Una storia scritta nel marmo

Qui il creatore del David veniva a cercare la materia prima per le sue sculture: è la Strada di Michelangelo fra i rilievi delle Alpi Apuane.

Indice dell'itinerario

La Versilia è una striscia di terra che finisce in spiaggia, sfolgorante di richiami balneari: un caposaldo della vacanza in riva al mare, ma dove lo spazio per il turismo itinerante è davvero poco (se si eccettuano i campeggi costieri) e faticoso da individuare. E allora via, verso l’interno dove subito si leva l’alta barriera delle Apuane, tranquille e velate d’azzurro se viste dal Tirreno, ma incombenti dai paesi che sorgono nell’immediato entroterra: alcuni se ne stanno larghi e comodi in pianura, contigui alle frazioni rivierasche, in altri invece già si respira la severa imponenza della montagna.
Così è Seravezza, posta proprio dove si innalzano i primi rilievi che sembrano proteggere e nascondere l’abitato, costruito a cavallo della congiunzione delle gole formate dai profondi solchi dei fiumi Serra e Vezza. Qui Michelangelo veniva a cercare la materia prima per le sculture già formatesi a grandi linee nella sua mente ispirata: cominciò giovanissimo scegliendo il bianco marmo statuario per il gruppo della Pietà (ora nella Basilica di San Pietro a Roma), tornò a prelevare il parallelepipedo alto più di 4 metri da cui nacque il David. Dalla pianura si risale il corso del Versilia e poco prima di Seravezza si prende a sinistra. La forra è subito marcata, con i ripidi pendii coperti di macchia mediterranea; si supera la confluenza, ci si addentra nella montagna e si prosegue lungo il fiume che ora prende il nome di Serra. Il tracciato di fondovalle è la Strada di Michelangelo, progettata dal maestro inviato nel 1518 dai Medici come ingegnere per provvedere alla realizzazione di strutture atte a facilitare lo sfruttamento delle cave; assediata e conquistata dai fiorentini, tre anni prima tutta la montagna era stata ceduta dal non più libero Comune di Seravezza alla signoria medicea. Serviva dunque un percorso atto al trasporto del marmo proveniente dai luoghi di estrazione: i blocchi venivano fatti scendere a piccoli passi, con grande fatica, in un continuo avvolgere e svolgere funi lungo quei sentieri con il fondo di pietre su cui scorrevano le lizze, robustissime slitte di faggio capaci di sorreggere l’enorme peso. Al borgo di Corvaia c’erano e ci sono le officine per il taglio dei marmi che poi proseguivano per il punto d’imbarco, essendo il fiume la via più indicata per trasferire una merce così pesante. Dal basso si scorgono alcuni canaloni, i ravaneti, disseminati di detriti dei lavori di estrazione; poco si vede invece delle cave, che si ammirano salendo sul versante di fronte. Difficile però è visitarle e persino fotografarle, perché gli addetti sbarrano il passo – in parte per ragioni di sicurezza, ma anche per ostracismo verso intrusi non graditi – a chi non è provvisto di autorizzazione da parte della proprietà.
La strada tracciata da Michelangelo guadagna quota con qualche tornante fra castagni, carpini, ontani e faggi, rimanendo piuttosto stretta (il minimo per farci passare i camion diretti alle cave) fìno a un bivio, dove a sinistra prosegue su un fondo sbriciolato di pietrisco tale da mettere a dura prova perfino le jeep. Grandiosa la sovrastante mole del Monte Altissimo, che si erge in netta verticale con i suoi 1.589 metri e mostra sulla destra, fra le piccole vette ai lati della principale, una cima bianchissima di marmo vivo, scempio recente che l’opposizione del parco delle Apuane è riuscito solo in parte a ritardare.La strada di destra, decisamente migliore di fondo e di larghezza, procede in quota con bella vista sul vallone verso i borghi di Fabbiano e Azzano. In località Cappella si trova il principale monumento della zona: la Pieve di San Martino, persino troppo grande e bella per uno sperduto paesino di montagna, in origine una chiesa romanica del XII secolo con un campanile così robusto da credere all’ipotesi che fosse una torre di vedetta già nell’Alto Medioevo. Michelangelo, confinato suo malgrado a cavare il miglior marmo possibile per le opere commissionategli dai Medici, non se ne stette con le mani in mano e intervenne nella costruzione della chiesa; certamente è suo il bel rosone che ne illuminò l’interno, e dal Buonarroti fu almeno iniziato l’arioso portico della facciata del quale però rimane solo l’ultimo arco, essendo il resto andato distrutto sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale (la Linea Gotica passava proprio sulle pendici del Monte Altissimo e la località Cappella era punto panoramico per eccellenza, caposaldo degli Alleati, mentre lapidi e nomi delle strade ricordano la guerra partigiana).
Appena sotto la chiesa, una mulattiera lastricata di pietre conduce all’area archeomineraria, una vasta zona di marmo bianco e di bardiglio che fu sfruttata dal XII al XX secolo; oggi rinverdita, è disseminata di blocchi semilavorati e di fori quadrati nel terreno in cui si alloggiavano i pali attorno ai quali venivano avvolte le funi per la lenta discesa dei blocchi.
Dopo Fabbiano la strada scende con decisione e le pareti della montagna si aprono, lasciando scorgere uno spicchio di pianura e in fondo il leggero azzurro del mare. Si torna così a Seravezza, che dai tornanti appare lunga e sottile sulle rive dei suoi fiumi. Ricostruita dopo la guerra conservando pochi angoli antichi, ha il suo maggior punto d’interesse nel quattrocentesco duomo dei Santi Lorenzo e Barbara che sfoggia la sua ricchezza marmorea negli interni, con finissimo pulpito e persino i confessionali in marmi colorati. L’elemento nobile è invece il Palazzo Mediceo appena fuori paese, una villa rustica fortificata (oggi sede del Museo del Lavoro e delle Tradizioni della Versilia) la cui attribuzione è dibattuta fra l’Ammannati e il Buontalenti, anche loro architetti e scultori di grande fama che andavano in giro per cave alla ricerca di buon marmo.
Altri itinerari salgono da Seravezza come quello che tocca Giustagnana, dove si può deviare a mezza costa tra oliveti e vigneti per i villaggi di Minazzana e di Basati. L’altra strada risale in piano il corso del Vezza fino al paese di Ruosina, poi comincia l’ascesa verso le cave delle Cervaiole e quelle del Monte Altissimo. Il giovane Michelangelo giunse fin quassù: impresa notevole su quella montagna che all’epoca, senza neppure i sentieri, era davvero allo stato puro.

PleinAir 417 – aprile 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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