e massiccia fortificazione medioevale a cinque lati fonde infatti il suo profilo con quello del più tardo Palazzo Soderini, che a fine ‘800 fu residenza del medico condotto (ma, come altri edifici storici della zona, oggi non è visitabile perché privato). Il paese, mantenuto con evidente garbo, si fa notare per la grazia di archi e cortiletti come pure per lo scorcio di acque verdi e azzurre che si gode dalla piccola fontana del Tritone. Per sostare conviene scegliere fuori porta l’ampio tratto di strada antistante il municipio (vi si fermano di regola anche i mezzi che, nella prima domenica di Quaresima, affollano la tradizionale e frequentatissima festa invernale del Polentone).
La singolare “spiaggia” rocciosa che si trova alla radice del ponte sotto Castel di Tora è quanto rimane del tratto iniziale della strada che collegava il paese a Rieti, ma che finì sott’acqua con la costruzione della diga. Guardatevi però dall’entrare con il camper nel vicino parcheggio sull’altro lato della provinciale, poiché è assai difficile manovrare per uscirne; meglio lasciare il mezzo nella laterale campestre all’altra estremità del ponte. Per belle passeggiate in bici va segnalata la litoranea nord, di cui è stata completata da pochi anni l’asfaltatura: praticabile anche in camper e poco frequentata, si presta a riposanti pedalate sull’anello che da Castel di Tora percorre la diga e rientra via Colle di Tora. Volendo invece misurarsi con un duro percorso di quota, un appassionato del posto ci ha consigliato una stradina che risale la montagna alle spalle di Castel di Tora sino al fontanile di Raina che già avevamo toccato da Vallecupola: da questo lato si tratta di una faticosa direttissima di 5 o 6 chilometri, di indiscutibile soddisfazione panoramica… e polmonare.

Salite al Navegna
Gli ultimi due paesi che godono della vista del lago, Ascrea e Paganico Sabino, ne sorgono alquanto distanti, incastrati a mezza costa sui rilievi protetti dalla Riserva Naturale Regionale dei Monti Navegna e Cervia.
Riprendendo la provinciale oltre Castel di Tora, con un minimo di attenzione si troverà qualche sentiero o passaggio che consente la discesa al lago, fronteggiato sulla riva opposta da suggestive aree a prato; qualche centinaio di metri oltre il bivio di Ascrea è invece ben visibile sotto la strada un’ampia zona adatta al parcheggio in prossimità dell’acqua (ma attenzione a non uscire dai tracciati per non incorrere in sanzioni). Fermato il camper e scaricate le bici, una breve pedalata vi condurrà a un ponte che passa sull’altra sponda, dove uno sterrato con molte buche consente di raggiungere i prati visti poco prima dalla strada.

Ad Ascrea l’unica estemporanea possibilità di sosta – a meno di non salire anche qui in bicicletta – consiste nel fermarsi a lato della rotabile vicino all’ingresso del paese. La mancanza di spazi dovuta alla scoscesa orografia obbliga il Comune, in occasione di sagre e feste come quella delle tagliatelle ai porcini che si svolge in agosto, a predisporre pulmini navetta dalla parte bassa della strada. Le origini del borgo risalirebbero al XIV secolo con il concorso degli abitanti di Mirandella, un villaggio che sorgeva più in quota; ma il paese è soprattutto un valido punto di partenza per l’escursione (anche con guide) ai 1.508 metri del Monte Navegna, che richiede circa 5 ore in tutto. Occorre proseguire sulla strada oltre l’abitato fino alla curva dalla quale si stacca il sentiero, con magnifiche viste sul bacino del Turano, che passa alle pendici del Monte Filone e sfiora i ben visibili resti di Mirandella; si trova così una pista da seguire fino ai prati di Casali Le Forche, a 1.100 metri, con bestiame al pascolo, un fontanile non potabile e un paio di piccole stalle, accanto alle quali parte il sentiero che, con un largo giro sul versante spoglio della montagna, sale fino ai prati della tondeggiante sommità.
Paganico Sabino dista in linea d’aria poche centinaia di metri da Ascrea, ma ne è separato dall’impervia gola dell’Obito: dato però che un sentiero riesce a discendere e risalire il varco, da un abitato all’altro si può arrivare a piedi in circa un quarto d’ora, passando un ponticello sul torrente, invece che per i 5 o 6 chilometri della rotabile. La stessa scorciatoia vi servirà da approccio a un’escursione di circa un’ora lungo il canyon, immersi in una natura selvaggia, fino a bei castagneti ideali per un picnic; in alternativa, una carrareccia chiusa ai mezzi privati ma accessibile in mountain bike parte dal cimitero di Ascrea e raggiunge la zona raccordandosi al sentiero dal lato opposto, ancora con un passaggio sul torrente e poi attraverso i castagni.
Secondo un’incerta tradizione, l’Obito prenderebbe il nome dal latino obitus, morte, a seguito di una strage di saraceni giunti fin quassù a depredare questo remoto angolo di Appennino: una leggenda che tuttavia ben si sposa all’altra credenza secondo la quale Paganico si chiamerebbe così perché vi sorse un insediamento di pagani, ovvero saraceni sopravvissuti (e fino a qualche decina d’anni or sono, nel periodo di Carnevale si teneva una danza detta appunto moresca che simulava una battaglia tra infedeli e cristiani).
Il paese è anche un buon punto di partenza per un’escursione di qualche impegno alla seconda cima dell’area protetta, i 1.438 metri del Monte Cervia; se invece si vuole una più facile alternativa è necessario riprendere il mezzo, portarsi sulla provinciale e aggirare la montagna da sud transitando sotto Collalto Sabino fino a Collegiove (in tutto una ventina di chilometri). Il sentiero si trova continuando fin quasi all’uscita dell’abitato, accanto all’ultimo edificio, ed è riconoscibile per la parte iniziale cementata; nei pressi, una piccola cava dismessa offre spazio per il parcheggio di diversi mezzi. Rispetto alle forme più compatte del Navegna, il Cervia si presenta come un esteso muraglione verde dal lungo crinale: la salita attraversa il versante boscato della montagna coprendo un dislivello di poco meno di 450 metri.
Sulla via del ritorno, senz’altro da prevedere l’ultima brevissima deviazione per Collalto Sabino, dove si può apprezzare uno dei castelli del Lazio meglio conservati: situato a quasi 1.000 metri, segna il punto più elevato del centro storico con le merlature e la sagoma slanciata delle torri che contribuiscono all’aspetto vagamente fiabesco acquisito nell’800 per volere di un nobile ungherese (ma la costruzione risale ad almeno quattro secoli prima e vi intervenne anche un cardinal Barberini nel ‘500). L’attuale proprietario, oltre ai restauri, ha reso particolarmente accoglienti gli interni con quadri, mobili e decorazioni d’epoca, aprendo inoltre l’edificio a cerimonie e congressi. Entro le mura si trova un bel parco, mentre il punto panoramico per eccellenza è il mastio dal quale la vista corre sulle vette del Lazio e dell’Abruzzo potendo distinguere, nelle giornate limpide, una trentina di paesi.
Da qui il giro dei due laghi e della riserva si chiude comodamente, scendendo in pochi chilometri al casello di Carsoli sull’autostrada Roma-L’Aquila.

PleinAir 418/419 – luglio/agosto 2006 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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