Un mare d'ali

Per gli appassionati di birdwatching, le Shetland sono una meta da non perdere: anche d'estate, e anche in camper. Ma in questi santuari della natura non mancano splendide testimonianze della storia.

Indice dell'itinerario

A nord-est della costa settentrionale scozzese, tra il Mare del Nord e il Mar di Norvegia, le isole Shetland sono uno di quei mosaici in cui madre natura dà il suo meglio, con paesaggi a tinte forti di selvaggia grandiosità. Le coste frastagliate si perdono in fiordi stretti e profondi, si ergono in scogliere a picco sul mare, si distendono in calette sabbiose; sulle brulle colline è facile imbattersi in mandrie di pony bradi e in greggi di pecore, famose nel mondo intero per la qualità della loro lana.
L’arcipelago è formato da un centinaio di isole, ma solo tredici sono abitate. A meritare una prima sosta è la riserva naturale di Sumburgh Head sulla punta meridionale di Mainland, la più grande e popolosa, con capoluogo Lerwick. Dopo aver parcheggiato, solo pochi passi dividono i visitatori dalle falesie sulle quali, durante i mesi estivi, si raduna una moltitudine di uccelli marini. Binocolo alla mano, lo spettacolo è assicurato: qui nidificano 2.000 pulcinella di mare, un migliaio di fulmari e ben 13.000 urie.
Ma a colpire non sono solo le bellezze naturali, perché qui non mancano preziose testimonianze storiche come quelle situate a Jarlshof, uno dei più importanti siti archeologici delle isole britanniche a pochi chilometri di distanza da Sumburgh Head. L’insediamento fu ritrovato in modo del tutto casuale in seguito a una tempesta di straordinaria intensità, e il nome si deve al romanziere Walter Scott che nel 1815 partecipò a una visita durante la quale, peraltro, non vide molto: ci volle infatti più di un secolo prima che le rovine più antiche, sepolte sotto uno spesso strato di terra ed erba, venissero alla luce. Si tratta di un villaggio in cui l’edificio più antico è databile intorno al 2500 a.C., ma si possono ammirare anche resti di abitazioni risalenti all’Età del Bronzo e del Ferro, di un villaggio vichingo e persino ruderi di una fattoria d’epoca medioevale. Secondo gli studiosi il luogo potrebbe dunque essere stato abitato continuativamente dalla fine del Neolitico al XVII secolo, come dire oltre 3.000 anni di storia delle Shetland, dalla comparsa di una prima popolazione – la cui identità è ancora avvolta nel mistero – all’arrivo dei Pitti nel 500 e dei Vichinghi nell’800, fino al dominio scozzese iniziato nel 1468. A tal proposito, è singolare il modo in cui l’arcipelago passò alla Scozia: non ci furono guerre né dispute dinastiche, si trattò solo di una questione di soldi. Giacomo III decise di sposare Margherita, figlia di Cristiano, sovrano di Danimarca e Norvegia: la dote doveva essere pari a 60.000 fiorini, una fortuna per l’epoca, ma la corte danese navigava in cattive acque e i magri bilanci non consentirono il pagamento di quanto promesso. Quindi il padre della sposa si trovò costretto a dare in pegno le Shetland, che da allora rimasero britanniche.
Anche Old Scatness, situato poco più a nord di Jarlshof, è un’area archeologica che conserva preziose testimonianze del passato di queste isole. Nei mesi di luglio e agosto, attori in costume riproducono fedelmente gli antichi mestieri dell’Età del Ferro e dell’epoca vichinga, come la lavorazione della pietra, la filatura e la tessitura della lana, la fusione del ferro e la produzione della birra. Qui inoltre si può ammirare un broch, ovvero una torre in pietra a pianta circolare databile tra il 400 e il 200 a.C. E’ un’architettura comune nel paesaggio delle Shetland, che può superare i 10 metri di altezza con un diametro di 20: se ne trovano più di un centinaio, specialmente lungo le coste, ma se la maggioranza sono ruderi, alcuni hanno invece resistito all’usura del tempo. Uno dei più suggestivi si trova sul lago di Clickimin (nei pressi del campeggio di Lerwick), in posizione strategica su un isolotto nella parte meridionale dello specchio d’acqua; dovette avere una funzione difensiva, come dimostrano la presenza di un fortino e di una cinta muraria e come sembra suggerire anche il nome, che potrebbe derivare dall’antico norvegese klettra minni, bocca rocciosa o dall’inglese catch them in, chiudeteli dentro . Oggi l’isolotto non c’è più, congiunto alla terraferma per l’abbassamento del livello del lago, ma il sito non ha perso nulla del suo fascino. Il broch meglio conservato di tutte le Shetland si trova però nell’isola di Mousa. La torre, alta ben 13 metri e resa celebre da alcune saghe norvegesi come nascondiglio di amanti in fuga, attualmente ospita una colonia di uccelli delle tempeste. Per vederli si può effettuare uno dei tour che da 35 anni Tom Jamieson organizza appositamente con la sua Solan VI, un’imbarcazione capace di contenere una sessantina di persone. Sembra un vecchio lupo di mare con tanto di barba e cappello alla marinara, proprio come ti aspetteresti di incontrarne da queste parti: e quella delle Shetland è gente strana, indurita dai rigori del clima (le isole sono battute da abbondanti piogge e sferzate da venti che possono soffiare fino a 280 chilometri orari) e dalla fatica della vita quotidiana in questo avamposto dell’umanità, ma al tempo stesso gentile e disponibile. Per secoli gli abitanti dell’arcipelago hanno condotto un’esistenza ai limiti del possibile, scandita dalle fatiche della coltivazione dei campi, dall’allevamento, dalla manifattura della lana: per farsene un’idea basta visitare il Crofthouse Museum sull’isola di Mainland, a sud di Boddam, una fattoria del 1850 abitata fino alla metà del secolo scorso con tanto di mulino ad acqua, granaio, forno, stalla. Le file di pesci stesi ad essiccare, il fucile appeso sul camino e le lampade a olio ricordano invece l’importanza della pesca e della caccia alle foche, fonte di cibo e materie prime.
Da queste parti, d’altro canto, la natura la fa da padrona, e anche oggi è probabilmente il motivo principale per arrivare fin quassù perché capace di regalare spettacoli impressionanti. Per rendersene conto basta recarsi sull’isoletta disabitata di Noss: tra i mesi di aprile e luglio sulle scogliere si radunano per nidificare oltre 100.000 uccelli tra sule, urie, gabbiani tridattili e fulmari, anche se l’esperienza più emozionante è l’osservazione ravvicinata di una colonia di pulcinella di mare, che appaiono molto confidenti. Il panorama che si gode una volta giunti in cima a The Noup, a oltre 180 metri di altezza, è grandioso: le pareti rocciose a strapiombo sul mare sono letteralmente ricoperte da migliaia di sule. Le colonie si possono ammirare anche dal basso, prenotando un tour su una delle imbarcazioni che partono dal porto di Lerwick e che, in circa 3 ore di traversata, portano i visitatori intorno alle scogliere di Noss.
Tornati a Mainland, vale la pena proseguire fino a Toft da dove si prende il traghetto che in 20 minuti giunge a Yell, la maggiore delle isole settentrionali dell’arcipelago. Ad attendere il viaggiatore è un paesaggio al tempo stesso inquietante e affascinante, essendo il luogo un’enorme riserva di torba (ne conta circa 200 milioni di tonnellate). Le coste sono ricche di scogliere, baie sabbiose e fiordi come quelli di Whalefirth e di Mid Yell, posti l’uno di fronte all’altro, così profondi da tagliare l’isola quasi in due.
Da Gutcher salpano i traghetti (accessibili ai camper) che portano alle isole di Unst e di Fetlar. Chiamata il giardino delle Shetland , quest’ultima deve il soprannome al fatto che in estate si colora di fioriture. Ma il vero spettacolo naturalistico è Unst, dove si trova Hermaness, la punta più estrema dell’arcipelago e della Gran Bretagna. Tra aprile e agosto in questa riserva arrivano 200.000 uccelli, rendendo la zona un vero paradiso del birdwatching: migliaia di pulcinella, urie, gazze marine, fulmari e gabbiani tridattili si ammassano sulle scogliere, che si raggiungono percorrendo un sentiero all’interno della brughiera. Si attraversa infine il regno dei bonxie, gli stercorari maggiori (che alle Shetland hanno una delle più grandi colonie al mondo) i quali non gradiscono la presenza dell’uomo e lo manifestano palesemente, con voli radenti le teste e simulazioni di attacchi a colpi di becco. Il messaggio è chiaro: questa è ancora natura selvaggia.

PleinAir 394 – maggio 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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