Un mare di pistacchi

A poche decine di minuti dal Pireo, l'isola di Aegina è il regno di uno dei frutti più apprezzati della tradizione mediterranea. Ma anche un'originale meta fuorirotta, tra spiagge frequentate dagli ateniesi e mitiche vestigia dell'epoca dorica.

Indice dell'itinerario

Verso la fine di agosto, quando la folla dei turisti comincia a diradarsi e la calura estiva si fa meno opprimente, aleggia sull’isola di Aegina, quasi palpabile nell’aria, un penetrante profumo dolce e amaro allo stesso tempo. Sugli alberi di pistacchio, disseminati a perdita d’occhio sulle brulle colline dell’isola, soprattutto nella parte sud-occidentale più fertile e protetta dai forti e umidi venti che spirano d’inverno dal golfo di Saronico, spiccano innumerevoli macchie rossastre: sono grappoli di frutti maturi.
Le prime luci dell’alba illuminano le colonne del tempio di Aphaia quando le squadre di raccoglitori si sparpagliano tra i filari. Con un lungo e sottile bastone, ricoperto in cima da una gomma protettiva, battono sui rami degli alberi facendo cadere al suolo i pistacchi, che vengono raccolti in grandi sacchi di juta e trasportati verso le macchine sgusciatrici, una sorta di centrifughe con un sistema di lavaggio ad acqua, che separano il mallo dal frutto e infine i pistacchi chiusi da quelli aperti. Solo questi ultimi, di prima qualità, dopo essere stati asciugati al sole per almeno tre giorni vengono avviati sul mercato, salati, tostati o lasciati al naturale.
Ancora oggi molti coltivatori mettono ad asciugare i frutti sul tetto piatto delle loro basse case. E’ il luogo ideale, come ci conferma Nota Panagiata Lakkou: nonostante sia una delle maggiori produttrici dell’isola, con una tenuta di 200 ettari e 5.500 piante da cui si ricavano ben 25 tonnellate di pistacchi all’anno (un ottavo della produzione totale di Aegina, stimata intorno alle 200 tonnellate), ancora oggi si serve di questo metodo antico. «Per continuare la tradizione dei miei avi» dice sorridendo. E i suoi antenati se ne intendevano: il bisnonno paterno fu il primo nell’isola a coltivare i pistacchi, dando inizio a quella che oggi è divenuta – insieme al turismo – l’attività economica principale.

Da Omero alla Grecia libera
Se la storia dei pistacchi è recente, quella dell’isola si perde nella notte dei tempi sino a confondersi con il mito. E il mito – come racconta Roberto Calasso nelle Nozze di Cadmo e Armonia – narra che Zeus, innamoratosi perdutamente della bellissima Aegina, figlia del fiume Asopos, la rapì e la trasportò su un’isola deserta nel golfo di Saronico; laggiù la fanciulla diede alla luce un figlio, Aekos, che poi divenne il re di quelle terre e le battezzò con il nome della madre. Era un luogo deserto dove il giovane sovrano, vivendo in completa solitudine, si annoiava terribilmente: pregò allora Zeus di dargli compagnia e il padre lo accontentò trasformando tutte le formiche dell’isola in uomini e donne (e proprio dal nome greco delle formiche, myrmighi, gli abitanti di Aegina vengono chiamati Mirmidoni). Aekos regnò con grande giustizia sul suo popolo, cosicché alla sua morte gli dei lo insediarono come giudice del mondo sotterraneo. In vita fu però un genitore sfortunato: i due figli maggiori, Peleus e Telamon, uccisero il fratellastro Phocos nato dal suo secondo matrimonio. Il dolore e la furia di Aekos costrinsero all’esilio gli assassini che, allontanati dalla casa natale, fondarono una nuova stirpe: il primo generò Achille e il secondo Aiace, dando così origine alla tradizione eroica dell’antica Grecia che avrebbe avuto in Omero il suo sommo cantore. La storia invece ci racconta che l’isola fu conquistata dai Dori di Epidauro intorno al 950 avanti Cristo e visse il suo periodo più fiorente tra il 750 e il 460. Grazie alla posizione favorevole, a mezza via tra il Peloponneso e l’Attica, divenne la base ideale di questo popolo di navigatori e mercanti: ben presto infatti i Dori di Aegina raggiunsero le coste dell’Africa settentrionale da dove importarono immense quantità di argento gettando così le basi della potenza economica e commerciale dell’isola nell’Egeo. I Mirmidoni furono anche i primi a introdurre il prezioso metallo come valore di scambio, sostituendo le rozze palline di ferro sino ad allora impiegate con piccoli frammenti d’argento e, successivamente, con vere e proprie monete – le prime in assoluto in Europa, chiamate chelonias (tartarughe) per la loro forma particolare – che divennero d’uso comune per l’acquisto di mercanzie e di schiavi in tutto il bacino del Mediterraneo. Aegina prosperava, al punto da contare fra la popolazione ben 400.000 schiavi: con tale manodopera a disposizione, i ricchissimi oligarchi dell’isola fecero costruire su un’altura che domina il golfo di Corinto il magnifico tempio di Aphaia e in seguito, sul sito di un preesistente santuario, quello di Apollo (oggi detto anche tempio della Colonna, dall’unica che ne rimane).
Raggiunto l’apice economico e culturale, Aegina dovette però confrontarsi con altre potenze greche e straniere. Durante la guerra del Peloponneso fu sconfitta da Atene, che decise di evacuarla di ogni suo abitante: solo le spoglie di Aekos, che secondo il mito e gli archeologi riposano nei pressi della “collina della colonna”, rimasero sull’isola ancora una volta deserta (ma alcuni reperti hanno evidenziato come già nella preistoria l’isola fosse stata saccheggiata e quindi lasciata disabitata per ben cinque secoli). Vinta la guerra con Sparta, gli ateniesi ritornarono ad Aegina trasformandola in un ambito luogo di villeggiatura, privilegio che si è tramandato fino ai giorni nostri; sull’isola ebbero la residenza estiva anche il drammaturgo Aristofane e il padre di Platone. In seguito, nel corso del primo millennio, Aegina subì l’occupazione delle potenze militari dell’epoca: turchi, romani, veneziani…
Nel IX secolo, mentre i pirati spadroneggiavano nel Mediterraneo, gli abitanti abbandonarono la storica capitale Egina, posta sul mare e continuamente assaltata dai predoni, per trasferirsi nell’interno su una brulla collina dove edificarono una nuova cittadina, Paliachora (della quale rimangono poche tracce). Nel 1537 l’isola fu messa a ferro e fuoco da Barbarossa e gli abitanti venduti come schiavi. Il porto di Aegina ritornò ad essere abitato solo agli inizi dell’Ottocento e, nel 1827, l’isola venne sorprendentemente designata come prima capitale della Grecia libera: un onore che, nonostante durasse solo 630 giorni, fu sufficiente per ridarle un’apparenza del passato splendore, rimodernando o costruendo edifici nello stile neoclassicheggiante che tuttora caratterizza il suo aspetto. Oggi Aegina, a meno di un’ora di traghetto dal Pireo, è una meta ambita dagli ateniesi per evadere dal caos metropolitano, mentre il turismo internazionale ne apprezza sia gli straordinari valori archeologici che quelli puramente ricreativi: le spiagge, i ristorantini all’aperto, l’atmosfera rilassata. Durante i mesi invernali, quando il vento imperversa e si ode l’incessante fragore del mare, l’isola è quasi vuota; torna a vivere d’estate, quando il profumo del pistacchio si diffonde nell’aria tra le colonne degli antichi templi.

Alla scoperta di Aegina
L’isola ha un’orografia di quota prevalentemente collinare (il punto più elevato è il monte Ai, di 532 metri), più umida e rocciosa nella parte orientale, più secca e fertile in quella occidentale.
Il centro urbano del capoluogo storico, Egina, è molto pittoresco. Sul porto si affaccia la cattedrale di San Dioniso, costruita durante l’occupazione turca, mentre al suo imbocco si trova la piccola bianca cappella di Aghios Nikolaos, patrono dei marinai. Poco distante, verso nord, c’è il tempio della Colonna e, nei pressi degli scavi, il piccolo museo archeologico che conserva tra gli altri reperti la magnifica Sfinge di Aegina del 400 a.C. Sulla strada che conduce al tempio si può proseguire sino al faro di Capo Plakakia e poi sulla costiera, che fiancheggia una lunga e bassa riviera sabbiosa. Raggiunta Souvala, località turistica e stazione termale (con belle spiagge a Skala), si continua sempre lungocosta fino a Vaia, dove si svolta verso l’interno. Attraversando bellissime piantagioni di ulivo si arriva in vista del magnifico tempio di Aphaia: circondato da una folta pineta, spicca su un’altura che domina il golfo di Saronico. Costruito nella tipica forma rettangolare dorica su un basamento sopraelevato a tre gradini, conserva quasi tutte le colonne (ce n’erano sei sul lato corto e dodici su quello lungo) sormontate da capitelli dorici; alcune sono formate da un unico blocco di pietra, altre sono composite. Nient’altro si è salvato dell’edificio: le bellissime statue ornamentali e il gruppo raffigurante la dea Atena circondata da guerrieri greci e troiani in lotta vennero acquistate nel 1813 da Ludwig di Baviera, e da allora sono conservate nella Glyptotheke di Monaco.
Dal tempio si scende lungo una strada asfaltata, attraverso una bella pineta, fino ad Aghia Marina, moderna località turistica con un’altra bella (e sempre affollata) spiaggia sabbiosa. Da qui si prosegue verso Mesagros, una cittadina caratterizzata dalle botteghe di artigiani che lavorano brocche, vasi e altre suppellettili in argilla e ceramica; tra queste spicca la casa-museo di Yorgos Sklavaenas, artista locale di fama internazionale.
Continuando in direzione di Egina, si sale una verde vallata boscosa che apre la vista sull’altra parte dell’isola e si arriva in breve alla cattedrale greco-ortodossa di Aghio Nektarios, dall’ampia e luminosa navata interna abbellita da numerose icone. A monte della chiesa vale la pena visitare il monastero e magari anche la collina di Paliachora che lo fronteggia, dove nel Medioevo sorgeva l’omonima cittadina della quale rimangono disseminate qua e là una trentina di chiese e cappelle votive.
Dalla cattedrale si riprende la strada verso valle fino a Egina attraversando numerosi poderi di pistacchio; qui si svolta in direzione Perdika, raggiungendo dopo circa cinque chilometri la baia di Marathonas e la sua bella spiaggia, meta preferita dai giovani locali. Più avanti, Perdika è un piccolo e grazioso villaggio di pescatori con numerosi ristorantini e bar affacciati sul porticciolo (qui è possibile prenotare un’escursione alla piccola isola di Movi, meritevole di una visita per la spiaggia contornata da ulivi).
Da Perdika, in direzione di Sfentouri e svoltando alla prima deviazione sulla destra della strada asfaltata, si arriva dopo qualche chilometro alla baia di Klima e alla sua spiaggia, forse la più bella dell’isola, poi riprendendo la strada in direzione di Egina fino a Marathonas. Qui giunti, si svolta ancora a destra verso l’interno salendo una ripida stradina che conduce diretta a Pahia Rachi; di nuovo a destra, si continua per un paio di chilometri fino al bivio per il piccolo tempio di Naos Hellanos Dios dove, secondo il mito, il re Aekos rivolse la sua preghiera a Zeus.
Ultima tappa è il piccolo e sperduto villaggio di Anitseo, dove finisce la strada asfaltata, poi si torna indietro fino a Egina (sulla destra, dopo Tzikides, si può fare una gradevole sosta presso il ristorante Minore), attraversando bellissime piantagioni di pistacchio. A fine agosto si noteranno lungo la strada le macchine sgusciatrici al lavoro: varrà la pena fermarsi e chiedere il permesso di dare un’occhiata, per un ultimo e piacevole contatto con la vita quotidiana dell’isola.

PleinAir 383 – giugno 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio