Un sorso di ospitalità

Frequentata nella stagione calda per la bellezza delle sue coste, dall'autunno alla fine dell'inverno Bosa si conferma un caposaldo del turismo di qualità nella Sardegna occidentale: merito del suo affascinante centro storico, degli splendidi paesaggi naturali e della profumata Malvasia, orgoglio delle viticoltura sarda e protagonista di un percorso tematico nella fertile terra della Planargia.

Indice dell'itinerario

Il benvenuto non potrebbe essere dei migliori: la vista delle case del quartiere vecchio, con le loro mura dai vivaci colori, ci accoglie in un gioioso abbraccio visivo dominato da quella artistica confusione tipica dei nostri borghi mediterranei. Entriamo a Bosa attraversando l’antico ponte sul fiume Temo che fu costruito in trachite rossa, la pietra locale con cui le sapienti mani degli artigiani bosani hanno abbellito per secoli le facciate delle abitazioni e delle chiese, e ci troviamo subito a percorrere il Lungo Temo, così elegante e curato da essere il miglior biglietto da visita di questa cittadina della costa occidentale sarda, distesa lungo la bella conca che si apre sul mare con la foce del fiume.
La storia di Bosa affonda le sue radici almeno nell’età romana, come testimoniano i ritrovamenti di monete, statue e ceramiche, anche se un alone di leggenda avvolge la sua fondazione e non mancherebbero prove di una preesistente comunità di origine fenicia. Alto sul colle di Serravalle, a dominare il reticolo di strade che si incrociano a perpendicolo sottolineando il legame con l’urbanistica latina, il castello dei Malaspina sorveglia la città dal 1112, probabile anno della sua edificazione. Furono la protezione della nobile casata, lo sbocco al mare e il fertile entroterra delle regioni della Planargia e del Montiferru i fattori che portarono Bosa a conoscere un periodo di grande prosperità, diventando uno dei porti più importanti dell’isola al centro di fitti scambi commerciali. Alcuni studiosi sostengono che intanto gli abitanti si fossero via via spostati dalla pianura sulle pendici del colle, in posizione più sicura contro le scorrerie arabe che nel Medioevo solcavano il Mediterraneo; fino a quando la parte bassa della città, con la cattedrale di San Pietro costruita negli ultimi decenni del Mille, fu praticamente abbandonata. Nella prima metà del ‘300 arrivarono gli Aragonesi e fu l’inizio della lunga dominazione spagnola: i nuovi governanti concessero tuttavia a Bosa il titolo di città reale, privilegio che le consentì di mantenere il proprio statuto e la facoltà di battere moneta, oltre ad assorbire e a trasferire nel proprio tessuto artistico e tradizionale vari aspetti della cultura iberica. Fra alterne vicende, tra cui il passaggio agli Asburgo e poi ai Savoia nei primi decenni del ‘700, arriviamo al 1807 quando Vittorio Emanuele I rese la città capoluogo di provincia (tale sarebbe rimasta fino al 1927) dando inizio a un nuovo periodo di prosperità e di abbellimenti.
L’arteria principale è intitolata a un altro sovrano sabaudo: Corso Vittorio Emanuele II ancora veste l’eleganza dell’epoca con i suoi palazzi adornati da graziosi balconi e portali finemente intarsiati, anch’essi in trachite rossa come il ponte sul Temo, mentre dal letto del fiume furono cavati il basalto e i ciottoli che formano la caratteristica pavimentazione delle strade. Una pausa, il tempo di prendere un caffè, ci permette di ammirare la bella fontana che troneggia all’estremità occidentale del corso in Piazza Costituzione, Sa Phuntana Manna che fu installata alla fine dell’800 per celebrare il primo acquedotto di Bosa.
A contendere l’interesse dell’ospite al salotto buono della città ci sono gli intimi vicoli di Sa Costa, il nucleo medioevale che ancora conserva nella planimetria l’aspetto originario, nonostante il processo di stratificazione che ha interessato i suoi edifici nel corso dei secoli. Quello che era un rione popolare è oggi un piccolo gioiello di urbanistica, un continuo gioco di prospettive fra i vicoli acciottolati e i piccoli slarghi, le cortes, arrampicandosi con le sue scale di pietra sul fianco del colle che porta al castello. Non ci si può non sorprendere della particolare struttura delle case che, generalmente di tre o quattro piani, ospitano una sola stanza per ciascun livello e in alcuni casi sono talmente strette che risulta difficile immaginarne gli spazi interni. Ma come ci spiega un anziano signore, con cui ci soffermiamo a scambiare due parole, gran parte della vita quotidiana si svolgeva all’aperto. «Ancora mi ricordo – ci dice parlando in italiano a noi che veniamo dal continente – il grande braciere al centro della corte con cui si scaldavano le donne mentre tessevano e chiacchieravano, senza perdere di vista i bambini». Con quei telai, su cui un tempo lavorava quasi tutta la popolazione femminile senza distinzione di censo e di età, si realizzava il famoso filet di Bosa, il caratteristico ricamo con figure e simboli tipici del folklore locale, strettamente legato al mondo della pesca e al tipico intreccio delle reti. Il filet, insieme ad altre pregiate forme di artigianato come l’arte orafa della filigrana, la lavorazione della trachite e l’intaglio del legno, dopo un periodo di abbandono sta vivendo una nuova fioritura grazie ad artigiani che con spirito moderno, ma con profondo attaccamento ai valori della tradizione, ne recuperano l’alto valore storico e culturale offrendo prodotti di qualità e vivacizzando l’economia locale.
A tutto questo si accompagna un’offerta ben articolata anche dal punto di vista ricettivo, con ristoranti, bed&breakfast, un albergo diffuso e porte aperte agli ospiti che giungono con il veicolo ricreazionale, ancor più in bassa stagione quando l’affluenza turistica diminuisce drasticamente, mancando il diretto richiamo del bellissimo mare che d’estate attira schiere di bagnanti. Eppure anche nei mesi freddi – che su questo lembo di Sardegna non sono mai veramente tali, poiché è raro che la temperatura minima invernale scenda al di sotto dei 5°C – la costa mantiene il suo fascino e anzi recupera una deliziosa tranquillità, in un’atmosfera quasi irreale alla luce del tramonto che arrossa la sabbia della lunga spiaggia di Bosa Marina e infiamma la cinquecentesca Torre Aragonese.

Tra mare e vigneti
Motore del nuovo sviluppo di tutta la zona, Bosa dà il nome anche al suo prodotto tipico più conosciuto, quella Malvasia che è motivo di orgoglio per tutta la viticoltura sarda. A questo vino da meditazione, dall’aroma profondo e fruttato, è dedicato un inedito percorso di scoperta del territorio (il primo della Sardegna a tema enologico) che tocca i centri principali interessati dalla sua produzione. Lungo l’itinerario, che si inoltra nella fertile terra della Planargia, il piccolo gruppo di paesi che si trova alle spalle di Bosa offre al visitatore più di una sorpresa nel raggio di poche decine di chilometri. Suni, la prima tappa, vanta uno dei nuraghi meglio conservati dell’isola, il Nuraddeo, con la sua torre centrale che svetta integra fino alla sommità al centro di un altopiano cui il mare fa da sfondo. Da visitare in paese, oltre alla chiesa di San Pancrazio in stile gotico-catalano con un successivo intervento rinascimentale, anche la piccola ma interessante collezione di cultura popolare della casa-museo Tiu Virgiliu.
A un tiro di schioppo si trovano altri due centri in cui è particolarmente attivo l’artigianato artistico dei cesti intrecciati con fibre di salice, canna e asfodelo: Tinnura, con murales di eccezionale realismo che ritraggono scene di vita quotidiana (anche qui noterete come il nettare locale abbia un posto d’onore), e Flussio, dove la chiesa della Madonna della Neve conserva la facciata e il campanile del XIV secolo, mentre il nuovo impianto dell’edificio risale alla fine degli anni ’30 e presenta una singolare forma ottagonale.
Proseguendo in direzione di Tresnuraghes, una stretta deviazione conduce a Modolo, in una piccola valle circondata dai vigneti. Qui ha sede l’Agenzia Vinest, riferimento principale per gli operatori che aderiscono all’omonimo progetto cofinanziato dall’Unione Europea e dal quale è nata, su impulso della Comunità Montana Marghine-Planargia, anche la Strada della Malvasia di Bosa. Sulla stessa secondaria avremo incontrato il panoramico abitato di Magomadas, che sorge sulla sommità di un ampio sperone roccioso ed ospita il Museo del Vino della Planargia. Verso Modolo si può inoltre visitare il nuraghe Sebe.
Tornati a Bosa, una perfetta conclusione del tour è la bellissima provinciale costiera 105 che risale verso Alghero, in un susseguirsi di panorami mozzafiato dove scogliere selvagge ricoperte di macchia mediterranea si gettano nelle acque color cobalto. Falchi e poiane vi accompagneranno con le loro acrobazie aeree lungo questo tragitto, dove natura e storia antica sono indissolubilmente compenetrate: lo conferma il Parco Archeologico del Nuraghe Appiu, uno dei più interessanti della Sardegna anche dal punto di vista paesaggistico (chi è alla guida di un mezzo voluminoso lo raggiungerà non da questo versante, bensì dalla provinciale 12 che da Bosa si porta verso Montresta, Villanova Monteleone e Alghero procedendo nell’entroterra quasi parallela alla strada costiera). In una pittoresca sughereta svetta la torre principale del complesso, alta una quindicina di metri e circondata da costruzioni collegate fra loro da corridoi; nell’area sacra adiacente si trova invece un nuraghe di minori dimensioni, il Punta ‘e su Crabile. Gli scavi, promossi dal Comune di Villanova Monteleone, sono ancora in corso ma hanno già rivelato l’esistenza di un insediamento distribuito su un’area di circa 4 ettari, tra i più grandi dell’isola, e dal quale provengono numerosi reperti fittili, schegge di selce e di ossidiana, utensili e altri oggetti e frammenti che hanno permesso di datare la struttura tra la fine dell’Età del Bronzo e l’inizio di quella del Ferro. Il centro visite comprende un ampio punto di accoglienza e ristoro con vista sul mare, che in linea d’aria dista un paio di chilometri. Da qui, a meno di non voler proseguire per la bellissima Alghero, si torna rapidamente alla base per concludere la serata facendo onore alla gastronomia locale. Più tardi, rientrati al camper ormai avvolto dal buio, potremo sfogliare i nostri appunti e ripensare agli incontri della giornata sorseggiando con tutta calma un bicchiere di Malvasia.

PleinAir 436 – novembre 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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