Un gigante sotto casa

I quattro mastodontici carri dei rioni cittadini sfilano nel centro storico di Foiano della Chiana, per un Carnevale a misura di paese e di pleinair.

Indice dell'itinerario

A giugno inoltrato, quando friniscono le cicale cantano e i primi vacanzieri sfrecciano verso gli assolati litorali toscani o le rive del Trasimeno, un folto gruppo di persone si raduna nei quattro hangar di un anonimo edificio in Via Dante Alighieri a Foiano della Chiana. Non si tratta del covo di una qualche associazione segreta, ma del quartier generale di coloro che appartengono ai quattro rioni nati negli anni ’30 – Azzurri, Bombolo, Nottambuli e Rustici, aventi rispettivamente come simbolo una spada coronata, un cuore, un pipistrello e un elefante – che già all’inizio dell’estate cominciano ad organizzare il prossimo Carnevale.
Da tempo immemore Foiano si prepara all’evento in un’atmosfera che è qualcosa a metà fra la cospirazione e la goliardia. Nulla trapela dalla penombra dei capannoni dove per mesi interi, sino a febbraio, un manipolo di volontari improvvisatisi pittori, scultori, elettricisti, meccanici e modellisti lavora sodo per costruire i giganteschi carri che formeranno la sfilata. Sotto la guida di un esperto capocantiere, questi appassionati sgobbano nei ritagli di tempo per realizzare l’opera, tra nuvole di polvere e scintille di fiamme ossidriche: lo smontaggio del vecchio carro dal pianale (se non è stato venduto prima, intero o in parti, ad altri Carnevali), la realizzazione del modellino in creta dei nuovi personaggi, le sagome metalliche, i calchi in gesso, la colla ottenuta facendo bollire la farina nell’acqua, i sottili fogli di giornale attaccati strato dopo strato, la mano dello scultore sull’argilla e poi il tocco finale del pittore che, con pennello e aerografo, colora le mastodontiche figure. Giorno dopo giorno si aggiungono nuovi tasselli al fantasioso puzzle, ma oltre le porte sigillate dei cantieri il mistero resterà inviolato: fino al primo corso, quando le composizioni usciranno in pompa magna tra ali di folla, nessuno conoscerà il tema dei quattro carri in gara, uno per ciascun rione. Alte in media 13 metri, lunghe 17 e larghe circa 8, le allegorie sono inoltre dotate di movimenti meccanici azionati da pompe idrauliche e motorini elettrici, schierando mostri mitologici che sgranano gli occhi o spalancano le fauci, caricature di personalità politiche, alieni, pupazzi, esseri soprannaturali. Gli argomenti sono i più vari e ogni volta destinati a stupire, in sanguigna ma leale competizione, e ciascuno ha fondate speranze di vincere in premio l’ambita Coppa del Carnevale ma, quel che più conta, la gloria di un anno intero.
La manifestazione, così come la conosciamo oggi, è nata nel 1933 e ha un Albo d’Oro con un’incredibile storia da raccontare: come le diciannove straordinarie vittorie dei Rustici (un record assoluto), ma anche gli anni cupi in cui la festa non ebbe luogo per una serie di tragici avvenimenti quali la guerra d’Etiopia nel 1936, la Seconda Guerra Mondiale, la crisi che afflisse i cantieri negli anni ’50, il maltempo che flagellò il paese nel 1962, nel 1981 e nel 1983; per non dire del verdetto che nel 1947 fu clamorosamente bruciato senza essere letto o del carro degli Azzurri che prese fuoco nel 1996. I foianesi amano dire che la passione e la rivalità con cui vivono il Carnevale è molto simile a quella dei senesi per il Palio: la differenza è che qui la suddivisione nei quattro rioni non corrisponde ad alcun confine territoriale, ma ciascuno appartiene a un cantiere per trasmissione ereditaria, vocazione o simpatia.Per quanto riguarda le origini della festa, si perdono nei secoli. Sono molti i Carnevali d’Italia che rivendicano il primato della longevità, ma quello di Foiano ha una freccia in più al proprio arco: negli Statuti Comunali del 1539, infatti, si parla di un dì di Carnevale, con uno di inanzi e uno di poi a conferma del fatto che già a quei tempi erano tre i giorni dedicati alla festa. Non è ovviamente chiaro in che modo se la spassassero o quanta gente partecipasse, anche se in un altro documento si fa menzione di un fracasso tale nella parte alta del paese da creare turbamento ai divini uffizi . Nell’800 cominciarono a sfilare i cosiddetti Carri Matti dai quali si lanciavano castagne, lupini e baccalà sulla folla. Nel Teatro Garibaldi, salotto buono della città, si esibivano diverse compagnie in allegre commedie, mentre i ricchi si mettevano in maschera e i più poveri – che erano in tanti – rubavano cibo e vettovaglie dal palco, a ricordare che per loro la miseria era sempre nera. Anche il Comune partecipava alle spese del Carnevale (nel 1844, come riporta un’altra delle carte ufficiali, un tal Domenico Toti fu rimborsato di 21 lire a saldo dei costi sostenuti per l’acquisto della cera destinata a illuminare il palco), e anzi l’apertura del teatro era considerata un evento di grande valore culturale perché deviava gli oziosi dai luoghi del vizio e istruiva le masse .
Solo con la nascita dei cantieri, negli anni ’30, iniziarono a sfilare i carri allegorici dei tempi moderni. Inevitabile rintracciare qualche somiglianza con il non lontano e celebratissimo Carnevale di Viareggio o con analoghe manifestazioni di grandissimo richiamo, ma qui la differenza sta nella partecipazione popolare (oltre che nella grande disponibilità verso i turisti itineranti, al contrario di quanto accade altrove): l’intera cittadinanza si stringe intorno ai suoi rappresentanti con il calore di un rito collettivo intimo e personale, e la gente si diverte con una naturalezza che ha ben poco da spartire con le contaminazioni mediatiche e commerciali di altri grandi eventi.
Mentre i carri sfilano con cautela per le strette vie della città, la folla li circonda con entusiasmo tra canti, balli e sberleffi: quando poi il passaggio nel centro storico si fa complicato per la ristrettezza degli spazi tutti cercano di guidare a voce l’avanzata della macchina, alta come un palazzo, mentre dondola pericolosamente sfiorando i balconi e le vecchie mura che al tramonto si tingono di rosso. Giunge così il momento dell’arduo responso finale su quale sia il carro vincitore (con l’inevitabile coda polemica che si trascina per un anno intero) nominato da una qualificata giuria composta da un giornalista, uno scenografo, uno scultore, un pittore e un critico d’arte. Il verdetto viene proclamato subito dopo il rogo di Re Giocondo, un fantoccio di paglia e juta alto circa 5 metri che, secondo le arcaiche leggi del mondo contadino, personifica il passato da bruciare: viene dato alle fiamme in Piazza Matteotti la domenica sera dell’ultimo corso, a simboleggiare la prossima fine del lungo inverno e l’auspicio di un nuovo ciclo di rinascita per la natura e per l’uomo. Il rogo è preceduto dalla rificolonata, suggestiva processione di lanterne artigianali fino al luogo del sacrificio, durante la quale viene letto il testamento del Re Giocondo, una divertente recita satirica in rima baciata su fatti e personaggi di vita locale: quasi a ricordare ancora una volta che è la gente di qui la vera protagonista dell’antico e familiare Carnevale foianese.

PleinAir 415 – febbraio 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio